«L’oscurità divide. Qualcuno è spaventato dal buio – o comunque preferisce evitarlo – e a molti non piace quello che sembra rappresentare. Altri si lasciano ammaliare dal suo strano potere, “dall’ilarità delle tenebre”, crogiolandosi nella sua incertezza, adescati dalle varie suggestioni del folklore e delle leggende, dal richiamo del mistero e da possibilità sconosciute. La storia dei diversi atteggiamenti verso ciò che non riusciamo a capire completamente, in tutte le sue manifestazioni sia fisiche che metaforiche, è influenzata dal contesto geografico e culturale e mette in continua discussione la pretesa di poter comprendere pienamente la realtà che ci circonda. L’oscurità esisteva prima di noi ed esiste indipendentemente dalla nostra volontà, ma gioca in molti modi un ruolo nelle nostre vite. Eppure il linguaggio dell’oscurità e della luce è così familiare nel nostro modo di esprimerci che è facile sottovalutarne l’importanza. Al giorno d’oggi siamo talmente abituati ad associare la luce con la gioia e la comprensione che abbiamo dimenticato quanto ognuno di noi faccia affidamento sull’oscurità, quella pacifica e a volte rassicurante sensazione che è allo stesso tempo una delle consapevolezze più elevate e di una sublime bellezza. L’oscurità nutre l’immaginazione.»
Da sempre l’oscurità nutre la nostra immaginazione: che sia un concetto sfuggente o una reale presenza fisica, il suo significato è profondamente stratificato. In questo libro illustrato, Nina Edwards indaga il complesso rapporto tra l’uomo e l’oscurità, prendendo in considerazione diversi periodi storici e molteplici aspetti della questione – fisici e metaforici, culturali e letterari –, e restituendo un’inedita storia del mondo, enigmaticamente pervaso dalle tenebre: nell’arte, nella poesia, nella religione, nella moda e in ogni aspetto del quotidiano.
(dal risvolto di copertina di: Nina Edwards, "Storia del buio", pagine: 394, € 27,00. Il Saggiatore)
Ogni tenebra ha il suo cuore e dentro (spesso) c’è una luce
- Dal nero assoluto alla penombra, perché l’oscurità affascina arte, poesia, religione, moda -
di Gianfranco Marrone
E la luce fu… Sì certo, perché prima era solo il buio. Constatazione ovvia, ma non banale. Non foss’altro che non ci si riflette quasi mai: se la luce ha una sua origine, qual è invece quella del buio? quando è nato? da dove? e perché? Oppure è sempre esistito? Per non parlare del seguito, di quelle che, senza infingimenti o false retoriche, potremmo chiamare le sue gesta: azioni e passioni d’ogni tipo e natura.
Anche il buio ha difatti una luna lunga storia, tanto immaginaria quanto solida, che coinvolge dalla notte dei tempi (è il caso di dirlo) uomini e cose, esperienze individuali e sogni collettivi, società e culture. Ce lo ricorda adesso Nina Edwards, attrice e scrittrice inglese, sapientemente inanellando aneddoti e riflessioni, mitologie e leggende, spigolature e incubi, teorie scientifiche e narrazioni letterarie, note filosofiche e deliri ancestrali. E bene ha fatto la casa editrice Il Saggiatore a tradurre prontamente questa ricca "Storia del buio", uscita lo scorso anno nel Regno Unito, confezionando peraltro il volume con una fattura tanto elegante quanto suggestiva (copertina nera tono su tono, accarezzabile con timore e tremore), come a suggerire già dalla grafica l'inevitabile, ambigua inquietudine suscitata dall'argomento.
Il buio è tutto e il suo contrario, non solo perché a detta di fisici e poeti contiene la luce al suo interno (opposizione partecipativa, in termini linguistici), ma anche perché dà luogo a sentimenti variegati quando non opposti, affascina e spaventa, respinge e attrae, avvolge e separa, facendosi indiretta allegoria di una basilare incomprensione dell'animale uomo nei confronti di sé stesso e del mondo. Se la luce è, per quasi universale trasposizione metaforica, razionalità e intendimento, conoscenza chiara e distinta del mondo, nel buio pascolano invece le vacche nere hegeliane, simbolo di un'indistinzione e d'una con fusione che, priva di altri appigli, cerca disperatamente di proporsi come condizione originaria. Solo per chi cade e ci crede. L'oscurità insomma, nota Edwards, divide fortemente il suo pubblico, forzatamente cieco ma spasimante di una specie di luce oltre le tenebre, d'una verità oltre la verità, oppure furiosamente apostolo di un illuminismo che, pur liberando le masse dalle catene dell'ignoranza, non sente altre ragioni che sé stesso.
Ma la questione, col buio, non è soltanto metafisica o, a essere scientisti, cognitiva. Poiché coinvolge anche il corpo e la sensorialità, la percezione e il suo doppio: l'oscurità è gelida, agghiacciante e perciò indolore, tristemente insapore, orridamente silenziosa: supera il senso della vista per coinvolgere sinesteticamente l'intera corporeità di individui e folle, coppie clandestine che s'appartano nella notte speranzose d'amore e composite trinità che forse lo tollerano loro malgrado. Chiudere gli occhi: per quale motivo? Desiderio di concentrazione ulteriore? licenziamento del mondo esterno? desiderio di un altrove inaccessibile? stupido tentativo per non farsi scoprire? sonno? Le tenebre, si sa, hanno un loro cuore: ma fanno solo orrore? Il corpo al buio è forse solo con sé stesso: ma da soli, dice il saggio, siamo già in troppi. Se i nostri organi sensoriali ci forniscono una finestra sul mondo, per far funzionare questi famigerati cinque sensi occorre che i riflettori siano già stati accesi, l'oscurità dev'essere già stata abolita, il sole deve stare già lì: e qualcuno, si presume, deve avercelo messo. Da qui il valore affabulatorio del buio, le mille e mille leggende che esso racconta di sé o che si narrano di lui, e che, tutte, vanno a formare la sua Storia generale. Che è fatta, insiste Edwards, di luci e di ombre.
Per metterla sul pop, c'è per esempio il tema della moda, a cui è dedicato un capitolo del libro, del colore nero che fa lutto (solo da noi) ma pura eleganza, tradizione e noia, sobrietà puritana oppure spiccata sensualità. Cinesi e giapponesi, anticamente, usavano laccare di nero i denti per conservarne intatto lo smalto e per abbellirli di più. Analogamente nell'Europa ottocentesca la classe agiata faceva sfoggio della propria ricchezza con quella che è stata chiamata la Grande Rinuncia al Colore negli abiti: i capitalisti vestivano rigorosamente di nero, tutti uguali e ognuno per sé. Cosa che ha investi anche il simbolo stesso dell'industrializzazione, l'automobile, che a detta di Ford, doveva essere democraticamente a portata di tutti a patti di esser nera.
Ecco, per metterla piuttosto sul politico, il libro ricostruisce le ragioni, infantili e insulse, della paura diffusa dell'Uomo Nero, proponendosi un buon antidoto d'ogni risorgente forma di razzismo. La storia del buio è comunque magistra vitae: e ha ottimi motivi per contrapporsi a quella della luce - le cui vicende non sono di fatto meno ambigue.
- Gianfranco Marrone - Pubblicato su Tuttolibri del 25/5/2019 -
Nessun commento:
Posta un commento