Revolutionary Roads and Marxism Today
- Cosa ci dice l'opera dell'ultimo Marx sul ruolo delle lotte anticoloniali e indigene rispetto al superamento del capitalismo? Quali sono le traiettorie rivoluzionarie del nostro tempo? -
Intervista a Kevin B. Anderson
Grusha Gilayeva: Recentemente Verso ha pubblicato il suo nuovo libro, "The Late Marx's Revolutionary Roads: Colonialism, Gender, and Indigenous Communism". Costituisce il seguito di "Marx ai margini" (2010), il quale si occupava di come quello che era il pensiero di Marx sull'autodeterminazione nazionale, sull'etnicità e sulle società non occidentali fosse cambiato nel corso della sua vita e del suo lavoro. Il nuovo libro, esamina da vicino i cosiddetti quaderni etnologici del tardo Marx, compreso il materiale sulle tribù irochesi in Nord America, le comuni rurali indiane e russe, le antiche comunità celtiche in Irlanda, ecc. Insieme, tutti questi libri rivelano la complessità del pensiero di Marx, al di là di ogni forma di riduzionismo. Eppure, perché dovremmo leggere Marx oggi e quale Marx?
Kevin Anderson: Marx, in quanto rimane il più grande e importante critico del capitalismo, sta tornando alla ribalta fin dall'inizio del XXI secolo, o quanto meno dalla "Grande Recessione". Pertanto, questo libro probabilmente non dovrebbe essere letto isolatamente [dagli altri suoi lavori]. Anche tutte le altre discussioni, come la critica dell'economia politica o l'analisi della minaccia fascista vista da prospettive marxiste, richiedono attenzione. Il mio libro vuole piuttosto essere una risposta ad alcune delle critiche rivolte a Marx nell'ultimo mezzo secolo, a partire dal periodo di "Orientalismo" di Edward Said (1978). Nell'accademia, e nei circoli intellettuali più in generale, quando si tira in ballo Marx, la gente normalmente non dice «beh, mi piace il capitalismo e quindi Marx ha torto», oppure: «beh, il capitalismo mi sembra che stia funzionando piuttosto bene. No? Che ci piaccia o meno. Perciò Marx ha torto ed è superato». Nelle università [americane], è più probabile sentire che Marx era un uomo bianco del 19° secolo che non comprendeva il genere, la razza, e nemmeno il colonialismo, e sicuramente non comprendeva la sessualità, nel senso delle questioni LGBTQ+ o le questioni indigene; tutte quel che riguarda le preoccupazioni contemporanee che motivano oggi molti dei movimenti radicali. Marx viene spesso giudicato al di fuori di queste discussioni. Poi esiste un gruppo più piccolo, ma in crescita, che si identifica di più con Marx, ma dice «bisogna guardare invece alla classe e all'economia». Questi gruppi - diciamo, i sostenitori di Bernie Sanders e le persone DEI ["Diversity, Equity, and Inclusion"], discutono tra loro. Ho sentito persone, nel mondo accademico, dire: «Perché questi maschi bianchi vogliono sempre parlare di classe?» Io provengo da una tradizione del marxismo, dove già molto tempo fa, intorno alla Seconda Guerra Mondiale, si parlava di collegare tutti questi problemi. Era una piccola tendenza [organizzata attorno a CLR James, Grace Lee Boggs e Raya Dunayevskaya], ma a partire da quella base intellettuale, in particolare quella fornita da Raya Dunayevskaya, ho sempre guardato a Marx come a questo pensatore multidimensionale. Ho fatto ricerche serie su questo, da circa 25 anni fa. Nell'ultimo decennio, con un gruppo di altri studiosi, abbiamo cercato di dimostrare che nell'ultimo Marx molte di queste questioni vengono alla ribalta, per esempio, ciò che ha scritto sulla guerra civile negli Stati Uniti, dove vengono discusse le questioni di razza e di classe. Non è che vogliamo dimostrare che Marx non era così cattivo come pensavamo, e che pertanto dovremmo semplicemente andare avanti con i nostri movimenti così come stanno ora. Naturalmente, in Marx c'è sempre una critica assai profonda del capitale e della classe, quindi la mia ricerca dice che, avendo a che fare con Marx, siamo costretti a guardare al capitalismo, e a guardare non solo a livello locale, ma anche a livello globale. Dobbiamo rivolgerci a questi ampi modi teorici di comprendere il mondo, ma che allo stesso tempo non escludono che si possa essere molto specifici riguardo a una particolare società, una particolare lotta, una particolare etnia, genere o orientamento sessuale; e quindi dobbiamo in qualche modo combinare tutto questo. C'è stato un grande pensiero critico e radicale che ha teso a escludere il capitale e la classe da una seria considerazione. Qualche anno fa, stavo mettendo insieme un programma interdisciplinare di laurea e non riuscivo a trovare nessun corso riguardo la Classe, alla UCSB. Lavoro nel dipartimento di sociologia, e non c'era una lezione regolare sulla Classe, e nemmeno una sulla stratificazione sociale. In tutta l'università non c'era un solo corso con la parola "classe" o anche con "disuguaglianza economica" nel titolo, che fosse tenuto regolarmente agli studenti universitari. La stessa cosa vale, in una certa misura, anche nel programma annuale dell'American Sociological Association. Spero che il mio lavoro, e quello di altre persone come Heather Brown, Kohei Seito, August Nimtz, Marcelo Musto, David Smith e Andrew Hartman (con il suo nuovo libro "Karl Marx in America") cominci a cambiare le cose. Oggi, non si possono dire così tanto facilmente il tipo di cose che Cedric Robinson dice contro Marx nel suo libro [Black Marxism: The Making of the Black Radical tradition, 1983] senza avere almeno una nota a piè di pagina, a partire dal fatto che Marx, all'inizio, potrebbe anche essere stato davvero problematico su alcune delle questioni, ma poi nei suoi scritti successivi ha superato questo.
Grusha Gilayeva: Qual è il rapporto tra i diversi Marx e la lotta contro il fascismo?
Kevin Anderson: Sul fascismo ci sono molte teorie di sinistra, ma penso che le migliori siano due: la teoria del colonialismo e la prassi storica che Trotsky cominciò a sviluppare, e che si può vedere anche in persone come Erich Fromm, sebbene molti non si rendano conto che tra le due cose c'è un collegamento. Iniziamo quindi con il secondo. Secondo Trotsky ed Erich Fromm, quello che differenzia il fascismo dai precedenti movimenti reazionari consiste nel fatto che in esso c'è una base di massa costituita dalla classe media inferiore, la piccola borghesia. Ecco che pertanto il fascismo, in questo senso, ha un suo fascino populista. A partire da questo, perciò noi, in quanto persone di sinistra, dobbiamo guardare a quella base sociale, e cercare di allontanarla dal fascismo, verso la sinistra. La teoria del colonialismo razzializzato – credo che Aime Césaire sia tra i primi ad averlo detto – sostiene che ciò che Hitler ha fatto in Europa, era già stato praticato in larga misura nelle colonie. A tal proposito, si può guardare a ciò che re Leopoldo fece in Congo; che sarebbe l'esempio più ovvio. E gli inglesi e i francesi nella loro brutalità, non ne erano così lontani. L'intero aspetto razziale del progetto del colonialismo, tutto quel razzismo e quell'antagonismo razziale, combinato con il moderno antisemitismo razzializzato che intanto stava fermentando nel profondo della cultura occidentale, venne alla ribalta col fascismo. Ecco, queste due teorie non parlano molto tra di loro, ma dovrebbero. Per di più, esse riproducono in qualche modo gli ampi dibattiti contemporanei a sinistra di cui ho parlato.
Grusha Gilayeva: Nel tuo libro sostieni anche che Marx ha cambiato la sua comprensione della trasformazione rivoluzionaria, partendo dalla periferia piuttosto che dal nucleo capitalista. Perché, l'ha fatto?
Kevin Anderson: Certo, ci sono state delle rivolte contro il colonialismo, che risalgono a molto tempo fa, ma prendiamone un paio. Di sicuro, ai tempi di Marx, negli anni '50 dell'Ottocento, c'era la ribellione dei Taiping in Cina – che non è propriamente anticoloniale, ma che avviene tuttavia in quella regione che era una semi-colonia. Poi c'erano anche i cinesi che combattevano al tempo delle due guerre dell'oppio. C'è stata la rivolta dei Sepoy in India nel 1857-58. Tuttavia, con la possibile eccezione della ribellione dei Taiping, tutte queste rivolte non avevano un'agenda sociale, in termini di una maggiore uguaglianza, di maggiori diritti delle donne - quel genere di cose che associamo all'ala sinistra - e non erano nemmeno ancora movimenti di liberazione nazionale. Ma alla fine degli anni '60 e '70 dell'Ottocento [le rivolte anticoloniali] assunsero sempre più un carattere che potremmo considerare di sinistra o progressista. Marx aveva sempre sostenuto l'Irlanda, ma alla fine degli anni '60 dell'Ottocento sostenne apertamente il movimento feniano – parte del quale, in seguito, sarebbe diventato l'IRA; e il suo nazionalismo di sinistra. A quei tempi, i feniani erano un po' lontani dalla Chiesa e combattevano per l'emancipazione contadina e per l'emancipazione nazionale. Poi si passa alla Russia, che ai suoi occhi era stata un paese reazionario: aveva agito come forza controrivoluzionaria, contro l'insurrezione austro-ungarica del 1848, e Marx l'aveva vista come il gendarme d'Europa. Poi, dopo le rivolte contadine degli anni '50 dell'Ottocento, l'abolizione della servitù della gleba nel 1861 e la concomitante riforma agraria in Russia, il movimento populista emerse negli anni '70 dell'Ottocento. Furono i populisti [i quali vedevano i contadini, e non la classe operaia, come l'agente della rivoluzione socialista in Russia] che iniziarono a tradurre l'opera di Marx, che venne pertanto ampiamente discussa in quell'ambito. Allo stesso tempo, dopo la soppressione della Comune di Parigi nel 1871, il movimento operaio dell'Europa occidentale si trovò a essere in declino, fino alla fondazione della Seconda Internazionale, avvenuta sei anni dopo la morte di Marx, nel 1889. Se si guarda empiricamente alle possibilità rivoluzionarie nel mondo, dal 1869 fino a circa alla morte di Marx nel 1883, e oltre alla Comune di Parigi che fu rapidamente soppressa nel 1871, vediamo che c'è un enorme fermento rivoluzionario che sta avendo luogo in Irlanda, in Russia. e anche in India. Nel caso della Russia e dell'Irlanda, in quei movimenti contadini che Marx ritiene molto importante c'è anche un elemento di sinistra.
Grusha Gilayeva: Se passiamo a parlare del contesto contemporaneo: esiste un qualche metodo per riuscire a valutare il potenziale rivoluzionario, o la direzione che la sequenza rivoluzionaria può prendere? Riguardo l'ultimo Marx - come spieghi chiaramente in "Marx ai margini" - questa sequenza rivoluzionaria non poteva iniziare facilmente in Inghilterra, nonostante il fatto che fosse il centro del capitalismo del XIX secolo, e avesse la più grande classe operaia.
Kevin Anderson: Per me, questa è la parte più difficile per me, e nel nuovo libro sull'ultimo Marx non l'ho sviluppata completamente. In diversi contesti, Marx dice che i lavoratori inglesi hanno i più grandi sindacati; sono di gran lunga la più grande classe operaia industriale del mondo, dato che nessun altro paese potrebbe nemmeno avvicinarsi al livello di industrializzazione della Gran Bretagna negli anni '60 e '70 dell'Ottocento. Pertanto, è qui che la rivoluzione deve aver luogo se vuole davvero rovesciare il capitalismo. Allo stesso tempo, egli dice che i lavoratori inglesi hanno varie cose che li trattengono. Una di queste cose è il pregiudizio contro i lavoratori irlandesi all'interno della Gran Bretagna che, secondo le sue parole, è quasi altrettanto grave dell'odio razziale che i bianchi poveri negli stati meridionali del Nord America hanno verso i neri precedentemente schiavizzati; è qualcosa che divide la classe operaia. Pertanto, i lavoratori inglesi devono essere stimolati dall'esterno a sostenere la rivolta in Irlanda. Poi, alla fine degli anni '70 e all'inizio degli anni '80 dell'Ottocento, Marx comincia a pensare che la rivoluzione europea potrebbe avere inizio in Russia, per poi diffondersi in Germania e nell'Austria-Ungheria, ed ecco che allora i francesi - con la loro tradizione rivoluzionaria - interverranno in qualche modo. In tal modo, ci sarebbe stata, dall'esterno, la pressione, ma anche l'ispirazione. Ma tuttavia, alcune persone interpretano tutto ciò [il pensiero di Marx] in un senso quasi maoista: i lavoratori inglesi sono razzisti e reazionari, e tutto dovrà accadere dall'esterno. Ma penso che egli non avrebbe certo versato tutto questo inchiostro sugli operai inglesi, se non avesse pensato che ci fosse un potenziale rivoluzionario. E dopo tutto, Marx è coinvolto con gli operai inglesi. Essi hanno possibilità rivoluzionarie, ma la rivoluzione è più complicata ed è destinata ad accadere a livello internazionale. Come facciamo a saperlo quasi con certezza? Come facciamo a saperlo quasi con certezza? Perché mentre nel 1869-1870 Marx scrive di quanto sia distorta la coscienza degli operai inglesi, solo circa sei anni prima elogia la classe operaia inglese e la sua coscienza al cielo. Perché? Perché durante la guerra civile negli Stati Uniti gli operai inglesi non appoggiarono l'intervento inglese nel Sud per separarlo dagli Stati Uniti e far fluire il cotone nero verso l'Inghilterra. Gli operai si opposero all'intervento a favore del Sud anche a costo di perdere il posto di lavoro, poiché la guerra civile americana aveva precipitato le fabbriche tessili in un'enorme crisi industriale dovuta all'impossibilità di procurarsi il cotone. Pertanto, non avrebbe certo potuto decidere, in sei o sette anni, che i lavoratori inglesi erano assolutamente reazionari. Quindi, il punto non è che Marx smette di pensare al potenziale socialista delle classi lavoratrici in luoghi come l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, ma il fatto è che egli che complica [la sua comprensione del processo rivoluzionario] in termini di difficoltà che sorgono nel modo di sviluppare la coscienza rivoluzionaria; così come complica la motivazione e il programma di vittoria. Vede anche diverse possibilità rivoluzionarie in tutto il mondo, più di quanto non avesse mai viste prima.
Grusha Gilayeva: Mentre parliamo di queste complicate contraddizioni, vorrei sollevare la preoccupazione per il ruolo della Russia nel capitalismo contemporaneo visto che - come stai dicendo - in qualche modo Marx era attento a ciò che stava accadendo in Russia. Non era industrializzata, era piuttosto reazionaria, e lui la vedeva come una forma di potere imperialista. Trentacinque anni dopo la morte di Marx, l'impero russo crollò sotto le sue stesse contraddizioni, esacerbate dalla prima guerra mondiale inter-imperialista, e fu sostituito dall'Unione Sovietica, che servì come centro di attrazione per i movimenti socialisti e comunisti nel Terzo Mondo; insieme e in competizione con la Cina, dopo la scissione sino-sovietica negli anni '60. La Russia di Putin, che è emersa dalla mutilata democrazia di mercato di Eltsin, viene ancora vista a sinistra come se fosse una sorta di forza anti-imperialista progressista. Qual è la tua opinione sul ruolo della Russia nel capitalismo e nella politica contemporanea, alla luce della sua invasione su vasta scala dell'Ucraina?
Kevin Anderson: Ritengo che uno degli aspetti che riscontriamo nel Putinismo, l'ideologia dell'attuale regime in Russia, sia questo strano miscuglio tra il vecchio nazionalismo slavofilo del XIX secolo e il neo-stalinismo. Si potrebbe dire che oggi, sia Stalin che Aleksandr Solzhenitsyn, il più grande nemico dell'Unione Sovietica, sono i grandi eroi dell'attuale Stato russo. La Russia è una potenza imperialista? Sì. Il suo potere è principalmente regionale, quindi non è come negli anni Cinquanta, quando l'Unione Sovietica era un'enorme potenza dal punto di vista militare, politico ed economico. Per alcuni risultava essere anche un modello attraente. Non credo che oggi esista nulla di tutto ciò. Pure se la Cina è la seconda potenza economica del mondo, la Russia è la seconda potenza militare. Anche se la sua tecnologia è un po' vecchia, la Russia ha ancora tutte le testate nucleari e la capacità di usarle. Ma c'è un'altra cosa importante a cui stai alludendo nella tua domanda, e che si applicherebbe all'intero gruppo BRICS. Anche se questi paesi costituiscono un contrappeso all'egemonia degli Stati Uniti, questo cosa significa? Generalmente, le loro politiche sono neoliberiste. Cosa potrebbe significare questo per un paese dell'Africa, ad esempio? Anziché avere la legione straniera francese, avranno il gruppo Wagner. Non è un grande miglioramento! Non si tratta di Che Guevara, e nemmeno della Rivoluzione Culturale di Mao che, per quanto orribile, quanto meno pretendeva in qualche modo di cambiare le relazioni umane, radicalmente. No, è come se volessimo una fetta più grande della torta, però vogliamo anche che la torta abbia esattamente lo stesso sapore e la stessa glassa, e tutto quanto il resto. Naturalmente è la debolezza della sinistra, che la spinge a questo tipo di pensiero. Vedere gli Stati Uniti aiutare Israele a prendere a pugni l'Iran ci rende infelici, e nulla sembra essere in grado di contrastarlo. È come si ci fosse il desiderio di qualcuno che sfidi gli Stati Uniti e i suoi alleati. Le persone arrabbiate con l'imperialismo statunitense, vedono Putin andare in Ucraina e in Cina e flettere i suoi muscoli economici, e non entrare nei dazi statunitensi. C'è un motivo per cui la gente può anche arrivare a dire: «È un bene, così almeno non possono fare tutto ciò che vogliono», ma in questo non vedo nessun programma positivo. E questo ci riporta al motivo per cui, negli anni '70 dell'Ottocento, Marx era così entusiasta della Russia. Certo, vedeva gli intellettuali in contatto coi movimenti rivoluzionari che si stavano formando, che traducevano il Capitale e lo discutevano, ma il suo interesse per la comune di villaggio o mir non significa che pensasse che la rivolta contadina si sarebbe semplicemente unita a un movimento socialista in Occidente per indebolire un po' il sistema. Quello che vedeva nella comune contadina era un vero e proprio potenziale progetto comunista. In questo frangente, egli è molto attento a spiegare che non pensa che il villaggio comunale russo possa essere difeso e sviluppato solo sulla propria base, cacciando le influenze straniere e capitaliste. Dice chiaramente che è necessario allearsi con il movimento operaio rivoluzionario dell'Occidente e con la tecnologia moderna...
Grusha Gilayeva: Tu, tra i potenziali soggetti rivoluzionari indagati da Marx, nomini le società comunitarie autoctone insieme alle comuni contadine. Per la strategia rivoluzionaria della sinistra oggi, questo cosa significa? Visto che in Russia, ad esempio, il numero di autoctoni è in costante diminuzione?
Kevin Anderson: Beh, è così ovunque. Voglio dire, ci sono eccezioni come la Bolivia, che credo abbia una maggioranza indigena che come prima lingua potrebbe anche parlare lingue diverse dallo spagnolo. Per essere precisi, quelle di cui sto parlando sono le popolazioni rurali, poiché il villaggio russo non era [quello che intendiamo oggi] una comunità indigena. Varie forme di comunismo premoderno, che persistono in modi diversi, sono qualcosa di molto interessante. Quando le persone si trasferiscono nelle città dalle zone rurali, portano con sé sensibilità diverse. Se si guarda alla Turchia, il potere di Erdogan viene spesso spiegato a partire dalla sua dipendenza dalla popolazione rurale recentemente urbanizzata, la quale viene vista come sostenitrice dell'Islam politico, del divieto di alcol e di dover coprire il capo delle donne. Se questo è vero, ed esiste quel lato delle popolazioni rurali, che è anche di alcune popolazioni indigene, c'è però anche l'altro lato: un maggiore senso di identità collettiva, e di solidarietà sociale, in contrasto con l'individualismo borghese. Queste popolazioni di recente proletarizzazione, portano con sé le proprie forme di cooperazione e di solidarietà. Tutto questo si lega anche a una vecchia discussione all'interno del proletariato occidentale: in un posto come Chicago, chi è il lavoratore più rivoluzionario? Sono gli operai qualificati tedesco-americani, come i fratelli Reuther – soprattutto, quelli di loro che stanno più a sinistra – che erano operai industriali di seconda o terza generazione: erano qualificati, avevano partecipato ai movimenti sindacali, avevano letto letteratura socialista. Ok, c'è una concezione in questo; i lavoratori “avanzati”, come li chiamano nel lessico socialista. Dall'altra parte, che dire di persone come il mio ex compagno Charles Denby, autore di "Indignant Heart, a Black Worker's Journal"? Arrivò a Detroit nel 1943 nel bel mezzo della guerra; quando non si sa nemmeno cosa sia la parola "sciopero". Ma lì ci sono un sacco di lavoratori neri che arrivano dal Sud, e che sono davvero arrabbiati perché pensano che al Nord saranno liberi, e sono scioccati quando scoprono che non sono liberi. Così Denby dà inizio a uno sciopero, dicendo che gli operai devono lasciare il lavoro, tutti insieme, perché c'è un sacco di lavoro in fondo alla strada, e costringe così la direzione ad accettare le loro condizioni. Quali sono gli operai più rivoluzionari? In questa situazione, i nuovi lavoratori neri. Ma io penso che abbiamo bisogno di entrambi. Non staremmo avendo questa conversazione, se non pensassimo che mantenere molte di queste discussioni e tradizioni sia importante per i movimenti sociali, perché nessuno di noi due è uno studioso puro non legato all'attivismo. Però, allo stesso tempo, penso che dobbiamo riconoscere che alcune delle lotte più rivoluzionarie provengono da persone che non parlano nemmeno un linguaggio socialista.
Grusha Gilayeva: Mi chiedo solo se, dalla traiettoria del pensiero di Marx, così come lo hai delineato, si possa estrarre un qualche tipo di metodo o di criterio. Quando si trattò di pensare a dei soggetti e a degli alleati nella lotta per il cambiamento rivoluzionario, Lenin usò la lettera di Marx a Meyer e a Vogt, per affermare che il proletariato di una nazione oppressa avrebbe dovuto sostenere la lotta per l'autodeterminazione da parte della nazione oppressa. Pensi che dobbiamo tornare a Marx per legittimare simili affermazioni. o pensi che Marx sia invece utile, piuttosto, per trovare un metodo per fare delle distinzioni?
Kevin Anderson: Intendo dire che Marx non è più una figura autorevole, probabilmente non lo è da nessuna parte, sebbene sia ritenuto tale in maniera più significativa in alcuni grandi Paesi come il Brasile o l'India, e naturalmente in alcuni più piccoli. Lì ci sono ancora molti intellettuali e movimenti sociali che sono marxisti. Ometto la Cina, dove il marxismo è più una questione di carrierismo che di reale adesione al pensiero marxista. Forse Lenin è stato il primo a indicare il termine “movimenti di liberazione nazionale”. È un movimento nazionalista? È antimperialista, ma è liberatorio? È reazionario? O è una combinazione di tutte queste cose? Già nel Manifesto del Partito Comunista, Marx ed Engels usano la frase che si suppone si opponga a ogni nazionalismo: «gli operai non hanno patria». Eppure, nelle pagine conclusive del Manifesto, insistono tuttavia anche sul fatto che la classe operaia debba sostenere la Polonia, e la sua ricerca dell'indipendenza come nazione. Marx non lo dice, ma nel mio libro "A Political Sociology of Twenty-First Century Revolutions", penso che il genere venga spesso usato come un'ottima cartina di tornasole. È questo uno dei modi per distinguere i movimenti più fondamentalisti, come gli Ayatollah iraniani o i Fratelli Musulmani, che sono anti-imperialisti e sostengono i palestinesi, ma a causa del genere, tra le altre cose, il loro contenuto socio-politico, nella migliore delle ipotesi è conservatore. E poi abbiamo movimenti esplicitamente di sinistra, come il Rojava in Siria, che per la sinistra globale sono davvero facili da sostenere. Ma quando si sono verificate rivolte gigantesche, come la primavera araba, questi movimenti non erano esplicitamente di sinistra, ma di certo non erano fondamentalisti o islamisti. Questi giovani, e anche quelli che provenivano dai gruppi islamisti, non erano come in Iran nel 1978. «L'Islam è la soluzione», non era il canto per le strade in Tunisia o in Egitto nel 2011. Quando guardiamo ai vari movimenti antimperialisti, spesso possiamo usare il genere – così come la classe, ovviamente – perché ci aiuti a fare una valutazione.
Grusha Gilayeva: In materia di Sociologia politica tu parli anche del legame tra la lotta del popolo palestinese contro Israele e la lotta del popolo ucraino contro l'aggressione russa. Come è possibile fare questo collegamento? Sembra essere in contrasto con la posizione mainstream della sinistra statunitense. Mentre c'è consenso sulla necessità di sostenere la Palestina, quando si tratta dell'Ucraina, il punto di vista risulta totalmente diverso.
Kevin Anderson: Beh, in questo momento, empiricamente, possiamo parlare di una dura repressione in luoghi come il Myanmar/Birmania, dove la rivolta viene violentemente attaccata militarmente. Ma anche lì, i militari non stanno dicendo che ci libereremo del popolo birmano. Mentre sia gli israeliani che gli Stati Uniti di Trump, da un lato, e i russi e i bielorussi, dall'altro, stanno negando ai popoli autoctoni il diritto all'esistenza. La Russia dice: «L'Ucraina, come paese, non esiste nemmeno. Non è mai esistito. L'ucraino è solo un dialetto del russo. E in ogni caso, quelli che pensano che esista sono tutti fascisti e nazisti. E per questo motivo, devono essere spazzati via». E Trump e gli israeliani dicono sempre più spesso che potrebbero espellere tutti i palestinesi, non solo da Gaza, ma anche dalla Cisgiordania; cacciarli non si sa dove, ma cacciarli, se non peggio. Quindi è comprensibile che la nostra sinistra si preoccupi della Palestina dal momento che finanziamo, consigliamo militarmente, e sosteniamo attraverso il nostro governo e tutte le nostre istituzioni, la guerra a Gaza. È anche comprensibile che sui media mainstream, per ragioni geopolitiche, gli ucraini appaiono come gli eroi. Ma queste lotte sono comunque molto simili. Ho visto la piccola sinistra in seno alla comunità ucraina. E c'è una piccola sinistra nella comunità russa in esilio. Vedo questi gruppi ucraini di sinistra fare risoluzioni sulla Palestina, ma non vedo i gruppi filo-palestinesi in Occidente fare risoluzioni, e mostrare sostegno all'Ucraina. Al contrario, vedo che non dicono nulla. È un vero peccato. Ma, se guardiamo più globalmente, è questa la battaglia che va condotta. Dopo il famigerato incontro, alla Casa Bianca, tra Zelensky e Trump, gli Stati Uniti hanno tolto il tappeto da sotto i piedi dell'Ucraina. Senza quel sostegno dall'esterno, potremmo vedere una parte sostanziale del territorio ucraino che viene lentamente occupato. Non credo possano essere conquistati, ma possono tuttavia essere divisi. E questo è davvero orribile perché la mancanza di sostegno allontana gli ucraini e i filo-ucraini dalla sinistra. E più sentiamo qualcuno, come Zelensky, dire «sosteniamo Israele, poiché il suo progetto nella lotta al terrorismo e alla violenza è il medesimo del nostro», più diventa difficile, per la sinistra, sostenere l'Ucraina. Di certo, i trumpisti sembrano non avere alcun problema a vedere la somiglianza tra Ucraina e Palestina, visto che vogliono schiacciarle entrambe. Non esageravo, nel libro, quando ho detto che queste sono lotte per l'esistenza stessa di queste nazioni. E vediamo Trump stare dalla parte sbagliata in entrambe. Forse questo sveglierà un po' le persone. Penso che sia un segno della natura reazionaria dei tempi, il fatto che anche la sinistra non possa fare di più. Ricordo i tempi del 1968 in Cecoslovacchia, o del 1980 in Polonia, e di come porzioni ampie della sinistra globale sostenessero la Polonia e la Cecoslovacchia più di quante ne sostengano l'Ucraina oggi. Allora, la sinistra stessa era molto più grande. E naturalmente, quando la sinistra è più grande, questo significa che una maggiore base sociale.Se si dispone di un gruppo di poche migliaia di persone fortemente legate a una particolare politica, si può sostenere implicitamente o esplicitamente regimi come la Siria di Assad o persino la Corea del Nord e non se ne perderanno molte di queste persone. Ma se si ha una base nella classe operaia, o in un'altra grande forza sociale, essi lasceranno in massa il vostro partito, come è successo al Partito Comunista Francese dopo il 1956 e il 1968.
Grusha Gilayeva: Pensi che a sinistra ci sia una tendenza a identificare lo Stato e il popolo? Molti a sinistra, vedono che Vladimir Putin rappresenta in qualche modo il popolo russo, indipendentemente da tutte le elezioni truccate che egli ha messo in scena. Anche Zelensky incarna la volontà del popolo ucraino e anche Hamas, abbastanza curiosamente, incarna la volontà del popolo palestinese. Ma questa tendenza non si applica agli Stati Uniti, dove nessuno nega che il divario tra la parte del popolo e il governo non avrebbe potuto essere più ampio.
Kevin Anderson: Questo modo di pensare risale almeno allo stalinismo. Gli stalinisti hanno detto assai chiaramente che certi popoli sono rivoluzionari, quasi in maniera permanente, mentre altri sono reazionari. Ad esempio, i ceceni venivano considerati reazionari e quindi vennero deportati verso il Kazakistan. C'è un discorso di Stalin, risalente ai primi anni '30, in cui egli dice che i russi - non il popolo sovietico - sono i più rivoluzionari. E naturalmente, se siamo rivoluzionari e se andiamo in Ucraina, allora dobbiamo fare cose buone. Quindi c'è questa tendenza all'emarginazione, e io penso che, più ci allontaniamo dal cosiddetto centro occidentale, più diventa facile farlo anche agli occhi delle culture globali dominanti. Per le persone è difficile, a causa dell'orientalismo e così via, vedere come differenziato il popolo palestinese. Mi occupo molto dell'Iran, e vedo che, in questo senso, per molte persone [negli Stati Uniti] è difficile vedere la popolazione iraniana come differenziata. Questo è un grosso problema e, naturalmente, è qui che la classe diventa davvero importante. Nel mondo, tutte le società che conosco oggi hanno classi dirigenti. Per quanto ne sappiamo, la Cina potrebbe avere la più grande disuguaglianza economica di tutte le nazioni veramente potenti. Hanno anche molti miliardari reali, mentre la popolazione complessiva è molto più povera che nei paesi occidentali. Quindi il divario economico, in Cina, è in realtà maggiore di quanto lo sia in Francia, o negli Stati Uniti. Sappiamo anche dall'indice di Gini che il Sudafrica è al primo posto nella disuguaglianza economica. Anche negli anni '60 non si sentiva molto parlare di classe, in relazione ai movimenti antimperialisti. E l'Ucraina non si oppone nemmeno all'imperialismo dell'UE e del Nord America, mentre Putin sostiene di farlo. C'è un'altra ragione per cui questo è spiacevole, perché - se mai riuscissimo, come sinistra, a diventare più grandi di quanto siamo - sarebbe molto difficile andare in giro a dire che sosteniamo il socialismo democratico ma che non possiamo dire nulla su ciò che Putin sta facendo in Ucraina, oppure che non si può criticare il regime iraniano perché è il momento sbagliato per farlo nel mentre che è sotto il fuoco di Israele e degli Stati Uniti. Questo si lega al tipo di società che vorremmo avere. Uno dei motivi per cui, quando ero giovane, sostenevamo la Cecoslovacchia, era perché dicevamo che ci opponevamo al socialismo ufficiale dell'URSS. Se non fai questo genere di cose, alla fine rimani prigioniero di un oscuro progetto intellettuale e politico che stai portando avanti. Un'ultima cosa: negli Stati Uniti facciamo parte di questo gigantesco apparato imperialista; il nostro governo è stato per decenni a giudicare costantemente gli altri paesi – con il trumpismo però è diventato più cinico – dicendo che sono antidemocratici, e così via. In risposta, anche la sinistra ritiene che non abbiamo il diritto di criticare la Cina o altri stati come se farlo fosse antisocialista, o non marxista. Ma perciò la nostra analisi di classe, di genere o di razza/etnia dovrebbe quindi fermarsi ai confini degli Stati Uniti, dell'UE e del Giappone? Oppure ci è permesso applicarla anche in luoghi come la Cina o la Russia o il Medio Oriente? Direi di sì. Altrimenti, qui ci saranno sempre forze di sinistra o progressiste che ignoriamo. Invece dobbiamo sostenerle in ogni singolo paese del mondo. Fare diversamente, equivarrebbe a rompere con Marx e con il meglio della tradizione marxista.
Grusha Gilayeva: Sono contento che tu abbia menzionato l'Iran, poiché la posizione nei confronti di ciò che sta accadendo in questo momento è qualcosa di molto difficile da elaborare. Da un lato, c'è una sorta di anti-imperialismo riduzionista che sostiene che fare qualsiasi cosa al regime iraniano significa sostenere la presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. Poi c'è un'altra posizione riduzionista che è condivisa da una parte degli emigrati iraniani, la quale sosterrebbe qualsiasi tipo di intervento e rovesciamento del regime in Iran, anche se fosse la cancellazione dell'intero paese stesso. Sembra che ci siano due poli contrapposti e che tutti e due non sembrano condivisibili.
Kevin Anderson: Di certo, non riesco a pensare a nessun altro paese del Medio Oriente che nel secolo scorso abbia avuto più rivolte popolari, a partire dalla rivoluzione costituzionale del 1906 fino al periodo di Mossadeq negli anni '50, il governo eletto anche se nazionalista, la grande rivoluzione del 1978-79, e poi diversi movimenti sociali molto grandi, tra cui il Movimento Verde nel 2009 e la rivolta delle donne e curdo-baluchi del 2022. Dobbiamo pensare alla complessità e alle diverse forze di questi movimenti in Iran. Ma non credo che la popolazione iraniana reagirà positivamente all'essere bombardata. Netanyahu ha tenuto un discorso in cui ha elogiato il movimento "donna, vita, libertà" del 2022 e poi ha sottolineato il fatto che l'aeronautica israeliana ha delle donne pilota e che una di loro stava bombardando l'Iran proprio in quel momento. Penso che in realtà lsia stato come un tentativo di fare appello alla popolazione iraniana. Sappiamo che la sinistra in Iran non è più quella di una volta.Ci sono anche dei movimenti sindacali in Iran, naturalmente, e, come ho detto, importanti movimenti femminili ed etnici.
Grusha Gilayeva: Hai già menzionato le recenti proteste contro Trump durante la sua parata militare del 14 giugno. Come valuti queste proteste? Segnalano l'urgenza di tornare a uno status quo liberale, o pensi che ci sia un potenziale per collegare questo movimento ad altre lotte, anche oltre i confini degli Stati Uniti?
Kevin Anderson: Naturalmente, questo potenziale c'è, anche perché la leadership del Partito Democratico si è davvero screditata, prima sulla Palestina e così ora si può vedere che ci sono molti di loro che tacciono sull'intervento degli Stati Uniti in Iran. Se guardi al movimento anti-Trump del 2017 – sono andato al grande raduno della Women's March a Los Angeles e il sindaco, i senatori, erano tutti lì, hanno parlato tutti. [Questa volta] in California non c'erano grandi politici che si associavano alle manifestazioni. In alcuni stati è successo, ma qui i politici democratici hanno mantenuto le distanze. Ma non si tratta solo della marcia, quanto piuttosto della gente in strada che lotta per sostenere gli immigrati. Avere le truppe qui a Los Angeles è davvero una provocazione, e c'è una certa parte della popolazione che è là fuori a picchettare ogni giorno perché non vogliamo qui quelle truppe. Naturalmente, le proteste affrontano il problema delle grandi istituzioni, con il Partito Democratico che le frena. Quali sono quindi le basi istituzionali o sociali per l'opposizione? Le università? Harvard alla fine ha iniziato a resistere, ma c'è stata tanta capitolazione da parte delle università, soprattutto sulla questione palestinese. Perché le università non possono dire qualcosa sulla Palestina? Poiché le università statali in California hanno bisogno del sostegno del legislatore? Se parlano della Palestina lo stato taglierà il loro bilancio, e le università lo sanno. Quindi quali sono le due più grandi organizzazioni che non ricevono finanziamenti dai finanziatori di Wall Street, che non ricevono finanziamenti da fondazioni liberali, che non ricevono finanziamenti dal governo? I sindacati e le chiese. La Chiesa nera e le altre chiese progressiste, anche in una certa qual misura la Chiesa cattolica sotto gli ultimi due papi, si sono espresse apertamente sui diritti degli immigrati e sui diritti dei lavoratori. Quando si pensa al modo in cui l'amministrazione Trump ha licenziato tutti quei lavoratori del governo federale, è questo ciò che ogni lavoratore teme. Abbiamo i giovani e le comunità latine che vanno in strada, e sto parlando di questi due gruppi perché sono quelli più ben organizzati, ben finanziati e con le loro filiali in tutti gli stati. C'è molta speranza. Soprattutto dopo le marce del Primo Maggio, ho iniziato a rendermi conto che ci sarebbero state molte più resistenze. Sono all'Università della California e sto solo supponendo che possano accadere cose ancora peggiori di quelle che sono state fatte ad Harvard. Penso solo che stiano aspettando di farlo, quindi sarà davvero orribile nei prossimi anni. Dovremmo anche guardare all'America rurale, che è stata una grande base di sostenitori di Trump, almeno elettoralmente, ma noto che raramente supera il 60%. Coloro che si oppongono al fascismo trumpista possono sentirsi isolati. Ma una cosa che è successa il 14 giugno, è che le proteste sono avvenute in questo tipo di aree. Ad esempio, nella piccola città rurale di Glens Falls, New York, c'è stata una manifestazione abbastanza grande. Le persone anti-Trump in quelle aree, dove tutto ciò che vedono sono i poster e gli adesivi di Trump, ora si rendono conto che non sono così pochi. La gente affronta molta repressione – guardate cosa è successo al senatore della California Alex Padilla che è stato trascinato fuori dalla conferenza stampa e ammanettato... Questo spaventa le persone. Ma pensate a tutte le persone in una piccola città dove la maggior parte dei datori di lavoro sono repubblicani e tendono ad apprezzare Trump: quindi vai a quel raduno in una piccola città, ti esponi e anche se indossi una mascherina, se si tratta di una città di 15.000 persone, capiranno comunque chi sei Le persone dovranno affrontarlo sul lavoro, venendo licenziate, soprattutto i giovani. Ci siamo già passati, ma mai su questa scala. L'attuale situazione con l'Iran ci sta creando molte difficoltà perché sta risucchiando una parte del Partito Democratico per sostenere ancora di più Israele e, allo stesso tempo, sta alimentando le parti più campiste della sinistra. Dall'altra parte, c'è un'ampia fascia della popolazione, compresa la base di Trump, che si oppone a una terza guerra in Medio Oriente. Come si può dire che gli Stati Uniti dovrebbero essere coinvolti, e che però questa volta andrà diversamente? Questa mattina ho sentito un esperto militare della NPR dire che per raggiungere le strutture sotterranee bisogna effettivamente inviare dei commando, e che potrebbero essere dei commando statunitensi. Penso che non viviamo ancora sotto un regime fascista, ma considererei il trumpismo un movimento fascista, anche se non ha preso completamente il sopravvento sulla società. Si sta muovendo rapidamente però, anche l'opposizione sta uscendo in piazza. Non fare nulla non è un'opzione, quindi, sia che si abbia o meno una reale possibilità di successo, dobbiamo comunque farlo.
fonte: https://www.posle.media/
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