martedì 7 maggio 2019

Valute locali: arriveranno anche qui?

Le Valute locali: una critica tronca dell'economia
« Vi posso pagare in Eusko ? »

- Apparso su lundimatin#189, il 29 aprile 2019 -

Cairn, Pive, Gonette, Sol-violette, Agnel, o perfino Euroblochon: le valute locali complementari continuano a fiorire e a diffondersi, soprattutto grazie al fatto che beneficiano di quello che è un quadro legale (la legge sull'economia sociale e solidale del 2014) e di una promozione sul grande schermo (il film documentario "Demain", di Cyril Dion e Mélanie Lauren, del 2015). Alcune di queste valute sopravvivono vegetando, mentre ce ne sono altre che hanno decisamente successo. Nel Paese Basco settentrionale [francese], ci sarebbero in circolazione più di un milione di Eusko, cosa che fa di questa valuta locale la moneta più usata in Francia, e perfino in Europa. Il municipio di Bayonne ha addirittura deciso di accettare i pagamenti in Eusko - e la cosa è stata recentemente autorizzata da un tribunale. Se il testo che segue può sembrare in qualche modo elusivo per quel che riguarda come far coincidere la vita quotidiana con la lotta contro l'economia, essa ha quanto meno il merito di ricordare che dal punto di vista capitalistico la moneta alternativa rimane un gadget, se non una fumisteria, una burla.

Piuttosto che pagare, rubare
A partire dal 2013 hanno cominciato a comparire, dalla penombra delle pieghe di un portafogli tirato fuori alla cassa di un bar, di una libreria o di un supermercato, dei nuovi pezzi di carta: l'Eusko. Una nuova moneta locale, fondata dall'associazione Euskal Moneta. Di colore blu, rosso, grigio, giallo e viola, queste banconote, rispettivamente da 1, 2, 5, 10 e 20 euskos, utilizzabili nel Paese Basco settentrionale, tentano di sostituire l'euro, o quanto meno di limitare l'utilizzo della moneta europea. Grazie ad essa, si dovrebbe poter realizzare la transizione ecologica, la salvaguardia della lingua basca, la protezione dell'agricoltura contadina, la riduzione della speculazione finanziaria, un sostegno all'economia locale, il finanziamento di associazioni, e, infine, la protezione del commercio locale... Niente di meno!!
In tal modo, si vuole rispondere a questa paura che si può trovare, giorno e notte, a sinistra della destra o a destra della sinistra, non importa:  di fronte all'assurdità di un'economia che si emancipa dalle nostre forme di vita e che, in ogni momento del suo dispiegarsi (produzione, distribuzione, scambio e consumo) si presenta come distruttrice, come fare a ridurne le conseguenze? Le proposte di riforma del modo di produzione , o di trasformazione dell'economia cosiddette «etiche» ,ogni volta producono solamente una povertà di pensiero ed una limitatezza di azioni, che sono incapaci di superare l'immaginario che ci viene imposto dallo spettacolo economico. Questo pseudo-agire si accanisce allora ad usare gli stessi mezzi, riproducendo così instancabilmente l'inferno totalitario della vita economica. Le buone intenzioni non bastano, quando attaccano gli effetti senza prendere alla radice quelle che ne sono le cause. Si può ancora credere che una semplice modifica dell'oggetto che viene utilizzato per tutte le interazioni che avvengono sotto il modo di produzione capitalistico, il denaro, possa davvero essere una soluzione alla tendenza distruttrice e totalitaria del capitale? L'Eusko è arrivata ad essere la moneta locale più scambiata d'Europa, con più di un milione di unità in circolazione. Ma non mentiamo a noi stessi, l'ambizione dell'Eusko e dei suoi fondatori  non è in alcun modo da collocare in una lotta contro il capitale. Questo testo non punta affatto a far credere che siano stati fuorviati nella loro critica del capitalismo, ma intende piuttosto sottolineare come, al contrario, questo tentativo sia assai più un salto nell'assurdità economica che una via d'uscita dal disastro, e che l'imperativo è quello di mettersi in gioco per mezzo di altre lotte, non tronche, che cerchino di sabotare concretamente l'ingranaggio, e non di oliarlo. Tuttavia, non attribuiremo al nostro articolo più contenuti di quanti ne possa avere in poche pagine: si tratta di una rapida panoramica e di un appello per aprire altri orizzonti di lotta.

Prendiamo in esame l'idea di una valuta locale. Questa viene scambiata contro una moneta nazionale o sovranazionale, come avviene nel caso dell'Eusko: 1€ = 1 eusko. Essa rimane, a priori, ancora una volta, la merce che permette di poter scambiare tutte le altre merci. Una volta che è stata scambiata, non abbandona un certo territorio, e continua a passare di mano in mano, in quelli che sono i diversi momenti della produzione. Permette quindi che ci si possa limitare ad una certa zona: con degli eusko si può comprare e produrre solo delle merci che corrispondono ai criteri dell'associazione. Per utilizzare la moneta, devi essere un membro dell'associazione. Si crea perciò, a lato, una comunità di produzione, accanto all'euro, per cui non si tratta di un'uscita dall'economia, ma di un'economia parallela. La totalità delle interazioni umane rimane sempre mediata attraverso l'oggetto moneta, e, a causa di ciò, si perpetua il processo di separazione delle individualità, e dei loro rapporti sociali, da essi stessi. Comunque, l'essere umano viene spossessato di sé stesso e della sua vita con gli altri.
Ovviamente, a partire da un tale momento, queste interazioni avvengono in un quadro immediatamente meno globalizzato, più vicino, meno astratto. Pertanto, il «legame sociale» messo in atto non è poi così concreto: la divisione sociale del lavoro continua ad esistere, e quindi persiste anche la separazione [*1]. Il fenomeno del feticismo della merce non viene sradicato; il consumatore forse diventa un po' più informato riguardo le condizioni della produzione dell'oggetto acquistato, ma rimane comunque spettatore. La familiarizzazione, vale a dire, avvicinare ciò che in realtà è lontano, non è così tanto radicale: conoscere il produttore della merce non diminuisce in alcun modo la mercificazione dell'oggetto prodotto: esso rimane un valore in sé, poiché continuano ad esistere sia i ruoli che la separazione.
Il problema risiede nel fatto che non vengono rimesse in discussione quelle che sono le strutture fondamentali del capitale: il processo di valorizzazione, il lavoro, la merce e la sovranità. E non è uno strumento creato al fine di emanciparsi dalle categorie proprie del processo di valorizzazione attinente alla totalità dell'economia, ma piuttosto di un'etica, a partire da delle buone intenzioni, che tenta di mettere un tappo alle conseguenze di questa stessa economia. Tentativi come l'Eusko, che non mirano al completo rovesciamento di questa società, finiscono per dare ad essa i mezzi per perpetuarsi e modernizzarsi. Questa valuta utilizza un'identità, una cultura e una storia che arrivano a porsi persino come sovversive nei confronti dello Stato e della merce, per poterli re-iniettare in quella cosa stessa che ha prodotto queste categorie di dominio. E partecipa alla distruzione della cultura popolare di resistenza dei Paesi Baschi. Dandosi, per esempio, la missione di proteggere la lingua basca, soprattutto facendo sì che i supermercati accettino l'eusko, certificando al consumatore che può parlare in basco, partecipa all'integrazione della lingua basca nel capitalismo. Parlare basco diviene quindi una merce, in quanto farlo è parte del servizio che viene fornito.
Dal punto di vista dell'indipendenza, può essere proposta una doppia critica: in primo luogo, l'eusko è del tutto dipendente dalle istituzioni europee e statali (lo Stato francese), sia per quanto riguarda la condizione della possibilità della sua esistenza, sia per quanto riguarda una sua indipendenza. Vale a dire che lo Stato francese e l'Europa lo autorizza ad esistere, e che alla sua esistenza viene aggiunta la possibilità di essere cambiato in euro. Senza euro, niente eusko! Perciò, se la «preservazione della cultura basca» viene rivendicata dall'associazione, questo avviene solo nel quadro permesso dal dominio statale francese, e in nessun caso si tratta di una conquista di indipendenza o di autonomia, poiché ad attuarla non è un'istituzione basca che la realizza indipendentemente dal resto del mondo.
Si noti che non ci poniamo sulla linea della rivendicazione di uno Stato basco poiché lo Stato, in quanto istituzione storicamente legata al capitale, non ci sembra in alcun modo una via d'uscita dal capitalismo. Dire quindi che l'utilizzo dell'eusko consente una diminuzione della speculazione, è pura ipocrisia. Mentre la moneta non consente direttamente una certa finanziarizzazione dell'economia locale, essa viene invece totalmente indicizzata relativamente al processo di accelerazione di quello che è il peso del valore astratto nella totalità economica e politica del capitale
Infine, utilizzare una storia culturale, con il suo potenziale antistatale, per legittimare un'economia parallela incapace di emanciparsi dalle categorie del capitale, non fa altro che rafforzare il capitalismo in quello che è il suo carattere totalitario, attraverso l'accelerazione della sua influenza su culture e popoli ingovernabili. Bisogna allora vedere l'Eusko come una riflessione ed una politica fatta in malafede, tipica di un certo spirito borghese ancora più distruttivo del solito, una sorta di aggiornamento del capitale, vale a dire vedere questo strumento come un tentativo di rendere ancora più concreta l'assurdità del mercato senza mai però distruggerlo in quanto tale. Rendendo l'economia «più vicina a noi», non si fa altro che aumentare il suo potere sulle nostre vite.
Molti tentano un «ritorno» al valore d'uso, a fronte della mancanza di senso di un'economia che si emancipa dalle relazioni umane. Ma si dimentica che il valore d'uso esiste solo in quanto esiste un valore di scambio, ossia,  astratto e misurato dal tempo di lavoro necessario alla produzione di una merce. Valori di scambio e d'uso sono le due facce di una sola moneta. L'Eusko, cercando di rivalorizzare l'economia locale e l'agricoltura contadina, partecipa in realtà a rendere invisibile il valore astratto, tuttora sempre soggiacente. In maniera ancora più disperata, il capitalismo ha bisogno di tali iniziative, portatrici di un senso a priori, per poter continuare a raschiare il fondo del sistema di valorizzazione.
Così, da una trentina di anni, attraverso il movimento di finanziarizzazione dell'economia capitalistica, la perdita di senso viene sempre più sottolineata da una pseudo-sinistra che non ha mai attaccato quelle che sono le fondamenta reali di un simile fenomeno. Non ne usciremo di certo, tentando di riaggiustare un equilibrio votato allo sperpero. Rivalorizzare le economie locali, alla fine, non significa altro che aumentare i consumi, aumentare quella produzione che nel mondo viene fatta su uno spazio sempre più ristretto. A partire da questo, alla fine, ogni produttore in più viene assorbito dalle categorie del capitale, ed il totalitarismo economico colonizza un altro po' le coscienze. Non è usando l'Eusko che l'agricoltore esce dal processo di valorizzazione, che l'operaio esce dallo sfruttamento, che l'umanità esce dal consumo. Questo slancio localista, culturale: nell'era della speculazione e della finanziarizzazione, è solo un nuovo modo di produrre del valore con la coscienza a posto.


Allora si tratta, per una pratica critica e sovversiva di colpire realmente e concretamente il capitale nella sua totalità, e non di continuare instancabilmente a mancare il bersaglio e a dormire sonni tranquilli la sera, grazie a queste pseudo-azioni. I nemici sono: lo Stato, la nazione, la politica, le merci ed il lavoro.
Cosa rimane da fare per noi, in una prospettiva di lotta anticapitalista e perciò anti-sovranista?
Il sabotaggio totale dell'economia.
È rifiutando totalmente le categorie sociali e di pensiero del capitale che una via d'uscita sembra possibile.
Rifiutare il lavoro, rubare, scioperare, occupare dei luoghi: pensare delle interazioni non astratte, sperimentare nuove forme di vita: è questo l'orizzonte verso cui andare.
Bisogna rovesciare la relazione con il tempo e con lo spazio, non accontentarsi più di una riflessione sui rischi, sui costi e sull'utilità; andare più lontano, giocare, fare secessione, insurrezione.

- Apparso su lundimatin#189, il 29 aprile 2019 -

NOTA:
[*1] - Parlare di separazione significa parlare del fenomeno della separazione dell'individuo da sé stesso e dagli altri, ma anche dell'insieme della società rispetto da sé stessa e dagli individui che la compongono. Noi viviamo nella separazione, poiché le nostre esistenze sono reificate, in quanto non abbiamo delle relazioni interumane, ma solo delle relazioni fra quelli che sono dei ruoli differenti: per esempio, produttore/consumatore, studente/professore, ecc., come spiega Mandosio nel suo «Nel Calderone del Negativo»: «L'ideologia dominante fa della separazione lo stato naturale, e di conseguenza legittimo, della società umana: la sua accettazione come una fatalità genera quella che è la sua riproduzione indefinita. Le differenti forme di critica parziale portano solo al rafforzamento della separazione, poiché non attaccano le basi stesse della distinzione dei ruoli sociali, ma solamente questa o quell'altra conseguenza. Solo una critica unitaria, che metta a nudo le fonti nascoste che rendono possibile la separazione, può aprire la strada ad una trasformazione globale della società. Non può esserci rivoluzione altro che totale; ogni impresa di sovversione parziale è un accomodamento con la separazione, che lascia sussistere, intatta. I tentativi rivoluzionari che non mirano al rovesciamento completo di questa società, finiscono per dare ad essa i mezzi di perpetuarsi e di modernizzarsi».

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