E Einstein mise il Duce sulla forca
- «Come giustamente meritato» Lo schizzo in una lettera all’amica Ernestina -
di Gabriele Beccaria
Einstein ricorda sé stesso quando era solo Albert, un adolescente irrequieto, così irrequieto da simulare un esaurimento nervoso per scappare da Zurigo e rifugiarsi dalla famiglia. A Pavia. È il 1946 e in un italiano incerto compie il suo personale miracolo. Afferra i fili dello spaziotempo e lo modella con la forza del pensiero, come solo lui sapeva fare: gli esperimenti mentali non erano sempre stati il suo forte?
Così, dalle atmosfere rarefatte di Princeton, manda una lettera all’amica d’infanzia Ernestina Marangoni, che, invece, si agita in una Pavia semidistrutta dalla Seconda guerra mondiale, e con lei rievoca un periodo della propria vita che pochi conoscono e che, tuttavia, Einstein non ha mai smesso di custodire in qualche angolo del suo spazioso cervello. Quel periodo è lontano: è il 1895, quando il padre Hermann si trasferisce in Italia, a Pavia, appunto, e apre l’Officina Einstein-Garrone, fabbrica elettrotecnica che produce dinamo. Il momento è magico e a sottolineare quello stato di grazia, sospeso tra un business rivolto al futuro e le bellezze senza tempo del Belpaese, la famiglia del genio che diventerà il padre della Relatività si stabilisce nella casa appartenuta a Ugo Foscolo, palazzo Cornazzani.
Il giovane Albert è stato lasciato a Zurigo, al Luitpold Gymnasium, ma non riesce a resistere a quella specie di esilio al contrario. E fugge anche lui in Italia. Trascorrerà mesi spensierati, ai quali non smetterà di pensare da adulto. L’idillio è racchiuso in una lettera che pochi conoscono, conservata all’Università, e che è ignorata anche dagli scarsi turisti-eruditi che a Pavia cercano qualche traccia del passaggio di Einstein. Sabato 27, però, la lettera riemergerà durante il programma Sapiens di Mario Tozzi su Rai3 alle 21,45. Il quale dice così: «Sappiamo dai biografi di Einstein che a Pavia fece poco, pochissimo. Ma si divertì molto».
Di sicuro non studiò e il tempo lo consumò scaricando le energie in attività prima di tutto muscolari: lunghe gite in bicicletta, frequenti passeggiate sulle colline dell’Oltrepò e tanti bagni nel Ticino. «Sembra che con Ernestina abbia organizzato anche un’interminabile camminata fino a Genova». Follie tipicamente adolescenziali, che Einstein deve avere intervallato con visite alla fabbrica paterna, dove le tecnologie per imbrigliare l’energia delle dinamo potrebbero avergli acceso pensieri più che fertili.
«Forse qualche seme del genio è stato gettato in quel periodo», dice Tozzi, che nella nuova puntata, la settima della serie, si interrogherà sulla natura del genio scientifico, declinandola attraverso quattro personalità-simbolo: oltre a Einstein, indietro nel tempo, Galileo, Leonardo e Archimede: «Accomunati da una capacità di pensare in modo eccentrico». In una progressione di lunghissimo periodo, in cui Tozzi prova a individuare i rapporti che li legano gli uni agli altri. Quei rapporti - com’è intuibile - sono racchiusi nel labirintico linguaggio della matematica, che Archimede padroneggiò alla grande, ma che per Leonardo e Galileo risultò sempre un po’ ostico, finché Einstein lo riportò alla vette conosciute.
Ma nella lettera a Ernestina, che gli chiede un aiuto che lui non può dare, di numeri non c’è traccia. C’è invece uno schizzo, quello della forca da cui pende Mussolini («onestamente meritato», scrive). Una riflessione simile a uno sfogo, più sarcastico che cattivo, dello scienziato, che si firma Alberto, abituato a pensare prima che con le formule con l’energia incontenibile delle immagini.
- Gabriele Beccaria - Pubblicato sulla Stampa del 24/4/2019 -
Nessun commento:
Posta un commento