venerdì 24 maggio 2019

Fantasie maschili

La femminilità tossica in «Game of Thrones»
- di Slavoj Žižek -

L'ultima stagione di Game of Thrones ha scatenato un grande clamore, che è culminato in una petizione (firmata da quasi un milione di spettatori indignati) che chiedeva l'annullamento della stagione e che se ne registrasse una del tutto nuova. La rabbia che ha segnato la discussione è, di per sé, un'indicazione del fatto che in gioco ci siano molte cose, in termini di ideologia.
L'insoddisfazione ruotava intorno a due punti principali: una brutta sceneggiatura (scritta sotto la pressione di voler chiudere rapidamente la serie, pregiudicando così la complessità della narrazione) e una cattiva psicologia  (la trasformazione di Danereys in una Mad Queen [una regina folle] non può essere giustificata nei termini della traiettoria del personaggio). Nel dibattito, una delle poche voci intelligenti è stata quella dello scrittore Stephen King, il quale ha sottolineato come l'insoddisfazione non sarebbe stata causata dal brutto finale, ma dall'esistenza stessa di un finale: in questa nostra epoca delle serie, che sembrano cominciare in modo che continuino indefinitamente, ad essere intollerabile è l'idea stessa di una chiusura narrativa. È vero che, nella rapida conclusione della serie, prevale una strana logica - ma si tratta di una logica che viola non tanto la verosimiglianza della psicologia, quanto piuttosto quelli che sono i presupposti stessi di una serie televisiva. Dopo tutto, l'ultima stagione si riduceva ai preparativi per una battaglia, al dolore e alla distruzione che seguono dopo la battaglia, e al combattente posto di fronte a tutta questa insensatezza - che per me, è qualcosa di molto più realistico di quanto lo siano i soliti grovigli melodrammatici gotici.
L'universo di Game of Thrones (così come quello de Il Signore degli Anelli) è un universo spiritualizzato ma sprovvisto di Dio: ci sono forze soprannaturali, ma esse fanno parte della natura, e non ci sono né Dei superiori né tanto meno sacerdoti al loro servizio. All'interno di un tale contesto, il quadro dell'ottava stagione è profondamente coerente: in essa vengono inscenate tre battaglie consecutive. La prima viene combattuta fra l'umanità ed i suoi inumani Altri (rappresentati dall'Esercito della Notte del Nord, guidato dal Re della Notte). Quindi, in seguito, la disputa si svolge fra i due principali gruppi di umani (i malvagi Lannister e la coalizione contro di loro guidata da Daenerys e dagli Stark). Infine, poi, c'è il conflitto interno fra Daenerys e gli Stark. Ed è per questo che le battaglie dell'ottava stagione seguono un percorso logico che parte da un'opposizione esterna per arrivare alla scissione interna: la sconfitta della disumana Armata della Notte, la sconfitta dei Lannister e la distruzione di Approdo del Re, fino ad arrivare all'ultimo scontro fra gli Stark e Daenerys - in ultima analisi, allo scontro tra la «buona» e tradizionale nobiltà, rappresentata dagli Stark, che protegge lealmente i propri soggetti dagli artigli dei malvagi tiranni, e la figura di Daenerys, vista come un leader forte di nuovo tipo, come una sorta di bonapartista progressista che agisce per conto di quelli che sono meno privilegiati. Per riassumere in modo semplice la cosa, nel conflitto finale, quel che è in gioco è quanto segue: la rivolta contro la tirannia dovrebbe svolgersi nel quadro di una mera lotta per il ritorni alla precedente versione antica, un po' più gentile, del medesimo ordine gerarchico? Oppure, dovrebbe evolvere nel senso della ricerca di un nuovo ordine necessario?
Gli spettatori insoddisfatti hanno un problema con quest'ultimo scontro - la cosa non sorprende, dal momento che esso mescola il rifiuto di una trasformazione radicale insieme ad un vecchio tema anti-femminista che troviamo nelle opere di Hegel, Schelling e Wagner. Nella sua Fenomenologia dello Spirito, Hegel introduce il suo famoso concetto di femminilità vista come «l'eterna ironia della comunità»: la donna «trasforma con i suoi intrighi il fine universale del Governo in un fine privato, converte la sua attività universale nel prodotto di un qualche individuo particolare, e perverte la proprietà universale dello Stato in patrimonio ed in ornamento della famiglia» [*1] Questa linea narrativa si incastra perfettamente con la figura di Ortrud, dell'opera Lohengrin, di Richard Wagner: per lui, non esiste niente di più orribile e disgustoso di una donna che interviene nella vita politica, motivata da un desiderio di potere. A differenza di quanto accadrebbe con l'ambizione maschile, la donna, incapace di cogliere quella che è la dimensione universale della politica statale, bramerebbe il potere solo al fine di promuovere i suoi propri stretti interessi familiari - o peggio, i suoi capricci personali. Come non riportare alla mente il passaggio di Schelling, secondo il quale «il principio che funziona e che ci sostiene con la sua inefficacia è quello stesso che ci consumerebbe e ci distruggerebbe con la sua efficacia»? [*2] - è il potere che, se viene tenuto al suo posto adeguato può essere benigno e pacificatore, si converte nel suo opposto radicale, nella furia più distruttrice, non appena esso raggiunge un livello più alto, un livello che non è il suo. Quella stessa femminilità che, all'interno del circolo chiuso della vita familiare, configura quello che è il suo proprio potere di amore protettore, ecco che essa si trasforma in frenesia oscena, quando si manifesta al livello di quello che sono gli affari pubblici, al livello dello Stato. Il punto più basso della sceneggiatura, è il momento in cui, nel dialogo, Daenerys dice a Jon Snow che se lui non può amarla come regina, regnerà la paura - l'archetipo volgare in maniera imbarazzante della moglie sessualmente insoddisfatta che esplode in una furia distruttiva.
Ma ora passiamo alle cose spiacevoli: che dire delle esplosioni omicide di Daenerys? Il massacro spietato di migliaia di persone comuni di Approdo del Re può davvero essere giustificato come un passo necessario verso la libertà universale? Si tratta di qualcosa di fatto davvero imperdonabile: ma parlando di questo, dobbiamo ricordare che la sceneggiatura è stata scritta da due uomini. L'immagine di Daenerys come una regina folle è una fantasia rigorosamente maschile (i critici hanno avuto ragione a sottolineare che la sua discesa nella follia non possa essere giustificata psicologicamente). La scena in cui lei, volgendo intorno uno sguardo di rabbia e di follia, sorvola la città mentre cavalca il suo drago incendiando case e persone è semplicemente espressione dell'ideologia patriarcale, e della paura che tale ideologia ha di una donna politicamente forte.
Il destino finale delle protagoniste femminili in Games of Thrones si inserisce in queste coordinate. Ad essere centrale è l'opposizione fra Cersei e Daenerys, le due donne legate al potere, il messaggio che deriva dal loro conflitto è chiaro: anche se vince il bene, il potere corrompe le donne. Arya (che ha salvato tutti quando ha ucciso, da sé sola, il Re della Notte) scompare anche lei, imbarcandosi in un viaggio ad ovest dell'Occidente (come se andasse a colonizzare l'America). Quella che rimane (come regina del regno autonomo del Nord) è Sansa, un tipo di donna amata dal capitalismo contemporaneo: riunisce in sé delicatezza comprensione femminile insieme ad una buona dose di intrigo, e quindi si adatta pienamente in quelle che sono le nuove relazioni di potere. Questa marginalizzazione delle donne è un momento chiave della lezione liberal-conservatrice generale dell'ultimo episodio: le rivoluzioni devono finire male, e generano nuove tirannie. [...] La lezione liberal-conservatrice traspare assai più chiaramente dalle parole detta da Jon Snow a Daenerys: «Non avrei mai immaginato che i draghi sarebbero nuovamente esistiti; nessuno lo avrebbe immaginato. Le persone che ti seguono sanno che tu hai fatto qualcosa di impossibile. Forse questo li aiuta a credere che tu possa far sì che avvengano altre cose impossibili: costruire un mondo differente dalla merda che hanno sempre conosciuto. Ma se tu li usi [i draghi] per radere al suolo castelli e per bruciare città, non sei per niente diversa. Si tratta più o meno della stessa cosa.» Così, Jon uccide per amore (salvando da sé stessa la donna maledetta, secondo quella che è la vecchia formula sciovinista) l'unico agente sociale della serie che aveva realmente combattuto per qualcosa di nuovo, per un mondo nuovo che avrebbe messo fine alle vecchie ingiustizie. Perciò non sorprende che l'ultimo episodio della stagione sia stato ben accolto: ha prevalso la giustizia - ma che tipo di giustizia? Ciascuno viene collocato in quello che è il posto che gli spetta: Daenerys, che ha perturbato l'ordine stabilito, è morta ed è stata portata via dal suo ultimo drago. Il nuovo re è Bran: storpio, onnisciente, che non vuole niente - evocando così quella saggezza insipida secondo la quale i migliori governanti sarebbero quelli che non vogliono il potere. In quello che è un finale supremamente politicamente corretto, governa uno storpio, ora aiutato da un nano, ed eletto dalla nuova élite saggia. (Un nel dettaglio: le risate che ne conseguono quando uno di loro propone una scelta più democratica del re). Ed è impossibile non notare che quelli che rimangono fedeli a Daenerys hanno tutti la pelle scura - il suo grande comandante è nero - e sono per lo più orientali, mentre i nuovi governanti sono chiaramente tutti nordici bianchi. La regina radicale che vorrebbe più libertà per tutti indipendentemente dalla loro posizione sociale e dalla razza è state eliminata, le cose tornano alla normalità, e la miseria viene mitigata per mezzo della saggezza.

- Slavoj Žižek - Testo inviato direttamente dall'autore al Blog da BoiTempo il 19/5/2019 -

NOTE:

[*1] - «Questa femminilità - l'eterna gloria della comunità - muta per mezzo dei suoi intrighi il fine universale del Governo in un fine privato, trasforma la propria attività universale in un'opera di questo determinato individuo, e perverte la proprietà universale dello Stato in patrimonio ed ornamento della famiglia.» (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito).

[*2] - F. W. J. Schelling, Die Weltalter. Fragmente. In den Urfassungen von 1811 und 1813.

fonte: Blog da BoiTempo

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