mercoledì 23 luglio 2025

Vivere la Forza: i Due Cuori di Simone Weil !!!

"Simone Weil non avrebbe mai rinnegato pubblicamente gli anarchici"
- Roger Costa Puyal intervista Xavier Artigas-

Ultimamente, la celebre filosofa francese Simone Weil (1909-1943) è stata strumentalizzata al fine di screditare l'anarchismo, a partire da una sua lettera inviata a un falangista dissidente e in base al diario personale che scrisse durante la sua partecipazione al gruppo internazionale della Colonna Durruti. Nel libro "Viure la força. Simone Weil e la Colonna Durruti" (casa editrice Descontrol, 2025), il sociologo e documentarista barcellonese Xavier Artigas analizza a fondo i due testi e smonta questa tesi. Il libro include un prologo scritto dalla ginecologa Myrtille Gonzalbo, e un epilogo, del filosofo Amador Fernández-Savater. Attualmente, si sta girando un film che usa il libro come materiale di partenza.

Simone Weil è una vittima della storiografia?
Originariamente, scoperta attraverso i suoi testi mistici, viene pertanto collocata come se fosse una pensatrice mistica. Ma poi, e per tutti gli anni Cinquanta, Albert Camus si dedica al recupero e alla pubblicazione dei suoi scritti politici, avvertendo che in realtà si tratta di una grande pensatrice politica. In tutta la sua storia, c'è questa dicotomia: era una donna conservatrice, spirituale, religiosa, ma era anche una politica. Avrebbe avuto questi due battiti cardiaci. A seconda del momento, viene fuori o l'uno o l'altro. Penso che oggi ci troviamo in un periodo nel quale la Simone Weil più politica stia cominciando a riprendersi. Il mio lavoro vuole un po' contribuire alla conoscenza dei fatti relativi alla guerra civile spagnola, che poi è quella su cui si è lavorato di meno; e serva a spiegare che lei era andata lì in quanto anarchica convinta. Non era una filosofa sprovveduta andata lì a caso, che non sapeva in cosa si stesse cacciando; era una militante, sapeva a cosa andava incontro, e conosceva molta gente a Barcellona. Andò lì per sostenere il movimento anarchico e si arruolò convintamente nella Colonna Durruti. Sapeva che stavano bruciando chiese, inseguendo preti, uccidendo persone di destra; e tutto questo non le ha impedito di andare in prima linea e prendere il fucile.

La lettera allo scrittore Georges Bernanos, è il punto di partenza di questa strumentalizzazione?
La famosa lettera a Bernanos, la scrive dopo due anni dal suo arrivo qui, ma ci sono molti modi di interpretare questa lettera. All'inizio era come se fosse una sorta di via di mezzo tra lei e Bernanos; non è un testo pubblico, e neppure un manifesto. Sta scrivendo in privato, come se fosse, a uno zio che era anche un falangista, un pensatore monarchico francese, un sostenitore di Charles Maurras, il quale, all'improvviso, esce allo scoperto e dice che quelli dalla sua parte sono tutti assetati di sangue, e li rinnega completamente. Simone Weil è molto scioccata da questo, ritiene assai onorevole che una persona del genere sia in grado di rivedere le proprie idee. E, per poter avvicinarsi a Bernanos, anche lei fa lo stesso, e gli dice che prima era a favore degli anarchici, ma che ora ritiene che gli anarchici abbiano sbagliato, perché anche loro hanno commesso delle atrocità. È come un modo che lei ha per potersi avvicinare al personaggio, ed essere così in grado di trovare un terreno comune. Ma si tratta di qualcosa che fa in privato, non va in giro per il mondo a dire che gli anarchici commettono atrocità. Quello che avviene,  è che la storiografia recupera la lettera e finisce per rafforzare la tesi secondo cui Weil, come pensatrice, sia un conservatore, una sorta di eminente mistica, una religiosa che ha completamente rinnegato gli anarchici. Nel libro, quello che faccio è confermare che lei non ha rinnegato nessuno, e che era convinta della parte con cui avrebbe combattuto e – per di più – quando è tornata in Francia ha continuato a sostenerla pubblicamente. Anche mentre scriveva privatamente a Bernanos, difendeva pubblicamente gli anarchici. Tutta questa tesi sulla filosofa innocente che viene qui, e che non sa dove va a finire è una bugia. Bisogna che la sfera politica venga differenziata da quella filosofica e che lei, per entrare in contatto con questo pensatore, si permetta di banalizzare quelli che erano stati i suoi compagni di trincea, ma poi ha continuato a stare in contatto con questo gruppo, e li ha sostenuti. Penso che sarebbe rimasta scioccata se avesse saputo che la lettera era stata resa pubblica. A volte in privato diciamo cose che non ci interessa che emergano pubblicamente. Penso che Simone Weil non avrebbe mai rinnegato pubblicamente gli anarchici, e pertanto, nel libro, cerco di smontare questo mito.

C'è del maschilismo in questa strumentalizzazione?
Sì, il fatto che sia una donna rende più facile fare finta che si trattasse di una persona che non capiva molto bene in cosa si stava cacciando. Ma lei, invece, aveva una conoscenza molto chiara della politica catalana, a casa le arrivavano giornali catalani di sinistra, aveva contatti con figure importanti dei movimenti sociali della Catalogna, era amica di Joaquim Maurín e di Jaume Miravitlles, e aveva già vissuto a Barcellona, partecipando al movimento anarchico. Quando arriva, nel 1936, sa perfettamente cosa sta succedendo intorno a lei, sa cosa sta succedendo in tutta la Repubblica, chi sono gli attori chiave, quali sono i movimenti sociali e i partiti politici, non è affatto ignara. Ma è altrettanto vero che, essendo una donna, questa innocenza e ingenuità vengono in lei presupposti.

Perché Simone Weil venne a Barcellona nel 1936?
Una delle tesi, che io difendo nel libro, e che non è quella accettata storicamente, è che lei non viene qui per combattere il fascismo, bensì per osservare e sperimentare in prima persona l'attuazione del comunismo libertario. Lei, nel suo diario e in altri suoi testi e lettere, mostra parecchio interesse per questo progetto politico che la affascina, ed è molto curiosa di vedere come viene messo in pratica. Il suo diario, più che un diario di guerra, sembra un diario di rivoluzione. Commenta, dicendo cose come: «il denaro non è ancora stato abolito», oppure: «mi è stato detto che il comunismo libertario, in uno o due mesi verrà messo in pratica». Non sta facendo una cronaca di guerra, a parlare della guerra, non inizierà a parlare fino a un futuro inoltrato. Quando arriva, quello che le interessa è la socializzazione delle fabbriche, il lavoro comune nelle campagne, o se il comunismo libertario sia stato formalmente dichiarato, o meno. Tutti questi sono degli indizi che lei sta dando, ma che sono stati totalmente ignorati. A partire da queste e altre fonti, concludo che uno dei motivi principali che l'ha portata a prendere questa decisione, consapevolmente o inconsciamente, è stato il progetto rivoluzionario. La questione della guerra è arrivata dopo. Una volta lì, si è resa conto che la rivoluzione non poteva durare se non fosse stato fermato il fascismo, e pertanto si avvicinò al fronte, fino a che non decise di prendere le armi e difendere la rivoluzione.

Passa perciò da osservatrice a miliziana?
Sì, e questo spiega anche tutti i dilemmi morali in cui è incorsa durante questo processo. Era una pacifista, nel senso che era un'antimilitarista. Ha sostenuto che ci sono dei contesti nei quali può essere legittimo l'uso della violenza, e a volte aveva anche detto che forse il fascismo andrebbe fermato militarmente. Ma era antimilitarista. E questo è il suo dilemma morale, si trova in mezzo a una rivoluzione che vale la pena tentare, ma è minacciata dal fascismo, e così arriva alla conclusione che bisogna difendersi con le armi, e prende una pistola. Ma a un certo punto, arriva anche a pensare che prendere un'arma ci fa entrare in un processo inconscio, interno alle dinamiche della guerra, che ci fa diventare quel nemico che vogliamo combattere. Chi dà inizio alla guerra? Lo fa il fascismo, sempre, ma quando entriamo sul terreno della guerra, che è il terreno del fascismo, corriamo il rischio di diventare fascisti noi stessi. Quando l'economia non vigila più sul benessere del popolo ma funziona per scopi bellici, quando dobbiamo reprimere le libertà della popolazione perché bisogna vincere la guerra, e dobbiamo anche scoprire chi sono i nostri nemici, per eliminarli, ecco che vediamo che tutti questi processi mentali non sono altro che quelli del fascismo, e quindi entrare nelle dinamiche della guerra ci trasforma in fascisti. È questo il grande apprendimento che lei in seguito attua. Non lo fa mentre è qui. Perché, mentre è qui, ritiene che la rivoluzione debba essere difesa.

Cosa si dice del diario di viaggio di Weil?
Una delle cose importanti del libro è che esso mostra gli originali del "Diari d’Espanya", dal momento che alcune tesi sostengono che Simone Weil avesse strappato alcune pagine del diario, e questo spinge a pensare che forse era perché voleva autocensurare alcuni capitoli sulla brutalità degli anarchici, o perché doveva passare dei controlli e non voleva che gli anarchici vedessero che li stava criticando. Ciò è rafforzato dal fatto che, in effetti, le diverse trascrizioni del diario mostrano come il contenuto sia molto intermittente e che ci sono molte parti incompiute, e anche dei salti temporali. Il che ci ha portato a dire che il vero contenuto importante è proprio in quelle pagine che sono state strappate. Quando ho avuto il diario originale ho visto che la maggior parte delle cose che sono incompiute, lo sono perché lei le ha lasciate incompiute, non perché sono state strappate. Ho le mie teorie sul perché lo siano, incompiute. Ci sono solo due pagine che sono state strappate, alla fine del quaderno, e dopo 22 pagine bianche. Quando hai un taccuino, e sei in viaggio, e strappi le pagine dalla fine, di solito è perché stai dando qualcosa di scritto a qualcuno, o perché li stai usando per qualche motivo. La tesi sulle pagine strappate, nel suo complesso, non ha senso. Il diario non è completo, perché sei in guerra e quindi scrivi quando puoi e come puoi, e pensi «questo riuscirò a finirlo».

Cos'altro hai trovato?
C'è un'altra cosa interessante nella riproduzione del diario originale, cose che non vengono prese in considerazione nella trascrizione, come un ex libris che dice dove è stato fatto il taccuino, vale a dire, a Saragozza. Il diario inizia a Portbou, nel momento in cui lei entra in Spagna.E ci arrivi con un taccuino prodotto a Saragozza? La parte dell'ingresso a Portbou è vuota, e lo sono anche gli ingressi a Barcellona, a Lleida,  e anche "Columna Durruti" è vuota. Il diario comincia quando si trova a Pina d'Ebre. La mia tesi è che lei abbia comprato il taccuino a Pina d'Ebre, ed è per questo che è stato fabbricato a Saragozza, che dista 30 chilometri; la cosa ha molto più senso. Penso che sia molto probabile che avesse un diario di Parigi e che l'abbia perso, e quando è arrivata a Pina ha comprato un quaderno, e ha lasciato le pagine bianche per poi riempirle di nuovo in seguito. Questa tesi è rafforzata da una notizia del quotidiano El Diluvio, dove si dice che Weil aveva perso i documenti che le permettevano di lavorare come giornalista in territorio repubblicano. Ha perso i lasciapassare mentre era a Barcellona. Penso che abbia perso il suo taccuino allo stesso modo, o che sia stato rubato. Questo spiega lo strano formato di questo diario; perché mancano così tante informazioni. Da Barcellona lascia cinque pagine bianche. Penso che queste pagine mancanti dovessero essere piene delle sue impressioni sulle diverse industrie collettivizzate di Barcellona; che è ciò che lo interessava. Era molto affascinata dal lavoro industriale e, quando arrivò a Barcellona, ovviamente la prima cosa che la interessò fu come funzionasse il lavoro industriale sotto un regime rivoluzionario; in che modo avesse cambiato le cose. Quello che sto cercando di sostenere è che, se è vero che lei ha visto la brutalità anarchica a Barcellona, e ne è rimasta inorridita, non è chiaro perché allora sia andata al fronte e abbia chiesto a Durruti un'arma per difendere la rivoluzione. Non ha alcun senso. Quello che ha vissuto a Barcellona, per lei deve essere stato bello, poiché altrimenti non si va a Pina d'Ebre e si chiede di far parte del gruppo internazionale per poter andare ad ammazzare i fascisti.

E l'episodio della vendetta a Sitges dopo la fallita spedizione a Maiorca?
Quello che sostengo nel libro è che gli anarchici non c'entravano nulla, si trattava principalmente di militanti del POUM, e sembra che fossero quelli dello Stato catalano. È un problema che l'ha colpita mentre era in ospedale, ma non direi nemmeno che sia stato un punto di svolta, visto che poi ha continuato a sostenere il movimento anarchico. Lei è consapevole che già durante la guerra si sta costruendo questa storia sulla brutalità degli anarchici. È molto triste che, quando lei stessa si era sforzata di contrastare questa storia, la sua lettera personale a Bernanos serva invece a rafforzarla. Ed è anche vero che nella lettera compie una generalizzazione assai goffa sul movimento anarchico, e sottintende che alcune di queste atrocità commesse abbiano a che fare con il movimento anarchico. Ma in seguito, storici come quelli del gruppo "Els Gimenòlegs" hanno dimostrato come nemmeno gli esempi forniti da Weil possano essere attribuiti al movimento anarchico, e uno di questi esempi è proprio quello di Sitges.

Ed è dopo che sviluppa il concetto filosofico di forza?
È assai importante, dire molto chiaramente e a piena voce che questo concetto di forza poteva finire per diventare - e finisce per esserlo - uno dei concetti più centrali della sua filosofia, proprio a partire dal momento che è lei a sperimenta in prima persona questa forza, mentre partecipa alla guerra civile. Perché la colpisce così tanto la storia di un giovane falangista di 15 anni che viene giustiziato dagli anarchici? Perché questo giovane è stato catturato dai suoi compagni di trincea, da cui si è separato solo un giorno prima, a causa di un incidente che l'ha costretta ad andare via dal fronte. La mia tesi, è che lei si renda conto del fatto che se questo incidente non l'avesse portata via dal fronte, avrebbe potuto essere stata lei a uccidere quel giovane falangista. È questo che la porterà a riflettere molto sul concetto di forza, e capirà che avrebbe potuto essere lei stessa a esercitare questa forza contro un nemico che doveva essere eliminato, e di qui a rendersi conto che questo nemico era solo un quindicenne fanatico il quale non capiva in cosa si stesse allora cacciando. Ma è altrettanto certa che - una volta in un contesto di guerra segnato dall'imperativo di eliminare il nemico - non avrebbe fatto altro che obbedire a tale imperativo. Io penso che una simile consapevolezza sia tanto forte da portarla a sviluppare il concetto di forza, fino a dei livelli filosofici molto interessanti. Il che non significa che poi,  in seguito, politicamente, non rinunci al movimento anarchico. Ed è anche curioso che, una volta che ne è certa e che vuole scrivere di questo argomento, lei non parli però di guerra civile, e questo non è banale. Per illustrare questo concetto filosofico confermatosi nella guerra civile, Simone Weil parla dell'Iliade, passa a quello che è stato il più importante conflitto umano primario che conosciamo, la guerra di Troia. E questo è importante, perché lei sapeva che se invece ne avesse parlato inserendolo nella guerra civile spagnola, allora ci sarebbe stato il pericolo che la gente potesse dire che anarchici e fascisti erano sullo stesso piano. Credo che Weil non volesse che si dicesse; voleva separare la conclusione a cui era giunta in campo filosofico da ciò che difendeva in campo politico, e pertanto non voleva che fascismo e anarchismo venissero equiparati. Dirlo sarebbe stata un'aberrazione.

Malgrado le conclusioni filosofiche, ha continuato a combattere politicamente?
Alla fine della sua vita, sarà ossessionata dall'idea di partecipare alla Resistenza contro i nazisti. Si impegnerà politicamente contro il fascismo, fino all'ultimo momento. Morì all'età di 34 anni, malata di tubercolosi, delusa. Per lei, arriva un momento in cui crede che Hitler debba essere fermato e, pertanto, è legittimo condurre una guerra antifascista contro i nazisti. In un certo qual modo, diventa una militarista proprio perché ha continuato a essere antimilitarista per tutto il conflitto spagnolo; così, dice in guerra ci devono essere dei volontari, e che le persone devono andare perché sono davvero queste le idee che lei difende, non perché si costringe a farlo. Per questo, alla fine della sua vita, con la guerra contro Hitler,riesamina tutte le sue idee, perché arriva a dire che, in caso contrario, Hitler avrebbe fatto come l'Impero Romano, e avrebbe distrutto tutte le singolarità culturali del Mediterraneo. È antifascista fino all'ultimo momento, e crede che in questo debba metterci il proprio corpo, pensa che non si debbano mai separare gli ambiti del pensiero e del lavoro manuale. E questa è una costante in tutta la sua vita.

Quali sono i suoi contributi filosofici?
In questo paese, ci sono persone che da molti anni pensano e scrivono di Simone Weil, e potrebbero dire molto meglio di me quali sono i suoi grandi contributi filosofici e politici; i quali sono molteplici e assai diversi tra loro. Certo, c'è sì una Simone Weil mistica, ma c'è anche una Simone Weil politica molto potente che va rivendicata. E io cerco di dare valore alla politica. Prima di cominciare a esplorare il terreno mistico, lei aveva già scritto delle cose abbastanza rilevanti da essere considerata una delle più importanti filosofe del XX secolo. C'è un suo trattato politico ed economico che mira a confutare il marxismo sotto molti aspetti, che propone una teoria emancipatrice al di là del marxismo; cosa che ai suoi tempi costituiva una novità. Era il 1934, e lei fa una feroce critica all'URSS, da posizioni di sinistra radicale, di ispirazione libertaria, non esplicitamente anarchica. Al momento, è molto amica di Boris Souvarine, che è un antistalinista ma che è anche un anti-trotzkista. Si tratta di una visione molto interessante e innovativa, critica nei confronti del marxismo. Poi è vero che a livello filosofico esplora dei terreni mistici che sono anch'essi interessanti. Ma è da molto tempo che viene evidenziata la parte mistica, adesso è importante salvare quest'altro aspetto.

Come reagì l'anarchismo alla strumentalizzazione di Weil?
Nel momento in cui la lettera a Bernanos venne pubblicata su una rivista anarchica, fu uno shock, soprattutto per i suoi compagni di trincea, in particolar modo per Luis Mercier-Vega. Questo ha significato che, da parte dello stesso movimento anarchico, c'è stato un rifiuto della figura di Simone Weil; si dice che «lei non è una di noi, è una traditrice perché ci ha criticato». La reazione di Mercier e di molti anarchici, è del tutto legittima e logica, ma penso anche che debba essere messa in prospettiva, e non debba farci dimenticare che Simone Weil continua ancora a essere molto recuperabile dall'anarchismo. È un peccato sottovalutare tutto ciò che ha scritto a favore dell'anarchismo, solo perché è stata pubblicata la lettera a Bernanos. Simone Weil, certo non direbbe di essere una pensatrice anarchica, anche perché era molto infastidita dal fatto che potesse essere incasellata in qualsiasi ideologia, o movimento politico, ma penso che abbia delle posizioni libertarie ben chiare, e che si debba continuare a recuperarle, per alimentare il nostro pensiero libertario. Nel libro, cerco anche di recuperare un po' di genealogia riguardo a come sia passata dal sindacalismo all'anarchismo in maniera abbastanza consapevole.

E ora ne farai un film, il tuo primo film di fiction?
La pubblicazione del libro non era programmata. Negli ultimi quindici anni mi sono dedicato ai documentari, e ora mi sto impegnando su un registro di fiction. Essendo abituato a fare documentari - e pertanto quando faccio un'opera mi documento - in qualche modo sento che tutte queste informazioni, le quali poi pertanto non si rifletteranno nell'opera finale, mi fanno male. Il film di fiction prende la realtà e la incapsula in un prodotto che dev'essere molto facile da consumare, ma il film è separato dal documento. Il film sarà in grado di aiutarci a capire la realtà grazie a una certa semplificazione, ma poiché vengo da dove vengo, ho bisogno anche di questa realtà [sottolinea: il libro]. La sceneggiatura è stata scritta sulla base di questo, ma viene fatta semplificando. In questo momento siamo nella fase di sviluppo, e spero di poter essere nella fase di produzione all'inizio del prossimo anno. Poi penso che tutto andrà molto più veloce. Con un po' di fortuna, tra un paio d'anni riusciremo a vedere il film sullo schermo.

- Intervista di Roger Costa Puyal a Xavier Artigas - Pubblicata il 20/3/2025 su https://directa.cat/ -

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