"La sostanza del capitale", di Robert Kurz
- Sintesi didattica di di Benoît Bohy-Bunel -
Prima parte: La qualità socio-storica negativa dell'astrazione "lavoro"
Capitolo 1: Assolutezza e relatività nella Storia - Chiarire il concetto di "relatività" storico-sociale
Nel primo capitolo, Kurz attacca le ideologie postmoderne, le quali non definiscono chiaramente il loro riferimento alla relatività. Kurz pone una distinzione che i post-modernisti non fanno: da un lato, distingue la relatività di una data formazione sociale, all'interno della Storia, e, dall'altro, l'assolutezza di certe forme sociali all'interno di una data formazione. Dal momento che i postmodernisti non fanno questa distinzione, essi non sono in grado distinguere tra forme sociali storicamente diverse. Non capiscono la specificità della modernità capitalista, né le sue categorie fondamentali.
L'importanza di una critica categoriale del capitalismo
Secondo Kurz, per poterla semplicemente criticare, è già necessario percepire tanto l'essenza categoriale quanto la sostanzialità della formazione sociale storica. Nella formazione capitalistica regna una «assolutezza a uso interno, o quanto meno esiste una pretesa reale che va in questa direzione (...), una pretesa che deve essere spezzata» (p. 28). I postmodernisti, dal momento che non hanno una chiara definizione di relatività e di assolutezza, considereranno perciò che qualsiasi critica di "essenza", "sostanza" o "totalità", sia di per sé "essenzialista", "metafisica", o addirittura "totalitaria". Essi, così facendo, si proibiscono di criticare la radice della dominazione capitalistica, e confondono il punto di vista della critica con l'oggetto della critica. Alla fine, riducono la loro critica concentrandola solo su delle semplici forme fenomeniche contingenti e disperse (rapporti di "potere", ecc.), senza però essere in grado di coglierne la logica capitalistica essenziale, e senza essere in grado di specificarla con precisione. Il fatto di tematizzare la "sostanza" del capitale, si riferisce alla preoccupazione di proporre una critica categorica del capitalismo, che vada alla radice del dominio capitalistico. Le categorie fondamentali del capitalismo (lavoro astratto, merce, valore, denaro) costituiscono delle forme che hanno una pretesa di assolutezza; e che allo stesso tempo sono relative alla modernità capitalistica. Inoltre, poiché sono assolutamente distruttive, anche la loro negazione deve essere assoluta. Distinguendo tra il livello delle categorie e quello che invece è il livello delle loro espressioni empiriche, sarà così anche possibile formare «un concetto delle relazioni che costituiscono l'essenza del capitalismo», e sarà possibile anche cogliere le «differenze tra questa essenza e le mutevoli configurazioni storiche che il capitalismo assume a sua volta» (Moishe Postone, "Tempo, lavoro e dominio sociale", p. 12, versione tedesca). Poiché il pensiero postmoderno non percepisce nemmeno questo piano categoriale, ecco che esso spesso confonde una specifica configurazione del capitalismo (il libero mercato, per esempio) con l'essenza stessa del capitalismo.
Capitolo 2: Il concetto filosofico di sostanza e la metafisica reale del capitalismo - L'emergere di una sostanza unica e totalizzante nella modernità
Kurz cerca pertanto di precisare questa sostanza sociale moderna. Nelle teorizzazioni premoderne, viene privilegiata (se si mette da parte la sostanza trascendente "Dio") l'idea di una pluralità di sostanze. Nell'era moderna, la sostanza tende a diventare unica e omogenea. Già nelle scienze naturali moderne, stiamo assistendo a un riduzionismo fisicista (Newton). Secondo Kurz, questa tendenza esprime l'emergere di un'astrazione reale unificata e totalitaria rispetto al mondo sociale. In tal modo, Kurz afferma che «il meccanismo dell'universo a orologeria newtoniano, riflette in realtà una relazione sociale assai specifica, la quale coinvolge, tra le altre cose, un modello relativo a degli individui atomizzati e astratti». (pag. 35)
La nozione di "metafisica reale"
Le moderne scienze naturali - come le teorie sociali apologetiche - non vanno oltre la metafisica, ma avranno sempre delle evidenti basi metafisiche. Tuttavia, questa metafisica non è una semplice riflessione filosofica o teologica, bensì «una relazione all'opera nella realtà sociale, in altre parole, una vera e propria metafisica» (ivi.). Naturalmente, le costituzioni sociali premoderne, che svilupparono altre forme di feticismi (teocratici), rappresentarono anche una sorta di "metafisica reale" (le relazioni sociali potevano essere regolate da idee e rappresentazioni). Ma questa metafisica veniva determinata «dall'aldilà, attraverso la proiezione di quella che era la sostanza assoluta e trascendente per eccellenza» (p. 36): l'essenza divina. Nella metafisica capitalistica reale, la trascendenza è abolita: la sostanza feticista, sotto le spoglie della valorizzazione del valore, è «immediatamente terrena e sociale» (p. 37). Il valore, in senso capitalistico, è quindi una vera e propria "astrazione reale". Kurz dirà: «Il paradosso dell'astrazione reale, sta nel fatto che un'astrazione - in sé non incarnata, non fisica, non materiale, una cosa pura del pensiero, una creazione della mente socialmente oggettivata dalla sua natura di proiezione feticistica - appare tuttavia come una relazione interpersonale reale, e come una vera oggettività fisica» (p. 38). In questo contesto, possiamo capire come alcune correnti filosofiche dominanti, come l'idealismo tedesco, esprimano l'emergere di questa vera astrazione capitalistica. Queste correnti costituiscono delle vere e proprie apologie implicite della forma-valore. Kurz ha detto: «Nell'era moderna, specialmente nell'idealismo tedesco, l'idealità trascendente delle forme essenziali che Platone difendeva, ora appare come l'idealità immanente del principio essenziale». In tal modo, dietro la "forma in generale" kantiana, dietro lo "spirito del mondo" hegeliano, dietro la "volontà assoluta", ecc., noi troveremmo la forma-valore, che viene qui affermata in modo apologetico.
Materialismo sostanziale moderno e idealismo: due facce della stessa medaglia
Il materialismo sostanziale della fisica meccanicistica, che afferma anche l'unità di un principio immanente, non è altro che il doppio complementare e inseparabile di questo idealismo. Esso esprime anche una «forma sociale feticcio paradossalmente secolarizzata» (p. 41). A partire da questi due principi sostanziali moderni - idealistico e materialistico - si stabilisce la distinzione tra forma e contenuto. Ma il contenuto (la natura ridotta a un puro meccanismo) è esso stesso modellato dalla forma (l'astrazione reale). Kurz dirà: «Ironicamente, il materialismo reale del lavoro e della scienza capitalistica della natura, anziché essere il contrario dell'idealismo reale della forma-valore, si rivela, puramente e semplicemente, come la sua manifestazione pratica» (p. 43). È questo il motivo per cui Kurz può criticare il "materialismo" del marxismo tradizionale, il quale rappresenta solo il «riflesso affermativo di uno degli aspetti della relazione di valore, vale a dire, il materialismo sostanziale della riduzione fisicalista». (Ibidem)
Capitolo 3: Il lavoro astratto nella critica marxiana dell'economia politica: un concetto negativo di sostanza - Il marxismo tradizionale manca della critica marxiana del lavoro astratto
Il marxismo tradizionale ha definito il lavoro come se fosse un dato ontologico e insuperabile. Non ha percepito la preoccupazione per la denaturalizzazione delle categorie fondamentali del capitalismo; presenti nel I° capitolo del Capitale. Di conseguenza, è stato persino in grado di proporre una «economia politica del capitalismo», sebbene Marx formuli soprattutto una critica dell'economia politica (Marx non è in alcun modo un "economista"). Marx, nel capitolo I° del Capitale, propone un concetto di "lavoro astratto" essenzialmente negativo, e che è peculiare della modernità capitalista. Il lavoro astratto consiste in una riduzione al lavoro indifferenziato, in cui non si tiene alcun conto del contenuto concreto e differenziato delle varie opere. Questo lavoro astratto, è la sostanza del valore, e regola la sintesi sociale capitalistica. In tale contesto, diventa assurdo affermare positivamente la realtà del lavoro, come se si trattasse di una realtà trans-storica; che si tratterebbe semplicemente di realizzare. Il lavoro astratto è una sostanza negativa e distruttiva, storicamente determinata. Il marxismo tradizionale, non ha percepito questa dimensione negativa e storicamente determinata della sostanza del lavoro, motivo per cui esso non propone alcuna critica del lavoro, ma piuttosto una critica dal punto di vista del lavoro.
L'aporia marxiana sul lavoro
Detto ciò, per quanto riguarda il lavoro, in Marx esiste un'aporia. Nello stesso momento in cui egli proponeva una critica radicale dell'astrazione reale moderna del lavoro astratto, Marx rimaneva tuttavia legato, in parallelo, all'ontologia del lavoro derivante dall'Illuminismo e dal protestantesimo. Egli pertanto oscilla tra una concezione negativa e storicamente specifica del lavoro (astratto), e una concezione trans-storica del lavoro "umano", nella quale egli confonde quest'ultimo con quella che è invece una semplice «metabolizzazione dell'uomo con la natura». Questa aporia, è stata apertamente formulata in un passo dei Grundrisse: «ll lavoro sembra una categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro nella sua generalità come lavoro in generale — è molto antica. E tuttavia, considerato in questa semplicità dal punto di vista economico, "lavoro" è una categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice astrazione. [...]Così l'astrazione più semplice che l'economia politica moderna pone al primo posto, e che esprime come se fosse un rapporto molto antico valido per tutte le forme di società, appare tuttavia in questa forma astratta, come una verità pratica, solo come una categoria della società più moderna» (Grundrisse).
Per andare oltre l'aporia marxiana. Pensare con Marx, oltre Marx
Secondo Kurz, questa aporia può essere superata solo definendo il lavoro come un'astrazione reale specificamente moderna, abbandonando l'ontologia positiva del lavoro. È solo nel capitalismo che il lavoro (astratto) diventa un'universalità sociale che comprende "l'attività in generale". Nelle società premoderne, il termine "lavoro" copriva un settore di attività molto limitato. Usare il termine "lavoro" per designare l'attività produttiva nelle società pre-moderne costituisce certamente una traduzione errata, ma anche una retroproiezione anacronistica. Inoltre, la dualità marxiana del lavoro astratto e del lavoro concreto - secondo Kurz - riflette già questa aporia marxiana. Il lavoro astratto è una sorta di pleonasmo logico, poiché la nozione di lavoro è di per sé un'astrazione. Il "lavoro concreto" sarebbe pertanto una contraddizione in termini. Ma questa tensione riflette anche il fatto che il capitale riduce già il concreto in sé, a un'astrazione. Il concreto è solo l'espressione dell'universale astratto-reale. L'aporia marxiana si esprime anche allorché Marx ontologizza il valore d'uso. Secondo Kurz, il valore d'uso non è una categoria trans-storica, ma è già un'astrazione, in quanto si riferisce all'astrazione del valore. Il valore d'uso è solo «il modo materiale specifico in cui il 'lavoro astratto' esercita la sua presa sulla "materia" naturale o sociale.» (p. 52). K. Hafner specificherà nel suo articolo "Il feticismo del valore d'uso", la necessità per cui si deve denaturalizzare il valore d'uso. In tal modo, per Kurz, possiamo continuare a usare queste dualità e concetti marxiani, ma bisogna farlo con una comprensione diversa da quella di Marx. Poiché Marx stesso si muove all'interno di un'aporia che egli non è stato in grado di superare. Pensare con Marx, e oltre Marx: è questo il programma di Wertkritik.
Riabilitare la definizione marxiana del contenuto della sostanza del valore
Inoltre, in questo capitolo, Kurz tenterà di riabilitare la definizione marxiana del contenuto della sostanza del valore. La sostanza del valore (lavoro astratto) deve avere un contenuto, poiché se è solo una forma pura, non può essere quantificata: la grandezza del valore deve riferirsi alla quantità di qualcosa che possiede un contenuto, altrimenti l'idea di una quantità di valore diventa di per sé assurda. Inoltre, la definizione di contenuto della sostanza del valore, ci consente di definire le crisi da un punto di vista categoriale, descrivendo quello che consiste in un processo di de-sostanzializzazione del valore (all'aumentare della composizione organica del capitale). Come definiamo il contenuto della sostanza del valore? Marx dice che il lavoro astratto si riferisce a un puro dispendio fisiologico di «materia cerebrale, muscolo, nervo». I neo-marxisti del valore (e anche Postone) ritengono che questa dimensione della teoria marxiana non sia soddisfacente, poiché consisterebbe nell'avere una definizione trans-storica e naturalistica del valore. Ma Kurz si oppone a questi neomarxisti: il dispendio energetico indifferenziato, che definisce il contenuto della sostanza del valore, in realtà, non è qualcosa di trans-storico o di naturale, ma si riferisce piuttosto a un processo di valorizzazione storicamente ben determinato. Il fatto di ridurre l'attività produttiva umana a un dispendio energetico indifferenziato, non è specifico di nessuna società "in generale", ma, al contrario, esprime il modo in cui il valore viene valutato nella modernità capitalista.
Capitolo 4: Il concetto positivo di lavoro astratto nell'ontologia marxista del lavoro - La recensione di Isaak Rubin
Kurz inizia criticando Rubin, un teorico che è tornato alla teoria marxiana del valore. Rubin riconosce che il lavoro astratto è specificamente capitalista, ma afferma che, in una società socialista, «il lavoro socialmente egualitario» rimarrà una necessità, al fine di poter così «realizzare un piano sociale che sia almeno in qualche modo esteso» (p. 59). Secondo Rubin, il processo di astrazione nel socialismo è solo secondario. Ma in fondo Rubin non esige l'abolizione dell'astrazione del lavoro. In sostanza, egli vorrebbe stabilire una contabilità dei reciproci risultati, al fine di costituire un sistema regolato di distribuzione, nel "socialismo". In tal modo, tutto ciò rimane prigioniero delle nozioni astratte di "performance" e di "risparmio di tempo"; sebbene esse siano specificamente capitalistiche. Così facendo, si ontologizzano le caratteristiche capitalistiche, e si proiettano nel "socialismo" (che, di fatto, rimarrà un capitalismo che ignora sé stesso). Secondo Kurz, nel testo di Marx c'è già una tensione, allorché egli distingue tra socialismo (in cui la performance astratta gioca un certo ruolo) e comunismo. Anche in questo caso, il marxismo tradizionale esprime la proporia incapacità di andare oltre l'aporia marxiana; esso non vede il programma marxiano di denaturalizzazione delle categorie dell'economia borghese.
La critica del circolazionismo
Successivamente, Kurz critica una forma di circolarismo propria del marxismo tradizionale. Il marxismo tradizionale, considera il più delle volte quella che è una vera astrazione a posteriori, la quale si realizzerebbe sul mercato, e non una vera astrazione a priori, la quale ha già luogo nella produzione. In questo senso, il marxismo tradizionale si accontenterebbe di criticare quello che è un modo di distribuzione del valore - la disposizione legale della proprietà privata, il mercato - ma non le specificità della produzione capitalistica. Per i marxisti tradizionali, è il modo di circolazione quello che definirebbe il capitalismo, nel quale perciò la produzione viene a essere pensata come una base trans-storica e ontologica; e pertanto non aperta alla critica in quanto tale. L'idea che il proletariato possa "appropriarsi" delle "forze produttive" così come sono, fa parte di questo misticismo marxista tradizionale, il quale ontologizza il lavoro. Il lavoro concreto (inteso come lavoro trans-storico) definirebbe - secondo questa ideologia - la produzione, mentre il lavoro astratto sarebbe il lavoro rappresentato nel momento in cui la merce viene venduta su un mercato, nella circolazione. Per Kurz ci troviamo di fronte a un equivoco, dato che la dualità tra lavoro astratto e lavoro concreto agisce a priori, già nella produzione. Anche Alfred Sohn-Rethel, rimanendo concentrato sulla "astrazione-scambio", sviluppa un circolarismo tronco. Secondo lui, l'astrazione reale non configura la produzione, ma piuttosto sarebbe il valore a essere semplicemente convalidato nella circolazione. In questo contesto, la "emancipazione" finirebbe per essere solo questione di pianificazione esterna, la quale non mette in discussione i fondamenti della produzione capitalistica.
La recensione di Georg Lukács
Pertanto, questo marxismo tradizionale si riferisce alla rigida ontologizzazione di categorie che sono tuttavia specificamente capitaliste. Lukács aveva già prodotto questa ontologizzazione, nella sua "Ontologia dell'essere sociale" (1973). Per Lukács, ciò che distingue l'umano dall'animale, sarebbe il lavoro. La sostanza del lavoro è pensata, ma come una sostanza positiva e trans-storica. Questa ontologizzazione del lavoro implica logicamente anche l'ontologizzazione del valore. In Lukács, il problema è semplicemente il modo di distribuzione capitalista. Ontologizzando il modo di produzione capitalistico, ci si impedisce perciò di pensare efficacemente al superamento del capitalismo.
Capitolo 5: Elementi per una critica del concetto postoniano di lavoro - Moishe Postone non va oltre l'aporia marxiana in tema di lavoro
Postone, in "Tempo, lavoro e dominazione sociale", ha l'immenso merito di riflettere sulla specificità storica dell'opera astratta. Egli afferma che il lavoro astratto è specificamente capitalistico, in quanto esso è una mediazione sociale inseparabile dal processo di valorizzazione della merce. Ma Postone, sul tema del lavoro, non tenta di andare oltre l'aporia marxiana. Nonostante il suo tentativo di denaturalizzare la categoria dell'opera astratta, egli continua, di tanto in tanto, a riferirsi alla nozione di "opera", che secondo lui sarebbe trans-storica.
I limiti della tendenza postoniana a pensare a un Marx del tutto "coerente"
Postone evocava, ad esempio, la preoccupazione marxiana per una "economia del tempo", la quale sarebbe stata presente in una società "socialista". Egli ci tiene a distinguere questa quantificazione del tempo "socialista" dalla quantificazione all'opera nel principio capitalistico del lavoro astratto. Tuttavia, in Marx una simile distinzione non esiste (per essere precisi, Marx sviluppa qui l'aporia che egli stesso non è stato poi in grado di superare). Volendo pensare alla "unità" e alla "coerenza" di Marx, e non percependo la tensione esistente in Marx riguardo alla nozione di lavoro, è Postone stesso che stavolta riproduce alcune confusioni, e lo fa nonostante la propria preoccupazione di specificare storicamente il lavoro astratto.
Capitolo 6: Il lavoro astratto e il valore come priori sociale - La questione pratica di una critica della produzione in quanto tale
Secondo Kurz, il valore e il lavoro astratto sono dei concetti legati alla produzione. Il marxismo tradizionale - che attribuisce valore alla circolazione - ontologizza la sfera della produzione e, in ultima analisi, critica solo i rapporti politico-giuridici relativi alla distribuzione. In questo contesto marxista tradizionale, per esempio, è impossibile vedere il carattere ecologicamente distruttivo del sistema di produzione capitalistico. Secondo un marxismo tradizionale, che sostiene una forma di "riappropriazione", si tratterebbe appunto di "riappropriarsi" di quelle forze produttive che si sono sviluppate nel capitalismo, facendolo semplicemente abolendo la proprietà privata. Un tale sistema "socialista", visto dal punto di vista ecologico, non sarebbe meno distruttivo. Il fatto di pensare al lavoro astratto come se fosse un apriori sociale, che ha il suo posto nella produzione, non si riferisce semplicemente a un puro dibattito teorico privo di una vera posta in gioco pratica. A livello pratico e critico, invece, questa domanda tocca dei problemi urgenti come quello ecologico, il produttivismo distruttivo, ecc.
La recensione di Michael Heinrich
Kurz criticherà Heinrich, rimproverandogli di aver definito la teoria marxiana del valore come se si trattasse di una teoria della circolazione (e non della produzione). Secondo Heinrich, sarebbe attraverso lo scambio che si realizza l'astrazione implicita nel lavoro astratto. Per lui, il lavoro astratto sarebbe un «rapporto di convalida sociale» che esiste solo attraverso lo scambio (Heinrich, 2004, p. 48). Per Kurz, la colpa di Heinrich è quella di non distinguere tra valore e valore di scambio. Il valore di scambio, è una forma fenomenica che si esprime efficacemente nello scambio. Ma il valore è invece una forma essenziale di capitale, che è già relativo alla produzione. Il valore di scambio si manifesta nel valore di scambio stesso, come categoria essenziale della produzione. Kurz pertanto rimprovera a Heinrich di non aver colto le distinzioni marxiane tra valore/valore di scambio e tra essenza/fenomeno. Ancor prima dello scambio, le merci, in quanto oggettività del valore, sono già una «semplice gelatina di lavoro indifferenziato». Marx stesso disse: «Ciò che è in comune, e che si rivela nel rapporto di scambio, o nel valore di scambio, della merce, è il suo valore». Il valore quindi emerge nella produzione (come «oggettività spettrale») per poi essere fenomenalmente esposto nello scambio. È in questa misura che il valore (e la sostanza del valore, il lavoro astratto) costituiscono un apriori sociale. La critica radicale del valore e del lavoro astratto, non è una semplice critica della circolazione, essa sarà innanzitutto una critica delle radici essenziali della produzione. Kurz non vuole riabilitare una «teoria pre-monetaria del valore» (alla maniera di Backhaus). Il denaro, è già presupposto in quanto forma di capitale, nella produzione di merci. Le analisi del I° Capitolo del Capitale sono da intendersi come delle derivazioni logiche, non storiche. Dobbiamo anche pensare a tutto quello che costituisce l'intreccio tra circolazione e produzione. Ma questo non dovrebbe impedirci però di pensare alla specificità della produzione capitalistica di valore, e al lavoro astratto in quanto sociale a priori.
Capitolo 7: Che cos'è l'astratto-reale a livello del lavoro astratto? - Una domanda guida: in che modo la logica della valorizzazione astratta incide sull'organizzazione concreta della produzione?
La funzione del processo di produzione, come processo di formazione del valore, ha in sé qualcosa di astratto. Il lavoro concreto, in quanto «trasformazione sensibile e tangibile della materia» (p. 117), è sempre l'espressione di qualcos'altro (il valore). Il lavoro, nel processo di produzione, vale solo in quanto dispendio di forza-lavoro astratta in generale. Questo punto di vista influenza (e domina) l'organizzazione della produzione. Kurz pone una semplice domanda: quali sono le mediazioni pratiche, che permettono di decifrare il lavoro concreto come se fosse una semplice forma fenomenica di lavoro astratto?
La logica spaziale del valore
In primo luogo, a livello spaziale, l'astrazione del valore si realizza secondo il principio di una "economia disintegrata": il luogo di produzione è uno spazio a parte; funzionale e distaccato dal processo esistenziale. I momenti dissociati di questo spazio disintegrato di produzione di valore, verranno connotati come "femminili". In questo senso, la logica spaziale del valore è diventata inseparabile da quella che è una dissociazione sessuo-patriarcale. Il lavoro astratto, è strutturalmente maschile. Le disuguaglianze salariali tra uomini e donne - il mancato riconoscimento delle donne nella sfera produttiva - sono «l'espressione del rapporto di dissociazione, in quanto caratteristica essenziale del lavoro astratto stesso, e del suo spazio funzionale di gestione aziendale» (p. 122).
La logica temporale del valore
Lo spazio funzionale e disintegrato dell'azienda, corrisponde a un tempo che è a sua volta disintegrato e astratto; un tempo funzionale, specifico del lavoro astratto. Questo tempo è illimitato e indeterminato. Esso è allo stesso tempo omogeneo, assoluto e quantificabile in ore, minuti, secondi, ecc. Non dipende da eventi qualitativi (cicli naturali, periodicità della vita umana). Si tratta piuttosto di una "variabile indipendente" (cfr. Lo spazio disintegrato e il tempo astratto formano uno «spazio-tempo specificamente sociale, un continuum spazio-temporale situato lontano anni luce da tutti i bisogni umani, e da tutta la vita sociale» (p. 134).
La forma giuridica della proprietà privata deriva dalla logica spazio-temporale del lavoro astratto
Questa forma spazio-temporale del valore, è un a priori sociale, e la forma giuridica della proprietà privata non è altro che una derivata rispetto a essa. La mera messa in discussione della proprietà privata (senza mettere in discussione le caratteristiche essenziali della produzione capitalistica) non modificherebbe in alcun modo questo carattere spazio-temporale distruttivo, e non abolirebbe il principio della dissociazione del valore, basato su una forma-soggetto assai specifica (soggetto maschio-occidentale-bianco). La proprietà privata dei mezzi di produzione, è «la forma giuridica propria del sistema del lavoro astratto, e del suo specifico spazio-tempo astratto» (p. 135): esso non può essere radicalmente messo in discussione, senza mettere radicalmente in discussione la categoria del lavoro astratto.
Un triplice processo di astrazione reale e pratica
Kurz identifica quello che è un «triplice processo di astrazione reale e pratica», il quale si svolge nello spazio-tempo astratto dell'azienda:
1 - I soggetti devono astrarre dalla propria persona, perché lo scopo della loro attività (valorizzazione) è a loro "estraneo"; Non possono influenzare il contenuto della produzione, né possono far valere i loro desideri o bisogni specifici.
2 - I sudditi devono ignorarsi a vicenda. La cooperazione è una norma imposta da criteri di gestione esterni a loro. La relazione con l'altro è negativa, e ogni soggetto produttore è una monade in competizione con gli altri.
3 - I produttori devono voltare le spalle al "materiale" della loro attività. Non si identificano con gli oggetti che realizzano.
Il valore d'uso non è altro che una semplice determinazione formale dell'oggettività del valore. Questo capovolgimento è dovuto anche al carattere specifico della merce; la forza-lavoro. Il valore d'uso specifico di questa merce consiste nel fatto che essa è «una fonte di valore, e di valore maggiore di quello che essa stessa possiede». (Marx, Il Capitale, I, PUF, 1993, p. 217). Qui, il valore d'uso designa solo la produzione di plusvalore, cioè, un processo astratto staccato dal mondo sensibile.
Il contenuto oggettivo della produzione è plasmato dalla logica astratta della valorizzazione
Inoltre, il "che cosa" della produzione, il suo contenuto oggettivo, è plasmato dalla logica astratta della valorizzazione. Nessun corpo sociale «decide consapevolmente il contenuto concreto della propria produzione, secondo dei criteri di adeguatezza ai bisogni». «L'a priori del lavoro astratto, e del valore, determina anche le strutture del bisogno sociale» (p. 142). Gli imperativi della redditività e della solvibilità, condizionano l'accumulazione di "merci" che sono distruttive, velenose, ecc. Kurz riassume questa idea così: «Il sistema del lavoro astratto, rovescia il rapporto tra bisogno e produzione: non sono più i bisogni, per loro conto, a generare la produzione, bensì il fine in sé di una produzione disincarnata che genera dei bisogni sempre più negativi, costituendo un mero mezzo per essa stessa». (pag. 143)
Riduzionismo fisicista astratto-reale
La prassi dell'impresa, realizza in ultima analisi i principi astratti di un riduzionismo fisicista. Il sociale è biologizzato, e i processi biologici sono essi stessi ridotti al chimico e al fisico. «Gli esseri umani vengono trattati come gli animali e le piante, ma gli animali e le piante sono trattati come pietre o metallo». (pag. 145) Nella prassi manageriale, la "materia umana" si trova a essere ridotta a una "oggettività morta". Questo riduzionismo fisicista astratto-reale ha anche delle conseguenze ecologiche disastrose, e implica la distruzione della biosfera planetaria.
Capitolo 8: Il tempo storico-concreto del capitalismo - La duplice natura del tempo nel capitalismo e la sua dialettica
Il tempo astratto del valore, omogeneo e astorico, deve essere pensato in relazione al tempo storico-concreto che è plasmato da questa logica astratta, e che è fatto di "sviluppi" e crisi. La natura duale del tempo nel capitalismo (tempo astratto del valore e tempo storico-concreto) è legata alla natura duale della merce, che è insieme oggettività del valore e materia sensibile. Il tempo astratto rappresenta la logica temporale della valorizzazione astratta. Il tempo storico-concreto rappresenta la logica temporale della materialità mobilitata dal processo di valorizzazione, così come il correlativo sviluppo sociale. Nello stesso momento in cui il lavoro astratto è indifferente alla materia concreta che mobilita, il processo di valorizzazione spinge verso uno sviluppo determinato-materiale-concreto. Questa dialettica definisce le relazioni tra il tempo astratto e il tempo storico-concreto nel capitalismo. Queste due forme temporali sono entrambe opposte e intrecciate.
Pensare all'emancipazione
Paradossalmente, il tempo astratto dell'impresa disintegrata è il tempo che sembra essere vissuto, soggettivamente, dai soggetti produttori, mentre il tempo storico-concreto capitalistico, modellato dal fine irrazionale del "soggetto automatico", sembra diventare un vincolo oggettivo a cui gli individui sarebbero sottoposti. Secondo Kurz, l'emancipazione presuppone «la conquista del controllo collettivo sul tempo storico-concreto, proprio per abolire consapevolmente lo spazio-tempo disintegrato della gestione aziendale, e quindi per superare la logica della valorizzazione del valore». (pag. 154)
Pensare alle crisi
Il tempo storico-concreto non è solo una traiettoria di "sviluppo". È anche una traiettoria di crisi. Secondo Kurz, l'irreversibilità del processo storico rivela un confine storico assoluto. A questa domanda si dedica nella seconda parte del libro.
Seconda parte: Il fallimento della teoria marxista delle crisi basata su una concezione ontologica del lavoro. Le barriere ideologiche che impediscono l'ulteriore sviluppo di una critica radicale del capitalismo.
Capitolo 9: La "teoria del collasso" come parola arrabbiata e concetto falso nella storia della teoria marxista - Il rapporto tra la critica dell'opera astratta e la teoria delle crisi
La critica radicale delle condizioni astratte del lavoro, una teoria delle crisi.
Il processo di valorizzazione capitalistica (all'aumentare della composizione organica del capitale) rende superfluo il lavoro, e lo espelle: di conseguenza, il capitale viene "de-sostanzializzato", il valore viene svalutato, il che stabilisce un "limite interno assoluto", che interviene non solo a livello logico, ma anche a livello di tempo storico-concreto. La teoria di Kurz relativa alle crisi capitaliste, sarà ulteriormente sviluppata in "VIES ET MORT DU CAPITALISME. Chroniques de la crise"(Lignes, 2011). Possiamo anche fare riferimento al libro di Trenkle e Lohoff, "La grande svalorizzazione" (Post-editions, 2014), per poter comprendere il fenomeno della "svalutazione" in modo logico ed empirico, anche se le posizioni di Kurz e Trenkle/Lohoff divergono su alcuni punti.
L'assenza di una teoria del collasso nel movimento operaio
Prima del 1900, nel movimento operaio non era emersa nessuna teoria del collasso. Più in generale, nel movimento operaio o nel marxismo tradizionale, una teoria sostanziale delle crisi non avrebbe potuto emergere, dal momento che, per il marxismo tradizionale, il lavoro non è la sostanza del capitale, quanto piuttosto un «trampolino di lancio ontologico verso l'emancipazione» (p. 166).
Capitolo 10: Una teoria tronca del collasso, come posizione marxista minoritaria nell'era della prima guerra mondiale: Rosa Luxemburg
Per la Luxemburg, la concezione di un confine interno al modo di produzione capitalistico si riferisce solo al modo di circolazione capitalistico. Per Rosa Luxemburg, il problema non è la produzione di plusvalore. Piuttosto, a esser problematica è la realizzazione del plusvalore (nella vendita delle merci), a causa delle "relazioni di distribuzione antagoniste" (Luxembourg, 1913). La contraddizione sta tra una produzione illimitata di plusvalore, da una parte, e dall'altra in una limitata capacità di realizzazione nella circolazione. La produzione di plusvalore, in quanto tale, non viene messa in discussione. Secondo la Luxemburg, per evitare questa crisi di realizzazione, il capitalismo cerca di espandersi sempre di più (colonizzazione, apertura dei mercati, esportazione di capitali, estensione del capitalismo) a spese delle società non capitaliste. Ma alla fine di questo processo imperialista, il capitalismo si verrebbe necessariamente a trovare di fronte a un collasso. La teoria lussemburghiana della crisi, è stata respinta da un buon numero di marxisti "ufficiali". Tuttavia, questa teoria ha il merito di pensare un limite interno rispetto al modo di produzione capitalistico, ma rimane però circolazionista, e non affronta il problema di una "de-sostanzializzazione" del valore.
Capitolo 11: Una teoria del collasso tronco, come posizione marxista minoritaria nell'era della seconda guerra mondiale: Henryk Grossmann
Grossmann sviluppa un'ontologia del lavoro, alla maniera di altri marxisti tradizionali. Di conseguenza, è incapace di sviluppare una critica categoriale delle crisi, che si basi sulla nozione di una "de-sostanzializzazione" del valore. Ciononostante, Grossmann tentò di sviluppare una teoria originale del collasso (1929). Egli insiste sulla correlazione tra l'aumento della composizione organica del capitale e la caduta del saggio del profitto. Ma per lui, il capitale variabile (lavoro vivo) può crescere indefinitamente, e questo per quanto la sua proporzione con il capitale fisico diminuisca. La crisi di Grossmann sarebbe relativa a delle semplici relazioni di grandezza all'interno della sostanza del valore, ma non a questa sostanza in quanto tale, che egli non mette in discussione. Grossmann scompone il plusvalore in "k" (consumo dei capitalisti) e "a" (fondo di accumulazione). Per Grossmann, l'aumento della composizione organica del capitale non porta alla graduale scomparsa della sostanza, ma semplicemente a un problema a livello della grandezza "k" (consumo dei capitalisti). Dopo un certo numero di anni, "k" comincerebbe a diminuire, inghiottito dalla quota di plusvalore da capitalizzare. Dal punto di vista dei capitalisti, l'accumulazione sarebbe pertanto un puro spreco. Braunthal, si faceva beffe della tesi di Grossmann, he avrebbe voluto farci credere in un «impoverimento dei capitalisti». Grossmann inverte causa ed effetto, e non percepisce la "de-sostanzializzazione", poiché si muove fondamentalmente all'interno della tradizionale ontologia marxista del lavoro.
Capitolo 12: Dalla demonizzazione di Grossmann all'estinzione del dibattito marxista su crisi e collasso
Per quanto Grossmann scrivesse nel 1929, egli venne ampiamente screditato dai marxisti tradizionali. La barbarie nazionalsocialista pose fine al dibattito. L'era dei posteri, nel secondo dopoguerra finì per portare il pensiero marxista a un considerevole punto morto. Il marxismo degli anni '70 non ha messo in discussione l'ontologia del lavoro, e ancora una volta ha mancato la questione della "desostanzializzazione". Per dirla in breve, la "critica sociale" nell'era "neoliberista" assomiglia all'integrazione del marxismo negli anni '70, ed è nell'ordine del discorso keynesiano. La Nuova Sinistra può manifestare la sua nostalgia keynesista solo sotto il regno del "paradigma neoliberista". In questo contesto, naturalmente, una critica categoriale del capitalismo e delle sue crisi rimane in gran parte impercettibile.
Capitolo 13: Soggetto e oggetto nella teoria della crisi: la dissoluzione illusoria del problema, in semplici relazioni di forza e volontà
Otto Bauer, nella sua polemica sulla teoria del collasso della Luxemburg, insisteva sul fatto che sarebbe stata la «crescente indignazione della classe operaia» a rovesciare il capitalismo. L'idea di un crollo oggettivo del capitalismo potrebbe sembrare inaccettabile ad alcuni marxisti operaisti, poiché potrebbe privare il proletariato della sua "vocazione" rivoluzionaria. Tuttavia, la Luxemburg rispose che il crollo oggettivo del capitalismo era solo una "finzione teorica"; La Luxemburg voleva semplicemente identificare una tendenza nell'evoluzione del capitalismo, ma riteneva che alla fine non si sarebbe arrivati al collasso; secondo la Luxemburg, infatti, «il proletariato interviene prima, come elemento attivo nel cieco gioco delle forze» (Critica dei critici, p. 221). Secondo Kurz, attraverso questi modi di pensare il rapporto tra crisi e rivoluzione, «il rapporto tra soggetto e oggetto rimane non chiarito» (p. 206). Kurz ricorda che Marx ha dimostrato come «il feticismo del sistema produttore di merci disattivi persino la soggettività politico-economica in quanto ragione ultima dello sviluppo socio-economico» (ibid.). Bukharin (1924) rimproverava alla Luxemburg il suo "determinismo economico", ma però poi era lui stesso che ricadeva in un altro determinismo. Per Bukharin il crollo del capitalismo è "inevitabile", ma il limite però è puramente «soggettivo, politico, costituito da un semplice scontro di volontà» (p. 208). Bukharin soggettivizza l'oggettività del crollo, e oggettiva il soggetto, dichiarando la sua azione, "inevitabile". Varga rivolse lo stesso tipo di rimproveri a Grossmann (1930): secondo Varga, le forze "oggettive", identificate da Grossmann, non causano il crollo del capitalismo; il vero crollo del capitalismo avverrebbe in Russia. Le posizioni di Bauer, Bukharin e Varga sono simili, in quanto non sono in grado di chiarire a sufficienza il rapporto soggetto/oggetto. Anche Pannekoek (1934), che critica il "determinismo" di Grossmann, ricade poi nell'oggettività del soggetto, e nella determinatezza della volontà. La volontà della classe operaia sarebbe «perfettamente determinata dallo sviluppo economico». Secondo Kurz, Pannekoek «evidenzia involontariamente l'intercambiabilità di soggetto e oggetto nella struttura feticistica della riproduzione» (p. 214). Pannekoek ribadisce, da parte sua, una metafisica della storia: la necessità sociale si realizza «attraverso l'intermediazione degli uomini», secondo lui. Grossmann, in risposta a ciò, insisteva sul fatto che solo dei "fattori soggettivi" potevano effettivamente rovesciare il capitalismo (nonostante una tendenza oggettiva al collasso). Ma anche qui, riducendo il "soggettivo" al rango di "fattore", Grossmann riproduce l'impensata confusione feticistica di Pannekoek. All'interno della Nuova Sinistra degli anni '70, l'analisi di classe si riduceva a «l'analisi empirica delle strutture di classe, e delle loro trasformazioni all'interno delle relazioni di volontà» (p. 218). L'operaismo ha intrapreso un tale programma di ricerca. In questo contesto, la critica categorica, la teoria della crisi e del collasso, vengono abbandonate in quanto «prive di significato e generali». Questa Nuova Sinistra rimane dentro quella che è una relazione non chiarita tra soggetto e oggetto.
Capitolo 14: Crisi e critica, illusione politica e dissociazione sessuale - La critica categoriale è antipolitica
Kurz ha detto che : «La politica, è essenzialmente legata allo Stato; e quest'ultimo, come categoria, e come apparato concreto, rappresenta il meccanismo di trattamento politico del capitalismo: un meccanismo che non può condurci oltre l'auto-movimento della valorizzazione, dal momento che è esso stesso, nient'altro che una funzione di questo sistema compulsivo.» (pag. 221).
Le illusioni politiche e sociologiche del marxismo tradizionale
La semplice tradizionale critica marxista, di quello che sarebbe uno "Stato di classe", esprime solo una soggettivazione sociologica. In tale contesto, le categorie di valore, lavoro, Stato, politica vengono tutte ontologizzate: «si parla di "lavoro" (trans-storico) sfruttato dal capitale, si parla di "valore (o di plusvalore) monopolizzato dai proprietari, di "Stato borghese", e così via; tutte cose che rendono possibile immaginare un "lavoro liberato", un valore "appropriato nel modo dell'autodeterminazione" oppure "equamente condiviso", uno "Stato proletario" e – eccoci qui, alla fine – una "politica emancipatrice".» (ibid.) E «In questa misura, la falsa oggettivazione risiede già nell'ipostasi di un concetto di classe ridotto alla sua dimensione sociologica, che passa per il punto di partenza obbligato di ogni riflessione (mentre Marx parte, non dal concetto sociologico di classe, ma piuttosto dalla merce, vista come cellula fondamentale del capitalismo, dalla determinazione feticistica della forma di riproduzione sociale)». (pag. 222) Il marxismo tradizionale, che non vede il rapporto interno tra politica ed economia, deve pertanto abbandonare anche la critica categoriale del capitalismo, così come deve fare rispetto alla concezione di un limite interno relativo al modo di produzione capitalistico. Il marxismo tradizionale - che si limita alla politica e alla sociologia delle classi - si accontenta così della "oggettivazione delle categorie", «facendone gli oggetti ontologici di un trattamento politico meramente attributivo». (pag. 226)
Chiarire il rapporto tra collasso ed emancipazione
Kurz ritiene che il rapporto tra crisi e critica, tra collasso ed emancipazione, debba essere chiarito: l'emancipazione è un atto cosciente, mentre la crisi o il collasso, sono un processo inconscio e oggettivato; il capitalismo può crollare senza che tuttavia ciò significhi l'emancipazione degli individui; a loro volta, gli esseri umani possono emanciparsi senza che debbano aspettare il crollo del capitalismo.
Pensare alla mediazione soggettiva dell'oggettività sociale
Si tratta perciò di pensare bene alla mediazione soggettiva dell'oggettività sociale, anziché soggettivizzare tale oggettività senza mediazione (che è poi ciò che fa il marxismo incentrato sulla sociologia delle classi). Kurz si oppone all'idea di una "necessità storica", ereditata dal sistema hegeliano (e che il materialismo storico ha poi assunto come propria). Egli rappresenta la storia sotto forma di una «nuvola di probabilità, la quale reca un'infinità di possibilità, e che rimane congelata nella realtà storica solo nel momento dell'azione». (pag. 229) Ma, una volta che un campo storico si è formato, esso «restringe la contingenza alle possibilità che la sua matrice ha lasciato» (p. 230). Ecco che così ci troveremo pertanto ad avere a che fare con due distinte nubi di probabilità: «la nube della storia umana, a partire dalla quale si condensano campi, o formazioni storiche» e la nube secondaria, quella «interna a questo o a quel campo, e che seguendo lo schema della sua matrice specifica»(ibid.). La specificità del campo capitalistico consiste nel fatto che esso ha una matrice che implica, «attraverso l'esecuzione dei suoi modelli di azione», una dinamica interna contraddittoria capace di innescare un processo di collasso oggettivo. Si tratta tuttavia di articolare la contingenza di tale campo d'azione secondo quella che è la logica oggettiva delle categorie, articolando così soggettività e oggettività, critica e crisi, emancipazione e crollo: Kurz afferma la contingenza dell'emergere del capitalismo (evoca la "Grande Peste", vale a dire, la rivoluzione militare delle armi da fuoco, le quali hanno comportato un salto di qualità e una serie di condensazioni di azioni e decisioni, ma che tuttavia non "pre-programmano" il capitalismo successivo); il campo capitalistico avrebbe già potuto essere interrotto in una fase o nell'altra (le guerre dei contadini tedeschi nei secoli XV e XVI, i movimenti sociali dei secoli XVIII e XIX, il movimento operaio alla fine del XIX secolo). In tutti questi punti di rottura, «la nube delle probabilità si è condensata in delle decisioni di fatto che, sebbene non siano state affatto giocate in anticipo, hanno tuttavia giocato ogni volta a favore dell'irrigidimento e dell'estensione del campo capitalistico, sulla base della matrice messa in atto» (p. 233); La logica delle categorie, resosi autonome, ha potuto così continuare. Kurz riassume le cose: «Pertanto, la tendenza al collasso viene oggettivamente determinata dal fatto stesso che gli uomini orientano soggettivamente le loro azioni secondo la matrice capitalistica che li preesiste; in altre parole, essi non cessano mai di portare avanti il sistema del lavoro astratto, e la sua forma-valore, fino a quando non si imprigionano dentro di esso, per così dire. Quanto più i soggetti agiscono, lottano e si muovono senza mettere in discussione il sistema del lavoro astratto che costituisce la matrice di questa azione, tanto più essi mettono in moto il meccanismo del "collasso automatico"» (p. 234). Pertanto, riconoscere tale tendenza al collasso automatico, non è fatalistico: rappresenta la consapevolezza di questo aspetto automatico che dovrebbe invece rendere possibile il superamento del campo capitalistico, e non la falsa soggettivazione delle categorie.
La necessaria critica della forma-soggetto
In questo contesto, la critica categoriale deve impegnarsi anche nella critica della forma-soggetto. Questo soggetto, è il soggetto maschio-occidentale-bianco dell'era moderna. La forma-soggetto implica una dissociazione sessuale-patriarcale e razzista. Il valore, è strutturalmente maschile e occidentale, e dissocia il "femminile" e il "non occidentale" dalla sua matrice. La distruzione pratica della matrice categoriale, implica l'abolizione della struttura dissociativa della forma-soggetto. La falsa soggettivazione delle categorie nel movimento operaio marxista, implica naturalmente l'apologia di questa forma-soggetto. Qui, la "classe operaia" è un soggetto di lavoro astratto, ed è pertanto un soggetto maschio-occidentale-bianco. Nel contesto, il concetto di lotta di classe «appartiene all'universalismo androcentrico» (p. 238). Per riassumere, la critica radicale della sostanza negativa del lavoro astratto implica una teoria del collasso, nella quale viene articolata (senza confonderle) crisi e critica; ma implica anche una critica radicale della forma-soggetto, e della sua struttura maschile-occidentale-bianca.
Capitolo 15: Il concetto quantitativo di lavoro astratto, e il rimprovero del "naturalismo"
In quest'ultimo capitolo, Kurz ribadisce la legittimità di una nozione di sostanza in quanto «dispendio energetico indifferenziato». Contro Rubin, Heinrich e Postone, egli sostiene che una tale nozione non ha nulla di naturalistico, dal momento che essa è, per definizione, determinata socio-storicamente (è assurdo parlare di dispendio fisiologico di lavoro, in una società pre-moderna). Inoltre, se facciamo a meno di questa nozione, finiamo per percepire una sola forma di valore (senza sostanza), il che rende assurda in sé l'idea di una quantità di valore. Inoltre, tale formalismo regredisce, al punto da finire in un circolazionismo - o relazionismo - che ontologizza le caratteristiche essenziali della produzione. In questo libro, siamo stati in grado di immaginare tutte le insidie di una simile ontologizzazione.
- Benoît Bohy-Bunel - Pubblicato il 30/10/2019 su "Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme" -
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