venerdì 18 luglio 2025

Leggere Marx !!

Crisi e Critica della Società del Lavoro
- Introduzione - di Robert Kurz

   Per quanto riguarda la critica del lavoro, l'altro Marx - il Marx esoterico, quello della critica radicale categoriale -  lo si distingue molto meno chiaramente. Gli è che in genere su questo punto, Marx sembra essere d'accordo con il marxismo positivista del movimento operaio. In quelli che sono dei passaggi assai lunghi, vediamo come il suo ragionamento possa essere interpretato secondo il senso dell'evidenza, dell'eterna necessità naturale del lavoro, o del lavoro inteso come essenza sovra-storica dell'essere umano. Qui, Marx segue il movimento operaio storico, quello che vede il lavoro come una condizione umana che sarebbe stata deformata dal capitale (dalla classe capitalista) in maniera semplicemente esteriore e usurpatrice. Tuttavia, non è affatto un caso che Marx non si sia mai andato a impelagare nella glorificazione del lavoro, quello con le mani callose, con l'etica del lavoro protestante e con la "creazione di valore" grazie al lavoro; come sarebbe poi invece comunemente avvenuto in seguito, nei sindacati, nei partiti operai socialdemocratici e comunisti, con tutte le loro iconografie e simbolismi. E questo perché, in molti dei testi di Marx, il discorso si evolve in maniera discreta, e porta a qualcosa che sia di negativo in sé stesso. La critica del lavoro capitalistico, viene pertanto formulata in modo tale da sembrare incredibile che sia proprio questo medesimo concetto di lavoro - visto come condizione umana positiva sovra-storica – quello che alla fine debba essere applicato proprio al Capitalismo.

  Il problema risiede nella natura astratta del concetto di lavoro. Il lavoro in sé, il lavoro in generale, il lavoro come dispendio astratto di energia umana: questo concetto ha senso solo se lo vediamo in quanto forma di attività del moderno sistema capitalistico di produzione di merci destinate a dei mercati anonimi. Non si tratta affatto - come Marx stesso ha già dimostrato nell'analisi della merce -  di una mera astrazione in senso mentale e verbale, quanto piuttosto di una "astrazione reale" sociale. Il meccanismo di calcolo dell'economia imprenditoriale - così come le persone che producono sotto la spinta di questa logica della valorizzazione del denaro - fa astrazione, anche nella pratica, rispetto a un contenuto sensibile e materiale, al significato umano, o alla mancanza di significato, e alle conseguenze della propria incessante attività nei confronti della società e delle basi naturali della vita. Si tratta sempre e solo di un unico fine in sé: l'energia umana si trasforma in denaro, e il denaro viene sempre a sua volta trasformato in altro denaro. L'equiparazione, astratta e continua, dei più diversi contenuti reali (anche distruttivi) poggia sull' atteggiamento di indifferenza riguardo al denaro, visto come fine in sé stesso, che poi appare nuovamente anche come l'indifferenza riguardo al lavoro astratto, nel processo di produzione del capitale. Simbolicamente e con involontaria lucidità, il consiglio di amministrazione di un'azienda ha sottolineato questa astratta “indifferenza” attraverso un motto paradossale: «Per avere successo, devi credere in qualcosa, non importa cosa». Nell'esprimere negativamente, con il concetto di “lavoro astratto”, il carattere di astratta indifferenza, da parte della produzione capitalistica, Marx ha di fatto già emesso una sentenza di condanna del concetto positivo di lavoro in generale, poiché in ultima analisi l'astrazione “lavoro” non significa nient'altro che quello. Anche il lavoro retribuito dei dipendenti, si trova incluso in questo concetto di lavoro (astratto), che non si esaurisce affatto in esso. Esso include anche l'attività dei capitalisti e dei manager, vale a dire che si estende a tutte le classi e a tutti i gruppi della gerarchia funzionale capitalista. I proprietari di capitale, nel senso originario, e i semplici gestori o i "capitalisti funzionali", non sono affatto "oziosi"; anch'essi consumano quell'energia umana che - come quella degli operai salariati -  viene applicata direttamente, o indirettamente, alla produzione di merci nel processo di valorizzazione, e quindi assume anch'essa il carattere di lavoro astratto. Come la forma della concorrenza, così anche a forma del lavoro, costituisce un quadro di riferimento comune e completo per l'umanità determinata dal capitalismo. E questo indipendentemente dalle differenze di posizione funzionale, indipendentemente dai salari e dalla ricchezza personale, o dalla povertà monetaria.

   Questa identità, Marx l'ha evocata più volte, persino nella sua forma di opposizione sociale. E sebbene in lui questa opposizione appaia ancora in termini di lavoro e di “non lavoro”, nel linguaggio del marxismo del movimento operaio, in essa viene espresso tutto ciò che, internamente, i due concetti hanno in comune. Giacché Marx non intende riportare il “non lavoro” all'interno dell'eterno mondo del lavoro, ma vuole piuttosto superare il sistema di riferimento di un “soggetto automatico” comune a capitalisti e lavoratori salariati. Se il lavoro astratto, così come la concorrenza, rappresenta la forma di attività del capitalismo estesa a tutta la società, allora è impossibile stabilire una presunta opposizione al capitale partendo dal “punto di vista del lavoro”. Questo punto di vista si rivela solo un'illusione, poiché lavoro e capitale non sono altro che due diversi stati di aggregazione della medesima relazione feticistica irrazionale: uno in forma liquida (il lavoro) e l'altro in forma coagulata (il denaro).Unitamente alla nozione positiva e sovrastorica di lavoro, diventa discutibile anche il motivetto della lotta di classe condotta nell'involucro capitalistico, giacché ogni critica, una volta che prende di mira il comune sistema di riferimento onnicomprensivo nella sua forma coagulata di denaro, deve riferirsi anche alla comunità del lavoro astratto. Nei passaggi corrispondenti ai suoi ragionamenti, Marx qualifica i rappresentanti del capitale, non solo come le “maschere caratteriali” del denaro ( nemiche), ma li declassa anche a veri e propri funzionari ovvero “ufficiali e sottufficiali” del capitale; rendendo in tal modo fluttuanti, anche in senso sociologico, quelli che sono i confini con il lavoro salariato.

   Per gli ultimi mohicani del marxismo del lavoro, forse la più intollerabile di tutte le reinterpretazioni della teoria di Marx, è proprio la negazione radicale del lavoro . Infatti, essa colpisce al cuore la costruzione identitaria del marxismo, legata com'è a una nozione positiva ed enfatica del lavoro, in quanto il movimento operaio, essendo di per sé “solo” la "maschera di carattere del capitale variabile, si era appassionatamente identificato con quello che è lo stato vivo e liquido di aggregazione del capitale senza essersi mai reso conto di questa illusione. Forse è per questo motivo che ciò che resta della sinistra - e che rimane in qualche modo legato alle forme disgregate del marxismo del lavoro o del movimento operaio - ama strillare sul tema del “lavoro”. denunciandolo pubblicamente come un sacrilegio filologico, mentre la maggior parte della massa conosciuta dei testi di Marx viene gettata via, senza tanti complimenti, per nascondere così tutti quei passaggi negatori che indicano un Marx completamente estraneo, quando viene separato dal contesto del secolo del movimento operaio. Ma a rendere così vividamente attuale il discorso della critica del lavoro di Marx, è la nostra realtà all'inizio del XXI secolo, laddove il Marx “amico del lavoro” non riveste più alcun interesse storico. Infatti, tutto ciò che Marx aveva detto sulla natura del lavoro astratto, in quanto forma comune e onnicomprensiva di socializzazione capitalistica, si è realizzato al di là delle sue formulazioni. E se durante la seconda rivoluzione industriale, a partire da Henry Ford, il management ha perso il suo carattere aziendale, diventando carne della carne della classe operaia - vista come parte di quella che è una semplice gerarchia funzionale – vediamo che oggi, sulla scia della terza rivoluzione industriale, i lavoratori salariati resi flessibili stanno diventando gli imprenditori della propria forza lavoro. Allo stesso modo, i manager delle grandi aziende globali, così come la generazione fondatrice del capitalismo di Internet, non sono più dei non-lavoratori panciuti, ma piuttosto dei veri e propri robot funzionali ben addestrati e fanaticamente dipendenti dal lavoro del “loro” capitale. D'altra parte, i lavoratori con un impiego fisso, al pari delle vittime compulsivamente flessibilizzate dell'outsourcing e dell'ampio spettro di imprenditori della miseria, con il proprio capitale umano nudo, eseguono i loro calcoli, come in un inventario di fabbrica: l'“io” rappresenta una gestione aziendale.

   Quando alla fine degli anni '90, i metalmeccanici tedeschi hanno marciato nel distretto finanziario di Francoforte, tenendo in mano cartelli con lo slogan “Noi siamo il capitale”, nel farlo, hanno sancito la fine negativa della lotta di classe. Questo modello di concorrenza tra le diverse categorie funzionali del capitale, ha prevalso sulla concorrenza tra le imprese e gli Stati (il discorso sulla localizzazione degli investimenti) e su quella tra gli individui atomizzati (persino all'interno del lavoro salariato). Se oggi, per quanto queste persone sembrino completamente assorbite dalle loro funzioni capitalistiche - come degli animali selvatici nel loro ambiente naturale - in realtà, tuttavia, non possono negare questa profonda alienazione dell'uomo rispetto a sé stesso, la medesima che Marx analizzava in quanto caratteristica essenziale del lavoro astratto. Tale alienazione non corrisponde alla superficiale povertà economica dei molti umiliati e offesi dal capitalismo, e non corrisponde nemmeno alla sofferenza fisica. In prima linea nello sviluppo, ad esempio nelle piccole software house dei “nuovi mercati”, la coscienza economizzata delle generazioni postmoderne ha assunto dei tratti di autolimitazione funzionalista che solo pochi decenni fa sarebbero stati considerati impossibili. La sofferenza dovuta a questa paranoica autoimmolazione economica, e all'infantilismo della maggior parte dei suoi risultati, si legge sui volti degli “schiavi del computer”, anche se non vogliono riconoscerlo.

   Ma il suo vero trionfo teorico, “l'altro Marx” lo celebra per il fatto di aver compreso il limite interno oggettivo proprio della forma sociale basata sul lavoro astratto. Quello che, dopo la Seconda guerra mondiale, era apparso come un vago presentimento dell'avvicinarsi di una “crisi della società del lavoro” (Hannah Arendt), non solo è ora una realtà tangibile, ma era già stato previsto e analizzato teoricamente da Marx molto tempo prima. Questo risultato della teoria di Marx, forse il più sorprendente, deriva dalla deduzione logica di un'auto-contraddizione interna che caratterizza il modo di produzione capitalistico, il quale, per un verso, pone il dispendio di energia umana come fine a sé stesso, mentre per l'altro verso, attraverso una concorrenza anonima su scala crescente nel processo di produzione del capitale, rende il lavoro superfluo. Questa contraddizione, è la causa più profonda delle crisi capitalistiche, ed è quindi il presupposto della teoria della crisi di Marx. È anche il contesto in cui Marx usa esplicitamente l'inquietante parola “crollo”: vale a dire, le periodiche rotture strutturali, in cui il capitale che brama la “sostanza del lavoro” diventa insaziabile, finiscono tutte in un vicolo cieco poiché, a causa delle sue stesse condizioni, il capitale non è più in grado di consumare con profitto quantità sufficienti di lavoro. Tutti gli indizi portano a pensare che questa situazione dedotta da Marx si sia realizzata con la rivoluzione microelettronica. In questa fase di sviluppo, per la prima volta, la “forza produttiva della scienza” rende continuamente superflua una quantità di lavoro superiore a quella che sarebbe possibile riassorbire con profitto attraverso l'abbassamento dei prezzi dei prodotti, e grazie alla conseguente espansione dei mercati. Gli auto-imprenditori della società della conoscenza, possono ora muoversi con la massima flessibilità, senza però riuscire a sfuggire al vicolo cieco capitalistico della scomparsa permanente della sostanza del lavoro. In Marx, essi possono scoprire, non solo l'assurdità e il pericolo pubblico costituito dal loro furioso viavai lavorativo; ma anche la sua fine definitiva. La società della conoscenza realizzata, non può più essere capitalistica, perché non può più essere basata sulla misurazione di quantità astratte di lavoro sociale. I limiti della società del lavoro, sono i limiti del capitalismo. Il lavoro alienato sta distruggendo sé stesso.

- Robert Kurz - fonte: http://obeco-online.org/robertkurz.htm -

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