sabato 12 luglio 2025

Calcolatrici Meccaniche Burroughs !!!

«Gli scrittori sono tutti morti e tutta la scrittura è postuma». Nessun altro, eccet­to Burroughs, avrebbe osato proclamarlo, ed è soltanto una delle affermazioni para­dossali e dissacranti che costellano i saggi qui raccolti, estratti dallo sciame meteorico che, durante una mitica stagione, inve­stì le pagine delle riviste internazionali, letterarie e non. Burroughs porta il letto­re oltre i cordoni della polizia militare fino al cancello di aree classificate «top se­cret», e gli fa intravedere cose insospetta­te, di bruciante attualità, quali il control­lo della mente – con ogni mezzo legale o il­legale – da parte di politici, scienziati, gior­nalisti, medici, santoni e altri spacciatori, la parola come virus, la scrittura come tec­nica e magia, all’occorrenza nera. Con il suo humour vitreo composto in egual misura di lucidità e follia, rude buonsenso e visionarietà, e oltraggi a ripetizione, ci por­ge scampoli fulgenti di «atroce presunzio­ne». Insegna la lettura creativa. Libera la mente dalla sudditanza e dall’assuefazio­ne a ogni conformismo. Condisce invetti­ve, dissezioni e profezie con raccontini ad hoc, sconci e spassosi. E intanto disegna u­na singolare, illuminante galleria di autori letti, incontrati, amati, detestati: da Kerouac a Beckett, da Graham Greene a Conrad, da Fitzgerald a Hemingway, da Maugham a Proust. Leggerlo è fare un corso accele­rato di disintossicazione dall’acquiescen­za agli zelanti manipolatori del Potere. Burroughs ha scritto la sceneggiatura del film che chiamiamo realtà. Peccato sia la nostra.

(dal risvolto di copertina di: WILLIAM S. BURROUGHS, "La calcolatrice meccanica", ADELPHI, Pagine 305, €24)

La calcolatrice dà lezioni di furto
- di Vanni Santoni -

   «Gli scrittori sono tutti morti e tutta la scrittura è postuma», si divertiva a provocare William S. Burroughs, e la sentenza è ancora più arguta se si pensa che viene da uno degli scrittori più avanti che ci siano mai stati: il suo capolavoro, Pasto nudo, uscì nel 1959 e lo rese all’istante il padrino della Beat Generation, anticipò la rivoluzione psichedelica e si posizionò all’avanguardia anche rispetto alle future ibridazioni tra i generi e all’avvento del new weird. Tanto avanti era Burroughs, che anche il suo molteplice status di autore di culto, autore maledetto, autore di riferimento per generazioni di altri autori, nonché di oracolo pazzerello, sarebbe esploso solo alla fine degli anni Sessanta, per durare poi tutti i Settanta e gli Ottanta. Ciò ebbe anche ragioni strutturali, come ricorda James Grauerholz nella prefazione a La calcolatrice meccanica, raccolta dei saggi brevi di Burroughs appena uscita presso Adelphi nella traduzione di Andrew Tanzi. Grazie all’attenuazione della censura editoriale, negli anni Sessanta proliferarono le riviste patinate, più o meno pruriginose — «Playboy» su tutte — che per legittimare le immagini di ragazze svestite sceglievano contenuti testuali di alto profilo letterario; a queste si affiancavano le riviste di musica, ben finanziate dalle etichette discografiche, e in parallelo all’editoria ufficiale c’era anche un ricco panorama underground, non di rado dotato di ottime capacità di diffusione, come era il caso della rivista «High Times», dedicata alla canapa e ai suoi estimatori. Fu in questo contesto che Burroughs, fin lì solo romanziere, trovò spazio per la propria vena saggistica beffarda e antimoralista, spesso vaticinante, a volte messianica. I temi sono variegati quanto gli interessi e le passioni dell’autore: frontiere spaziali e psicanalisi, controllo mentale e underground criminale, libero arbitrio e spie, fake news e neuroscienze, oppio e orgoni, Parigi e Tangeri, escatologia, sessualità e misoginia, proibizionismo e armi da fuoco… E soprattutto letteratura, un sacco di letteratura. Nei quarantatré brevi saggi contenuti nella Calcolatrice meccanica — il titolo viene dalle Calcolatrici Meccaniche Burroughs, prodotte dall’azienda di famiglia con cui lo scrittore aveva rotto ogni ponte — l’Uomo Invisibile (questo il soprannome affibbiato all’autore dai ragazzini di Tangeri, dove visse a lungo e inventò la tecnica del cut-up, con la quale scrisse Pasto nudo) ci parla di William Somerset Maugham e Jean Genet; degli amici Jack Kerouac e Allen Ginsberg; di giganti come Samuel Beckett, James Joyce e Marcel Proust; di autori più popolari come Graham Greene e Frederick Forsyth; smonta Mario Puzo, sfotte Samuel Coleridge (esilarante il racconto dei suoi tentativi di superare la dipendenza da laudano, che lo portò ad assumere facchini per bloccarlo ogniqualvolta tentasse di entrare in una farmacia), celebra Joseph Conrad e mette in riga Ernest Hemingway. E forse ancora più gustoso del Burroughs critico è il Burroughs insegnante di scrittura creativa. Le sue indicazioni per sbancare il mercato, contenute nel saggio La bella e il bestseller, meritano di essere riportate:

«Se volete fare un sacco di soldi con un libro o un film ci sono da osservare alcune regole. […] È buona norma non aspettarsi mai che il grande pubblico faccia esperienza di qualcosa che non vuole esperire. Non vi conviene spaventarlo a morte, farlo cadere dalla poltrona e soprattutto sconcertarlo. […] Ci sono certe formule per scrivere un bestseller o sbancare il botteghino. Ad esempio, qualcosa di cui il pubblico sa qualcosa o di cui vuole sapere di più: la mafia, la gestione di un albergo, cosa succede alla General Motors, nella pubblicità, a Hollywood. Ma se non sanno nulla di un certo tema, non importa quanto sia bello, per loro non sarà bello. […] L’altra formula è la minaccia e la sua risoluzione […] La minaccia può essere un’epidemia, un nemico che sta per spargere un gas nervino su New York o addirittura un mostro preistorico riportato in vita. Ma occorre fare attenzione: il grande pubblico non vuole essere davvero spaventato o troppo scosso, solo un po’. La formula del film dell’orrore comporta in una certa misura l’estorsione: si paga per non vedere qualcosa di veramente orribile; si paga per vedere i simpatici ratti del film Willard e non per vedere i ratti che si mangiano i genitali di un neonato urlante».

    Agli aspiranti scrittori, anche al di là della volontà eventuale di diventare bestselleristi, Burroughs consiglia prima di tutto di non mettersi proprio a scrivere. Di fare altro: diventare un medico o un idraulico e vivere tranquilli, dedicando il tempo libero alla tv o alla caccia al cervo, nella certezza che di malati e di tubi rotti ce ne saranno sempre (ma di lettori dei tuoi romanzi, magari, no). A chi insiste, e decide che vuole comunque provare a scrivere, Burroughs, dopo aver spiegato che serve molto carattere per affrontare gli inevitabili fallimenti che arriveranno, e le porte in faccia, e il senso di inadeguatezza, suggerisce prima di tutto di rubare, nel saggio non a caso intitolato Les Voleurs («I ladri», in francese), e candidamente ammette i propri furti, come il dialogo-intervista tra Carl Peterson e il dottor Benway in Pasto nudo, ricalcato su quello tra Razumov e il consigliere Mikulin in Sotto gli occhi dell’Occidente di Joseph Conrad. Alla fine, Burroughs mette da parte anche provocazioni e sarcasmo per ricordare a tutti (non solo aspiranti scrittori, ma anche semplici lettori), che uno scrittore, dopo i primissimi libri, ha solo due strade davanti a sé: o inventa qualcosa di nuovo o si mette a far le cose con lo stampino. Non ci sarà bisogno di ricordare che Burroughs scelse la seconda strada, e dopo quel rinnovato periodo di popolarità ottenuto grazie alle riviste entrò nella sua «terza fase»: dopo l’autobiografia realistica di Checca e Junky, e dopo il cut-up weird di Pasto nudo, Nova Express e Il biglietto che esplose, arrivò alla sintesi con la sua trilogia finale scritta negli anni Ottanta, quella composta da Città della notte rossa, Strade morte e dal capolavoro conclusivo Terre occidentali, la cui ripubblicazione in casa Adelphi con nuova traduzione sarebbe peraltro assai urgente.

- Vanni Santoni - Pubblicato su La Lettura del 7/7/2024 -

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