giovedì 9 maggio 2019

Nemici

Rothschild, Soros, e il mito del complotto ebraico
da -"Harz-Labour" n°24 - Giornale scritto e distribuito nelle lotte -

Dopo aver accusato i Gilet gialli di tutti i mali, il governo ha deciso di utilizzare la lotta contro l'antisemitismo per stigmatizzare il movimento. Questa strumentalizzazione non è nuova. In genere viene usata contro gli abitanti delle banlieue, contro i militanti pro-palestinesi, contro i neri, gli arabi, i musulmani... Ed è così che in un paese dove lo Stato, in un passato non così tanto remoto, ha perseguitato la minoranza ebraica, arrivando fino al genocidio, ecco che gli editorialisti e gli uomini politici possono regolarmente, e senza vergogna accusare quelli che sono gli unici membri delle classi popolari di essere antisemiti.
Probabilmente, prima di associare l'Islam e le banlieue all'antisemitismo, Manuel Valls, tanto per per citare solo lui, era consapevole che stava soffiando sulle braci quando affermava che gli ebrei potevano indossare con fierezza la loro kippa, mente il velo non aveva alcun posto nella Repubblica. La lotta contro l'antisemitismo è troppo importante per essere lasciata solo a coloro che alimentano il razzismo e attizzano le tensioni. Mettere in scena l'unità della nazione, fingendo di lottare contro l'antisemitismo e contro un nemico interno, come recentemente hanno fatto i partiti politici, dai repubblicani alla France Insoumise, è solo un modo potersi rifugiare dietro una professione di fede morale, quando non si ha alcun altro progetto e non si crede più in niente. Peggio ancora, questa strumentalizzazione degli ebrei, i quali non hanno chiesto niente, viene spesso associata al fatto che vengono considerati come se fossero degli stranieri, una comunità che viene tollerata fino a quando non rivendica niente. Il filo-semita non è altro che un antisemita che ama gli ebrei.
Non vedere questa strumentalizzazione, sarebbe un problema, ma lo sarebbe anche non vedere altro che questo, e non analizzare l'antisemitismo per quello che è. C'è l'antisemitismo storico dei rappresentanti dello Stato, che considerano gli ebrei come degli stranieri, C'è Raymond Barre che, nel 1980, dopo l'esplosione di una bomba davanti ad una sinagoga, parlò di «un attentato odioso che voleva colpire gli israeliti che andavano in sinagoga e che aveva colpito dei francesi innocenti che passavano per rue Copernic». C'è Jacques Chirac, che nel 1904, distingue, da una parte, i musulmani e gli ebrei, e dall'altra parte i francesi. Più recentemente, ci sono François Hollande e poi Emmanuel Macron che, per parlare dell'antisemitismo contro gli ebrei francesi, invitano i rappresentanti dello Stato di Israele...
C'è anche l'antisemitismo del risentimento, quando la socializzazione in crisi produce una rivolta individuale e conformista del soggetto atomizzato. Ci sono le notti, passate davanti ai video di Alain Soral, di migliaia di giovani uomini convinti di essere single, disoccupati e senza amici a causa delle femministe che presumono siano state pagate da Soros e dai banchieri ebrei che manipolano le persone. C'è, più in generale, il fatto che viene contrapposto il popolo, concreto, e gli Ebrei, considerati come se fossero un'élite apolide, schierata dalla parte di ciò che è astratto. All'ebraismo viene spesso rimproverata l'assenza di radicamento, insieme ad un certo rapporto con il testo. Se in numerose religioni apparse prima e dopo l'ebraismo, è presente il dono di una legge ad un popolo, il fatto che ciò avvenga nel deserto, in un luogo di passaggio, nel posto dove siamo tutti estranei, allora questo è più originale. E questo simbolo, per un certo numero di rabbini, è una delle cause dell'antigiudaismo.
L'antisemitismo, dal momento che non prende di mira l'altro a partire da una differenza visibile, al contrario delle altre forme di razzismo, spesso consiste nell'odio dell'altro in sé. Volersi sbarazzare degli ebrei, significa spesso prendersela con l'incompiutezza dell'estraneità in sé. Una volta che viene raggiunto un certo punto di atomizzazione, e questo avviene in un'epoca in cui regna la desolazione, il solo modo per sentirsi francesi è probabilmente quello di lamentarsi ed inveire contro quelli che sarebbero più estranei di noi. Se non ci fossero gli stranieri, forse non esisterebbe più la Francia.
Una delle dimensioni dell'antisemitismo moderno è anche economica. Si tratta della presunta associazione tra gli Ebrei ed il denaro, il discorso del piccolo padrone contro «i banchieri ebrei» e «gli usurai» fatto per non criticare le regole della concorrenza e della libera impresa, delle quali patisce dopo averle difese. È il discorso del dipendente sottopagato, costretto a fare gli straordinari e che, per paura di rivoltarsi contro un problema che si trova sotto il suo naso, fantastica a proposito di complotti occulti.
Se numerosi Gilet gialli si oppongono all'antisemitismo e criticano questi discorsi, succede anche che alcuni li fanno circolare, consapevolmente o meno. Le fantasticherie sulla banca Rothschild ne sono il vettore principale. Ridurre Macron alla banca Rothschild quando lui è un prodotto dell'ENA, ed ha passato la maggior parte del suo tempo come suo alto funzionario, dovrebbe farci porre delle domande. Il fatto che i profitti annuali delle banche Rothschild siano di 100 milioni di dollari annui, contro i 24 miliardi della JP Morgan ci ha convinto del fatto che ciò che viene fantasticato al solo pronunciare il nome «Rotschild» non è per niente razionale.
L'associazione degli ebrei al denaro è evidentemente assurda, ma gli antisemiti non hanno alcuna paura del ridicolo. Spesso accusano gli ebrei di essere, allo stesso tempo, sia troppo ricchi che troppo poveri, li associano al controllo, al lavoro, e poi li descrivono come dei parassiti, li biasimano per aver inventato sia il patriarcato che la sovversione femminista, li accusano di aver creato Gesù e di non credere in lui, li rimproverano per essere stati dietro la rivoluzione russa ed il capitalismo, di incarnare la sovversione, ma anche «il sistema», di separare il popolo pur essendo pronti a fare qualsiasi cosa per stabilire l'ordine, ecc.
Si sente spesso spiegare il complottismo a partire dal fatto che oggi ogni verità ufficiale ed ogni discorso pubblico siano screditati. Questa spiegazione non ci soddisfa, per due ragioni. Non sappiamo che la teoria del complotto ebraico è fiorita ed ha prosperato in epoche nelle quali le diverse forme di autorità erano molto meno screditate di oggi, nel cattolicesimo del Medioevo, o sotto la Russia zarista, per esempio. D'altra parte, cercare delucidazioni non è una ragione per lasciarsi soddisfare da una spiegazione complottista ed antisemita. La dipendenza dai mass media, insieme ai discorsi che si possono ascoltare su youtube, sono le due facce di una sola coscienza alienata, le due facce di una separazione dal mondo che ci circonda. Occorre che il mondo ci divenga estraneo, in modo da dover aver bisogno di giornalisti e di «re-informatori». Quando abbiamo fatto quello che viviamo, quando ci sentiamo legati a quello che ci circonda, non esiste né depressione né teoria del complotto. Per poter spiegare materialmente l'antisemitismo, bisogna prendere in considerazione, e tener conto dei posti che il potere assegna agli ebrei , ed il modo in cui, a certe condizioni, vengono designati come capro espiatorio. Ciò viene spiegato, in particolar modo, da Hanna Arendt ne "Le origini del totalitarismo", e da Moishe Postone in diversi articoli antologizzati in "Critica del feticcio capitale". Dopo essere stato accantonati nel ruolo di intermediari, nel Medioevo (la maggior parte dei mestieri veniva loro proibito, e gli veniva riservato di solito quello dei banchieri, dal momento che la religione cattolica vietava l'usura), ed aver visto, in seguito, alcuni di loro venire tollerati accanto al potere (con la figura dell'ebreo di corte), la rapida espansione del capitale industriale nel corso degli ultimi trent'anni del XIX secolo ha coinciso con l'emancipazione politica e sociale degli ebrei in Europa. Tale emancipazione, passando attraverso lo Stato, e attraverso la cittadinanza, astrazione per eccellenza, ha probabilmente favorito l'immagine dell'ebreo visto come in opposizione al popolo radicato.
Per Postone, la forma dell'antisemitismo moderno trova le sue radici nella relazione sociale capitalistica. La socializzazione propria della società capitalista produce in realtà una coscienza deformata e mistificata, che oppone l'astratto ed il concreto, tendendo così alla personificazione del carattere impersonale del dominio della forma valore. Un anticapitalismo tronco e mal digerito oppone spesso il concreto all'astratto, per esempio difendendo il lavoro e denunciando la «finanza», senza rendersi conto che lo sfruttamento e la speculazione sono le due facce di un'unica e stessa medaglia. Una variante è quella che considera le merci come se fossero degli oggetti concreti, e isola il denaro, che viene considerato come se fosse la radice di ogni male.
Considerate queste inversioni, il dominio non appare per quello che è, il dominio astratto dello sfruttamento che produce il valore, bensì come se fosse un dominio concreto ed individuale, quello di qualche banchiere malvagio che congiura nell'ombra. A cercare le responsabilità di alcuni individui piuttosto che interrogarsi sul proprio ruolo nel rapporto di produzione, a fantasticare a proposito di complotti piuttosto che vedere quali sono gli effetti del sistema, spesso si rischia di demonizzare questa o quella minoranza che è troppo lontana dal «paese reale». L'antisemitismo, per difendere il lavoro, l'industria o i piccoli commercianti, che sarebbero più radicati nel reale, accusa spesso gli ebrei di essere il capitale astratto.
Quanto a noi, non abbiamo nulla da promuovere se non la fine dell'economia. Il plusvalore, l'arricchimento di una minoranza non esistono perché ci sono dei profittatori, ma esistono perché il capitale è un rapporto sociale, perché esiste un dominio della forma valore e lo sfruttamento della forza lavoro. Gli Stati e le banche non cercano di perpetuare il capitalismo facendo stampare banconote al fine di ordire chissà quale complotto, ma perché al centro del capitalismo ogni offerta deve creare la sua domanda, e la merce deve soddisfare i consumatori.
Alcuni, di fronte al debito pubblico, ritengono che la soluzione sia quella di ritornare alle valute nazionali e di restituire alle banche statali il potere della creazione monetaria. Pensare che la ricchezza venga creata per mezzo dell'emissione di denaro, è probabilmente un modo inconscio per evitare di riflettere sul nostro sfruttamento. Dietro questa volontà di «controllare il denaro», dietro il mito della cospirazione guidata dai Rotschild e dagli altri Rockfeller, dietro la critica della finanza, si nasconde l'idea che l'esistenza del denaro in sé non sarebbe legata al capitalismo. La moneta e il denaro vengono in questo modo confusi. La moneta non è altro che uno standard, ed il denaro non è la moneta. Il denaro esiste a partire dal Medioevo e dall'emergere del capitalismo, dal momento in cui è stato reso possibile accumulare attraverso l'investimento. Controllare il denaro è un'illusione, un sogno, dal momento che esso è per definizione incontrollabile, un processo impersonale, uno schermo posto fra noi ed il mondo.
Dobbiamo capire che cos'è il capitale, un rapporto sociale caratterizzato dallo sfruttamento. Dobbiamo inoltre anche analizzare il periodo nel quale ci troviamo, nel cuore del capitalismo tardivo. Non si ha crisi perché i banchieri speculano, l'accresciuta speculazione da parte dei banchieri è un effetto del capitalismo tardivo, della saturazione dei mercati e del basso tasso di profitto. Quando una frazione del capitale ne schiaccia un'altra , quando la Federal Reserve prende il potere sulle banche regionali negli Stati Uniti, o le banche private sulla Banca di Francia, tutto questo non è un complotto di Rotschild, ma è il risultato di una guerra interna al capitalismo e di evoluzioni legate alla dinamica del capitale.
Avviene la stessa cosa quando i piccoli commercianti vengono rimpiazzata dai grandi supermercati, Questo non è un atto compiuto da dei capitalisti malvagi che attaccano dei gentili investitori, ma ancora una volta è semplicemente una frazione del capitale che ne schiaccia un'altra, nel contesto di una guerra economica sempre più dichiarata. Evidentemente, da queste evoluzioni, per alcuni, ne consegue la tentazione di coltivare la nostalgia, questo sciocco sentimento. Dal momento che si sa che nella storia non c'è mai un ritorno, riflettiamo allora piuttosto sul fatto che la nostalgia demagogica dei «trent'anni gloriosi»  riporta spesso alla nostalgia di un periodo in cui la Francia possedeva ancora una parte dell'Africa, e dove gli immigrati, le donne, gli ebrei e gli omosessuali stavano «al loro posto».
Nel contrastare quella che è la volontà di trovare e punire dei responsabili, dobbiamo rompere con i dogmi liberali e con l'idea secondo la quale il mondo sarebbe guidato da degli individui che tramano dei progetti. Non esiste alcun progetto sul mondo, ed è per questo che i discorsi che tendono a personalizzare, anche se possono essere utili in questi contesti di lotta, devono essere utilizzati con parsimonia. O noi comprendiamo che il dominio è il risultato di relazioni sociali, o ci condanniamo non capire niente, e immaginiamo allora che ci siano delle idee che dominano il mondo, e degli esseri malvagi con dei progetti più o meno nascosti che, non si sa come, riusciranno a metterli in atto contro un maggioranza che non li vuole.
Non c'è per esempio alcuna opposizione fra «conservatori» e «progressisti», né tra «nazionalisti» e «globalisti». Al contrario, c'è la bancarotta dello Stato-nazione nel momento in cui la disoccupazione è di massa e la socializzazione è in crisi. Non esiste «il globalismo», ma la globalizzazione degli scambi di mercato e delle forme di governance. Non esiste «la finanza», ma esiste una dimensione finanziaria del capitale. Non esiste il concreto da una parte e l'astratto dall'altra, ma esiste la produzione di valore per mezzo del lavoro e la circolazione delle merci, di modo che abbiamo il dominio della merce che crea i nostri bisogni ed i nostri desideri. Come tutto quello che esiste, il lavoro sotto il capitalismo è allo stesso tempo sia concreto che astratto: concreto in quanto produce dei beni d'uso, astratto in quanto produce il valore.
Alcuni diranno che non usciremo mai dal capitalismo, che il dominio del capitalismo è totale, che lo sfruttamento cresce, che il lavoro gratuito aumenta, e che tutto viene mercificato, perfino le relazioni, per mezzo dei siti di incontri, con il Carpool e l'Airbnb. Altri, più ottimisti, faranno notare che gli incontri e le diverse forme di solidarietà entrano nella sfera dell'economia quando un mondo è arrivato alla sua fine, e non c'è più rimasto granché da valorizzare. Quella che stiamo conoscendo non è una crisi economica. A metà degli anni '70, interrogato sulla crisi petrolifera, Michel Foucault rispose che l'uso della parola «crisi» segnava innanzitutto l'incapacità di comprendere il presente, e che la forza giornalistica del termine è uguale alla sua nullità teorica e strategica. Ora siamo arrivati perfino a vedere certi economisti liberali che rifiutano di utilizzare la parola «crisi», spiegando che l'uso di questo termine implicherebbe il fatto che ci potrebbe essere una ripresa.
Non è una crisi, ma la fine di un mondo. Tuttavia, ci sono degli economisti che presentano la Cina come se fosse la futura prima potenza mondiale, e riconoscono, confrontando le cifre delle esportazioni fornite loro dallo Stato cinese e quelle fornite dai paesi importatori, che la dinamica del capitalismo cinese è enormemente sovrastimata. Ci sono dozzine di città cinesi che sono vuote, dopo essere state costruite in base alla promessa di assumere masse di operai da parte di fiorenti aziende.
Ci sono altri segnali che non ingannano. Per molto tempo la Francia è stata allo stesso tempo sia leader mondiale della produttività che leader del consumo di droghe psicotropiche. Il Giappone, paese della tecnologia, è anche il paese degli hikikomori, centinaia di migliaia di giovani uomini che vivono come dei reclusi  e sfuggono a quelli che sono gli obiettivi prefissati per loro. Colui che soffre è solo quello che non si conforma agli standard dell'integrazione, e non c'è niente da difendere se non la fine dell'economia. L'economia, per mezzo della quale tutte le categorie sono collegate al capitalismo, non è una scienza, bensì un modo di gestione. Le previsioni, le cui scadenze sono sempre più vicine, non vengono più prese sul serio da nessuno.
Noi difenderemo solamente quella che è la politica dello scarto, dove lo scarto è la differenza fra quello che dei soggetti dovrebbero fare, vale a dire difendere le loro posizioni sociali e l'esistente, e ciò che essi fanno, ossia rimettere in discussione l'ordine esistente ed il loro stesso posto in questa struttura. I gesti sono i momenti in cui gli agenti smettono di funzionare, gli atti che contrastano le strutture, quando la rivolta non è conformista, e non si accanisce su un capro espiatorio.

- da Harz-Labour n°24 - Pubblicato il 5 maggio 2019 -

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