Il testo che segue, scritto da Matthew Bolton e pubblicato su "História e Desamparo", si svolge a partire da una breve discussione che ha avuto luogo tra due autori che fanno entrambi riferimento a Marx ( Andreas Malm e Anselm Jappe ), e che è esplosa, a sinistra, nel corso di un panel di Zoom, il 14/5/2021, durante l'escalation del maggio 2021 tra Israele e Hamas, e nel quale si sarebbe dovuto parlare esplicitamente della crisi del Covid e dello Stato. Malm - influente teorico e attivista ambientale - ha interrotto la sua presentazione, in cui doveva parlare della pandemia, per accusare di fascismo e di "proto-genocidio" la cosiddetta "entità sionista" e per chiamare alla solidarietà con Hamas. In segno di protesta, Anselm Jappe ha abbandonato la tavola rotonda, e Malm ha risposto facendo uno sprezzante riferimento alle origini tedesche di Jappe.
Anatomia della disputa tra Andreas Malm e Anselm Jappe
- di Matthew Bolton -
(...) In teoria, la cosiddetta posizione "tedesca" sull'antisemitismo può essere fatta risalire alla teoria critica dell'antisemitismo sviluppata da Theodor W. Adorno e Max Horkheimer. [22] Nei primi anni dell'era nazista, Adorno e Horkheimer aderirono a una versione dell'analisi marxista ortodossa dell'antisemitismo, secondo la quale l'antisemitismo poteva essere spiegato come se fosse una forma di ideologia, che veniva consapevolmente e cinicamente propagata dalla classe dominante, per distrarre, e quindi promuovere l'oppressione della classe operaia. [23] In questo caso, l'antisemitismo qui è semplicemente un mezzo intercambiabile che viene usato per un fine più fondamentale: il dominio di classe. Ma all'inizio degli anni '40 la centralità, piuttosto che la contingenza, dello sterminio e dell'antisemitismo nel progetto nazista cominciò a diventare chiara, e Horkheimer e Adorno rividero la loro posizione. Inoltre, era evidente che il sostegno alle politiche antisemite, che andavano dal boicottaggio economico alla ghettizzazione, alle deportazioni e all'eventuale annientamento, tra i tedeschi "comuni", ivi compresi i lavoratori, non era né indifferente né forzato, bensì entusiasta e autentico. Spiegare questo abbraccio dell'antisemitismo, da parte della società nel suo insieme, significava capire come l'antisemitismo fosse emerso, o sia stato incorporato, nelle fondamenta stesse di quella società: nei suoi concetti, nella sua psiche collettiva, nel suo modo di esistere. Nella Dialettica dell'Illuminismo - e per tutto il resto della sua carriera - Horkheimer e, in particolare, Adorno cercarono di identificare le radici dell'antisemitismo e di Auschwitz nell'interazione tra universalità e particolarità, tra identità e non-identità, tra razionalità e mito, attraverso lo sviluppo della società occidentale. Sebbene ci fossero state delle particolarità storiche che avevano portato la Germania a essere il luogo in cui l'antisemitismo sterminatore avrebbe raggiunto il suo apice, Adorno sosteneva che la razionalità e l'identità feticizzate, imposte dai rapporti di scambio obbligatori della modernità capitalista, e i sentimenti di impotenza di fronte alle vaste burocrazie statali, al dominio tecnologico e all'incessante tumulto creato da un'economia mondiale capitalista, avevano prodotto quelle che erano state delle condizioni senza precedenti ai fini dell'esacerbazione e dell'attivazione politica di un antisemitismo che non era mai stato molto al di sotto della superficie. Così, in Dialettica negativa sostiene che «Hitler ha imposto agli uomini nella condizione della loro illibertà un nuovo imperativo categorico: pensare e agire in modo che Auschwitz non si ripeta, che non accada niente di simile». [25] Nei decenni che seguirono la fine della guerra e la costruzione della Repubblica Federale Tedesca, questo imperativo «Mai più» comportò una costante vigilanza contro l'antisemitismo, che Adorno suggeriva rimanesse latente all'interno dello Stato e della società della Germania Ovest. Sebbene la Repubblica Federale fosse una democrazia, e quindi qualitativamente distinta dall'autoritarismo totalitario del regime nazista, essa era fragile, ed era stata imposta dall'esterno, anziché conquistata grazie alla lotta degli stessi tedeschi. Adorno sosteneva che, in un simile contesto, l'ascesa dei partiti di destra recentemente "sterilizzati" – cioè, non più esplicitamente antisemiti – significava che «la sopravvivenza del nazionalsocialismo all'interno della democrazia era ora potenzialmente più minacciosa della sopravvivenza delle tendenze fasciste – cioè dei partiti neonazisti espliciti – contro la democrazia». [26] Adorno, in particolare, si concentrò sui pericoli di quello che egli chiamò «antisemitismo secondario», per mezzo del quale si tenta di minimizzare gli eventi dell'Olocausto, di mitigare la colpa dei perpetratori, di suggerire che le vittime abbiano istigato o provocato il loro trattamento, o di accusare le vittime di cercare di trarre profitto, finanziariamente o politicamente, dal passato, portandolo continuamente in primo piano, rafforzando così un "complesso di colpa" nazionale che impediva alla Germania di andare avanti. [27] Malgrado l'influenza esercitata da Adorno negli ambienti della sinistra tedesca fino alla sua morte nel 1969, la sua critica al fascismo latente nella Repubblica Federale e la sua richiesta di non permettere “mai più” una Auschwitz divennero oggetto di interpretazioni da parte di una nuova generazione di sinistra che, seguendo quel tipo di svolta dialettica che la sua stessa opera aveva diagnosticato, capovolse i suoi appelli – come, in privato, egli stesso aveva riconosciuto che sarebbe accaduto. [28] Così, alla fine degli anni '60 e '70, i gruppi della sinistra radicale in Germania iniziarono a considerare la Repubblica Federale non solo potenzialmente, ma realmente fascista – una posizione che Adorno respinse esplicitamente – mentre la politica estera degli Stati Uniti, in particolare la brutale guerra in Vietnam, veniva abitualmente caratterizzata come se fosse un'estensione diretta del regime nazista. [29] Questa confusione tra "l'imperialismo" statunitense – che sarebbe stato forse più comprensibile se visto come un anticomunismo paranoico e distruttivo – e l'Olocausto equivaleva effettivamente a una relativizzazione di quest'ultimo, dovuta all'incapacità di comprendere la distinzione concettuale cruciale tra massacro di massa e sterminio, «il massacro amministrativo di milioni di persone innocenti». [30] Confondere le due categorie – nello stesso modo in cui la destra tedesca cercò di equiparare il bombardamento di Dresda alle camere a gas – finì per scagionare implicitamente la vecchia generazione di tedeschi che aveva vissuto durante l'era nazista. Se il Vietnam è stato un genocidio, e quindi una nuova Auschwitz, allora né i nazisti né il popolo tedesco possono o devono sentirsi in colpa. Inoltre, per la Nuova Sinistra tedesca, come per quella in altri paesi, la sorprendente vittoria di Israele nella guerra del 1967 contro diversi Stati arabi sembrava rendere loro chiaro come anche Israele facesse parte del progetto imperialista: era pertanto solo un altro stato fascista e nazista che doveva essere sconfitto, con ogni mezzo necessario, per poter «prevenire un altra Auschwitz». In effetti, come dice Paul Berman, per gran parte della sinistra radicale tedesca, Israele era diventato «il sito criptonazista per eccellenza, ossia il più puro tra tutti gli esempi di come il nazismo non sia mai stato sconfitto, ma fosse invece rimasto presente in sembianze sempre più caute. Quale veste migliore avrebbe potuto assumere il nazismo, se non quella di uno Stato ebraico?». [31] Sulla scia del 1967, i movimenti studenteschi tedeschi approvarono risoluzioni che condannavano "l'entità sionista" in quanto «punta di diamante dell'imperialismo». Si sosteneva che il senso di colpa per la morte di sei milioni di ebrei non avrebbe dovuto precludere il riconoscimento della quotidiana Kristallnacht (Notte dei cristalli) che Israele imponeva ai palestinesi. [32] I rivoluzionari tedeschi viaggiarono in Medio Oriente per addestrarsi con i militanti palestinesi. Seguirono azioni dirette contro obiettivi ebrei e israeliani. Nel 1969, il giorno dopo l'anniversario della Kristallnacht, un centro della comunità ebraica di Berlino – costruito sul sito di una sinagoga bruciata durante la Kristallnacht stessa – fu bombardato da un gruppo scissionista di sinistra, in seguito alla profanazione di tombe ebraiche con le parole "- Shalom + Napalm". [33] Nel 1972, la famosa militante di sinistra Ulrike Meinhof annunciò l'omicidio di 11 atleti israeliani a Monaco di Baviera definendolo come un attacco al "nazifascismo israeliano", brillantemente condotto proprio sul suolo tedesco dove i semi dell'esistenza criminale di Israele erano stati piantati per la prima volta. [34] Quattro anni dopo, i militanti tedeschi aiutarono i membri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) – un gruppo la cui campagna di dirottamenti aerei, cattura di ostaggi e attentati dinamitardi continua ad essere romanticizzata dalla sinistra contemporanea - a dirottare un aereo in volo da Tel Aviv a Parigi. Atterrati a Entebbe, in Uganda, i dirottatori separarono scrupolosamente i passeggeri ebrei e israeliani dal resto degli altri passeggeri, che furono rilasciati, e li minacciarono di morte se le loro richieste non fossero state soddisfatte. Una missione segreta di commando israeliani alla fine salvò i rapiti. [35] Il grottesco spettacolo della sinistra tedesca che, sotto la minaccia delle armi, partecipava a "selezioni" di ebrei – tra i quali c'era almeno un sopravvissuto ai campi di sterminio – appena 30 anni dopo l'Olocausto è stata alla fine l'ultima goccia. Le discussioni all'interno dei circoli di sinistra, sia a livello intellettuale che di attivismo, hanno iniziato a rivalutare i presupposti che erano alla base della confusione tra politica estera degli Stati Uniti, l’"imperialismo" israeliano e lo sterminio nazista degli ebrei. L'idea che l'antisemitismo non fosse limitato all'estrema destra, o alla classe dominante, ma che esso fosse ormai radicato nella società nel suo insieme – compresa, a quanto pare, la sinistra anticapitalista – ora andava nuovamente presa sul serio.
Marx, Postone e l'anticapitalismo romantico
Per una parte della sinistra tedesca, i mezzi necessari per poter rivalutare il rapporto tra antisemitismo, società capitalista e apparente opposizione a questa società sono stati trovati in... un ritorno a Marx. Nel bel mezzo dell'esplosione militante della fine degli anni '60, emerse un nuovo filone della teoria marxista, fortemente influenzato da Adorno, che cercò di ricostruire, a partire dai testi originali, la critica di Marx all'economia politica, rifiutando le distorsioni imposte da decenni di filtraggio sovietico e dalla linea ufficiale del Partito Comunista. Incautamente. nel tentare di riassumere in poche righe un corpus di letteratura incredibilmente ricco, e piuttosto che criticare il capitalismo dal punto di vista della classe operaia, questa "nuova lettura di Marx" ha cercato di delineare quali fossero le forme sociali che strutturano la società capitalistica nel suo insieme, ivi compreso anche il punto di vista della classe operaia: la merce, il capitale, il valore e il denaro. Si sosteneva pertanto che è il movimento di queste forme a creare le condizioni sociali; cosa che fa dipendere la sopravvivenza a partire dalla produzione costante di un valore sempre crescente, da realizzare attraverso il lavoro e lo scambio di merci. Queste condizioni generali, sono al di fuori del controllo di qualsiasi attore sociale specifico, non importa quanto potente esso sia. Il bisogno capitalista di avere sempre più profitto – una richiesta che è anche al centro dell'attuale crisi climatica – non è, alla radice, causato dall'immoralità personale dei capitalisti, sebbene ci siano sicuramente dei capitalisti immorali. Piuttosto, tutto questo è il risultato ineluttabile di una società dove la riproduzione della vita stessa si trova a essere inestricabilmente legata alla riproduzione e all'espansione del valore. Lungi dall'essere lo Stato, il mezzo con cui una tale società può essere combattuta, da questa prospettiva però lo Stato è «la forma politica della società [capitalistica] stessa», e quindi esso dipende dalla continua riproduzione di tale società. [36] In questa società, la validità di un particolare Stato non si basa su alcuna connessione ontologica tra un "popolo" e una "terra", ma sulla capacità dello Stato esistente di difendere i propri confini, sopprimere i disordini interni e integrare i suoi cittadini nel mercato mondiale capitalista. Il nazionalismo romantico non spiega "l’origine" sottostante dello Stato, ma è piuttosto una fantasia consolatoria: una risposta secondaria alla divisione, alla contraddizione e al conflitto che costituisce una società fondata sul movimento del capitale, un tentativo di trascendere la frammentazione attraverso l'imposizione dell'unità nazionale. In una tale prospettiva, con ci sono motivi per rifiutare uno Stato ebraico – se non il rifiuto della forma statale in quanto tale, cosa che quindi preclude anche il sostegno a uno Stato di Palestina. Il più influente tentativo di utilizzare la teoria della forma merce per riuscire a comprendere l'antisemitismo e l'Olocausto, è arrivato sotto forma di un fondamentale saggio di Moishe Postone del 1986, "Antisemitismo e nazionalsocialismo". [37] In questo libro, Postone, che aveva precedentemente studiato a Francoforte, sosteneva che il nazismo andava inteso come una forma romantica di anticapitalismo, nella quale gli aspetti positivi e "concreti" della società capitalistica – il lavoro manuale, la produzione industriale, lo Stato-nazione – vengono contrapposti agli elementi "astratti" e intangibili ma distruttivi che sono: il denaro, la finanza, l'interesse, il cosmopolitismo senza radici. Le drammatiche, confuse e spesso traumatiche trasformazioni della vita quotidiana a causa dello sviluppo della società capitalista sono state attribuite alla contaminazione della comunità nazionale dei produttori a opera di finanzieri, di interessi e di denaro internazionali. Questa critica "tronca" del capitalismo - che non riesce a riconoscere, come fece invece Marx, il fatto che nella società capitalista il concreto (valore d'uso) e l'astratto (valore di scambio) costituiscono l'uno le precondizioni necessarie dell'altro - apre la strada a una moderna e razzializzata modalità di antisemitismo, dove la dimensione astratta del capitalismo è stata "biologizzata" (o concretizzata) in quanto"gli ebrei". «Per i nazisti», scrive Postone, «gli ebrei non venivano visti come se fossero semplicemente dei rappresentanti del capitale» – vale a dire, come li vedeva la critica marxista standard dell'antisemitismo – ma essi «divennero l'incarnazione dell'intangibile, del distruttivo, dell'immensamente potente e del dominio internazionale del capitale visto come forma sociale alienata». In tal modo, il tentativo di sterminare gli ebrei diventava pertanto un tentativo di salvare quello che sarebbe stato l'elemento concreto del capitalismo, dalla sua deformazione astratta, vista nella forma degli ebrei. La connessione, attuata da Postone, tra le critiche "personificate" al capitalismo e l'antisemitismo, può essere solo una possibilità, e non una necessità. L'associazione degli ebrei, in particolar modo, attraverso il potere segreto, ma onnipotente, rappresentato dalla finanza "improduttiva", dall'interesse, dall'usura e così via, non può essere spiegata a partire dalla mera esistenza di una visione del mondo che oppone questi fenomeni al lavoro produttivo "concreto". La cosa richiede, piuttosto, un'analisi storica della profonda compenetrazione tra antigiudaismo e fondamenti concettuali della cultura occidentale e cristiana. [39] Inoltre, anche all'interno della storia dell'antisemitismo stesso, l'impulso che pose fine all'Olocausto rimane un caso isolato; e che richiede una spiegazione a un livello di specificità concreta che va oltre la portata della teoria critica. Tuttavia, a livello astratto, gli elementi di base di quella che è la visione del mondo antisemita dei nazisti – un anticapitalismo romantico, basato sulla feticizzazione dello Stato assurto a prima linea di "protezione" di una comunità nazionale di produttori, contro le forze globali distruttive, disponibili alla mobilitazione politica all'interno di una società plasmata, a livello assai profondo, da secoli di pensiero antiebraico – continuano a essere visibili anche in molti altri casi, ivi compresi i movimenti di sinistra. [40]
Ovunque questi elementi siano presenti, lo è anche la possibilità dell'antisemitismo. In un suo articolo successivo, Postone ha attinto a questa analisi per sostenere che la sinistra "antimperialista" contemporanea, la quale dipende ancora da una visione del mondo manichea che ci ricorda la Guerra Fredda, ora feticizza il «dominio astratto e dinamico del capitale [...] a livello globale come quello attuato dagli Stati Uniti, o, in alcune sue varianti, come quello messo in atto dagli Stati Uniti insieme a Israele». [41] Qui, lo Stato di Israele assume l'odiosa forma personificata di quel dominio astratto messo in atto dallo "ebraismo internazionale". Ed proprio questa posizione che sta alla base del sostegno di Malm ad Hamas e della sua avversione per la "entità sionista". Per Malm, Israele è una "incarnazione" del dominio astratto del capitale globale, responsabile del cambiamento climatico. Hamas, da parte su, rappresenta così la ribellione del concreto contro l'astratto, la vera nazione di fronte a una finzione legalistica, in quello che è un ultimo disperato tentativo di salvare la natura stessa da quella «forza estranea, pericolosa e distruttiva» che minaccia l'intero pianeta. [42] Per Postone, inevitabilmente, questa feticizzazione messa in atto da dei movimenti come Hamas o come Hezbollah - e la razionalizzazione del loro antisemitismo, e di forme terroristiche di "resistenza" viste come una reazione forse deplorevole ma comprensibile all'aggressione israeliana - non riesce a comprendere la natura dell'antisemitismo nelle società arabe contemporanee. Il diffuso prevalere delle classiche teorie del complotto in stile "Protocollo", sugli ebrei, qui non è dovuta a una presunta arretratezza del "mondo musulmano", né, in generale, alle azioni effettive di Israele, quanto piuttosto all'incapacità, da parte degli stati arabi, di adattarsi alle esigenze del capitalismo neoliberista. Le lotte per la democrazia scoppiate nella primavera araba, sono state una risposta a questi fallimenti; un'altra risposta è stata quella di attribuire il declino economico a una cospirazione mondiale guidata dagli onnipotenti "sionisti". Quest'ultima risposta, per Postone, ha portato alla costituzione di «un movimento populista anti-egemonico, che è profondamente reazionario e pericoloso, soprattutto per ogni e qualsiasi speranza di una politica progressista nel mondo arabo/musulmano». Il fatto che la sinistra occidentale non riesca a fare alcuna distinzione tra queste due risposte, e a fonderle in un'unica narrazione romantica di "resistenza", per Postone, è un segno della "impotenza" della sinistra e della totale perdita di ogni suo orientamento politico e morale. L'articolo iniziale di Postone, a proposito del potenziale antisemita dell'anticapitalismo romantico, era stato in parte stimolato da ciò che egli percepì come un fallimento della sinistra tedesca, nel saper riconoscere il significato, o nel criticare la visita del 1985 del presidente neoconservatore statunitense Ronald Reagan e del cancelliere della Germania Ovest Helmut Kohl al cimitero di Bitburg, per una cerimonia commemorativa sulle tombe dei soldati della Wehrmacht e delle Waffen SS. Reagan giustificò la sua visita sostenendo che le reclute militari tedesche, comprese alcune delle SS, erano vittime del nazismo tanto quanto lo erano state quelli che nei campi di concentramento, e in seguito suggerì che la Germania forse aveva avuto per troppo tempo «un senso di colpa che gli era stato imposto» e che era «non necessario». I sondaggi mostrarono come oltre il 75% della popolazione della Germania Ovest sostenesse la visita. L'anno successivo, ci fu lo scoppio della famosa Historikerstreit, o "rissa degli storici", nel corso della quale una serie di storici tedeschi di destra sostennero che la Germania aveva bisogno di dare un bel "taglio netto" con il proprio passato nazista, e doveva rifiutare il peso della responsabilità storica, in modo da poter così costruire un'identità nazionale moderna e sicura di sé. L'era nazista non era una responsabilità del popolo tedesco nel suo insieme - suggerivano - ma era il risultato di una banda criminale che aveva preso in ostaggio la nazione. Non solo i crimini dei nazisti non erano storicamente eccezionali, ma differivano solo per alcuni aspetti tecnici da quelli dell'Unione Sovietica. In realtà, il nazismo era stato, per molti versi, una risposta razionale, anche se fuorviante, alla rivoluzione bolscevica. Inoltre, la sconfitta del Terzo Reich tedesco, e il trasferimento forzato delle popolazioni tedesche dall'Europa orientale avvenuto dopo la guerra, era stato una «seconda Untergang» [caduta, rovina] pari a quella degli ebrei europei. Per Postone e altre figure della Scuola di Francoforte come Jürgen Habermas, questo equivaleva a un tentativo, concertato da parte della destra di, "normalizzare", e quindi sterilizzare, sia l'antisemitismo nazista che l'Olocausto stesso, in nome di un nuovo progetto nazionalista tedesco. Il desiderio di scagionare e di riconciliare la Germania con il proprio passato, come quello di liberarsi di una colpa che, implicitamente, le veniva imposta da forze esterne, era un'espressione di quel tipo di "antisemitismo secondario" che aveva identificato Adorno 20 anni prima. Di fatto - per coloro che - nella destra tedesca - erano meno imbarazzati, rispetto agli augusti storici, nell'identificare esplicitamente chi fosse il responsabile della “imposizione” di un complesso di colpa al popolo tedesco - i colpevoli erano e rimangono chiari: Israele e i suoi sostenitori sionisti stavano sfruttando la memoria dell'Olocausto per estorcere un risarcimento morale, politico e finanziario allo Stato tedesco.. [43] Questo argomento è stato poi successivamente universalizzato da Norman Finkelstein, nel suo libro "The Holocaust Industry", pubblicato dall'editore di sinistra Verso Books: per Finkelstein, Israele e i suoi sostenitori non solo stavano strumentalizzando l'Olocausto al fine di ottenere ricompense politiche e finanziarie dalla Germania, ma stavano cercando di ricattare l'intero pianeta. [44] Secondo Postone, quest'incapacità, da parte della sinistra tedesca, di elaborare una protesta sostanziale contro la visita di Bitburg, o un intervento critico rispetto alla Historikerstreit - mentre centinaia di migliaia di esponenti della sinistra tedesca affollavano le strade per protestare contro le azioni statunitensi in Sud America - era una manifestazione della medesima rimozione e relativizzazione del passato nazista che veniva espressa dalla destra. A meno che non si basi su «un confronto aperto e continuo con il passato nazista e con il suo rifiuto» - ci avverte - «insieme ai tentativi della sinistra di costringere la Germania a rompere con gli Stati Uniti e la NATO, o di cercare di riconquistare lo spirito di un radicalismo di sinistra tedesco pre-nazista, rischiano di sanzionare un tradizionale rifiuto tedesco dell'Occidente, insieme a un ritorno a quelle virtù teutoniche che, in passato, hanno fatto della Germania il flagello della terra». Non ci può essere una Germania radicalmente "nuova" o "alternativa", a meno che non venga «costantemente e consapevolmente definita in opposizione alla vecchia determinazione del passato tedesco». [46] Pertanto, fu in questo contesto che, sulla scia della caduta del muro di Berlino e del crescente spettro della riunificazione tedesca, emerse il movimento "anti-tedesco". Da un lato, c'era una destra che promuoveva l'idea che la creazione di una nuova identità nazionale tedesca richiedesse un declassamento dell'Olocausto, la sanificazione dell'era nazista e l'opposizione (implicita) al presunto dominio di Israele sulla politica tedesca. La prospettiva di una nuova Germania - che si liberasse degli ultimi residui di colpa storica per l'Olocausto, in modo da riconquistare così, ancora una volta, la sua posizione sulla scena mondiale, dominando l'Europa politicamente ed economicamente - coincideva, per gli anti-tedeschi, con una prospettiva della maturazione di un'estrema destra rivitalizzata. Sull'altro versante, c'era invece una sinistra che sanzionava i tentativi da parte della destra di santificare il passato nazista, diluendolo nelle teorie universali della lotta di classe, o dell'imperialismo, negando così di fatto ogni legittimità al nazionalismo ebraico - e solo a quello - e per la quale l'opposizione allo “imperialismo” israeliano significava, nel migliore dei casi, chiudere un occhio sull'antisemitismo o, nel peggiore, romanticizzare in maniera feticistica i movimenti politici reazionari antisemiti. Al contrario, gli anti-tedeschi cercavano di perturbare quella sinistra «atmosfera di ”informalità tedesca“ e di riscoperta», e «insistevano sulla memoria dell'Olocausto, e sul confrontarsi con il passato nazionalsocialista della Germania, vedendolo come la spina dorsale di qualsiasi progetto di sinistra». [47] In questo contesto, la vittoria di una sinistra, e di una Germania riunificata, che prendesse sul serio l'antisemitismo non era affatto garantita. La formazione di un nuovo stato tedesco, che avesse al suo centro una cultura della memoria simboleggiata dal Memoriale, per gli ebrei assassinati d'Europa, a Berlino – piuttosto che averne uno basato sulla riconciliazione con il passato, sulla relativizzazione dell'Olocausto e sul rifiuto della responsabilità storica – è stato, in gran parte, una vittoria della sinistra, una vittoria su quella che avrebbe potuto invece diventare una pericolosa rappresaglia da parte dell'aggressivo nazionalismo tedesco; per quanto "pirrica" fosse, per una sinistra contraria alla nozione di Stato-nazione in sé, una tale vittoria. Naturalizzare l'esito di questo processo – basato, in parte su una critica radicale della società capitalistica, in parte su lotte concrete contro i tentativi sia di destra che di sinistra di santificare la storia tedesca e il significato dell'Olocausto – in modo da ridurlo a una sorta di innato “riflesso tedesco”, significa ignorare altri potenziali esiti che non erano meno - e per molti versi più - probabili, così come i continui, e in effetti crescenti, pericoli dell'antisemitismo nella Germania di oggi. Significa anche ignorare le numerose divisioni esistenti in Germania, nell'ambito della sinistra anti-antisionista, fin dalla nascita della corrente anti-tedesca. Ironia della sorte, nel 2001, fu tuttavia lo stesso Anselm Jappe che scrisse una critica severa alla traiettoria degli anti-tedeschi. Egli sosteneva che il movimento era ritornato a una forma di nazionalismo tedesco alla rovescia, passando da una posizione che cercava di comprendere le particolarità della storia tedesca - vista alla luce dello sviluppo generale della modernità capitalista - a una posizione che feticizzava a livello ontologico il male unico dell'identità tedesca, relativizzando l'Olocausto, etichettando figure come Saddam Hussein o Yasser Arafat come dei “nuovi Hitler” e romanticizzando il capitalismo anglo-americano. «Così come l'antisemita vuole il suo capitalismo senza ebrei», suggeriva, «l' anti-antisemita vuole il suo capitalismo senza antisemitismo e pensa di poterlo trovare negli Stati Uniti». Un errore questo, che Adorno, per esempio, non ha mai commesso. [48]
«Ci sono solo due parti»
Ma per Andreas Malm, non c'è niente, di tutta questa storia complessa e controversa, che abbia importanza. Proprio come avviene per la storia del Medio Oriente, altrettanto complessa e controversa, che viene appiattita in una fantasia escatologica che parla di una nobile "Palestina", la quale combatte una demoniaca "entità sionista", allo stesso modo, la figura del tedesco, reificata da Malm, cancella il processo di lavoro teorico in corso, e di lotta politica, che sta dietro il rifiuto da parte di Anselm Jappe di lasciare incontrastato il suo elogio di Hamas. Per Malm, la posizione di Jappe non è il risultato di una riflessione ponderata sul rapporto tra capitalismo, antisemitismo e Israele - svolta a partire dall'impronta profonda lasciata dall'antigiudaismo sulle fondamenta del pensiero occidentale - o sul riconoscimento dei pericoli insiti in quei movimenti politici che cercano di incolpare gli ebrei, o Israele, per gli effetti negativi della modernità capitalista. Invece, sarebbe semplicemente un prodotto irrazionale di quelle che sono le radici del "ragazzo tedesco". Vista da questa prospettiva, la consapevolezza del potere persistente, e del fascino pan-politico dell'antisemitismo in quanto spiegazione e consolazione per il tumulto della società capitalista, finisce per non essere altro che poco più di una patologia ereditaria, una debolezza costitutiva, vigliacca e ridicola, qualcosa da "scacciare", facilmente. Per Malm, questa eredità deformata si esprime in una sorta di carattere innato – assurdamente sensibile, parziale, dogmatico e ammonitore – che sviluppa psicologicamente, teoricamente e politicamente, un'identità alla quale Jappe non può sfuggire, non importa quanto lontano egli possa vivere fisicamente dalla Gemeinschaft (Comunità) tedesca. Diventa sufficiente che Malm riveli pubblicamente la "germanicità" di Jappe, ed ecco che tutto ciò che riguarda la posizione intellettuale e politica di quest'ultimo viene spiegato, e quindi liquidato, senza ulteriori considerazioni. Il fatto che questo rifiuto, a livello strutturale, funzioni allo stesso modo in cui funziona il rifiuto dell'"ebreo" e del "sionista", da parte dell'antisemita, è forse solo una coincidenza, ma rimane comunque una sfortunata coincidenza. Il disprezzo di Malm per il "tedesco" è condiviso da quell'altra Germania, la Germania che scompare completamente dalla vista nella sua analisi: una Germania che ha cercato a lungo di riconciliare, piuttosto che rifiutare, il suo passato, e superare così la colpa e le responsabilità storiche in nome di un nazionalismo rinvigorito. Per questa Germania, il suo continuo fallimento nel ricreare il "vero Stato" richiesto dall'immaginario romantico può essere così attribuito a quegli estranei che cercano un guadagno politico e finanziario attraverso l'imposizione di un complesso di colpa; e alla codardia di quei tedeschi che si sottomettono a simili richieste, quelli, come Anselm Jappe, senza l'orgoglio e il coraggio necessari per «lasciarsi finalmente il passato alle spalle» e andare avanti. Per Malm, naturalmente, non è la restaurazione di una vecchia Germania, che si suppone sia rimasta bloccata dalla cinica leva della sofferenza storica per le attuali conquiste politiche e finanziarie, accompagnata da grida manipolative, infondate e senza fine di antisemitismo, ma la creazione di una nuova Palestina. E come i suoi scritti e i suoi interventi appassionati chiariscono, per Malm questa Palestina a venire, basata sulla distruzione della "entità sionista", non sarà semplicemente uno Stato tra i tanti, ma piuttosto il simbolo di un mondo emancipato, il precursore di una natura riconciliata e di un'umanità redenta. Come spesso è avvenuto in passato, vediamo qui come ci sia una particolarità ebraica, ostinata e recalcitrante, che si presenta come l'ostacolo al ripristino dell'armonia naturale. In questa lotta per la salvezza - dove«esistono solo due parti» e la constatazione che soltanto una frazione della popolazione ebraica mondiale si verrà a ritrovare, ancora una volta, nel ruolo di svolgere il ruolo di essere la disgrazia del mondo - è qualcosa che non può essere evitato.
- Matthew Bolton - Pubblicato il 2/4/2025 su História e Desamparo -
NOTE:
[22] Lars Fischer, “Antisemitism and the Critique of Capitalism”. In: Beverley Best, Werner Bonefeld e Chris O”Kane, (orgs.), The SAGE Handbook of Frankfurt School Critical Theory, Los Angeles, Londres: Sage, 2018, pp. 916–931.
[23] Per una critica di questa teoria "strumentalista di classe" dell'antisemitismo in relazione alla crisi di Corbyn, si veda il mio "Conceptual Vandalism, Historical Distortion: The Labour Antisemitism Crisis and the Limits of Class Instrumentalism". Giornale dell'antisemitismo contemporaneo, 3(2), 11–30, 2020.
[24] Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Dialettica dell'Illuminismo, Stanford: Stanford University Press, 2002 (1944).
[25] Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, Londra: Routledge, 1990 (1966), 365.
[26]Theodor W. Adorno, “The Meaning of Working through the Past”. Em: Rolf Tiedemann, (org.), Can One Live after Auschwitz?, Stanford: Stanford University Press, 2003, pp. 3–18.
[27] Cfr. Lars Rensmann, La politica dell'irragionevolezza, New York: SUNY Press, 2017, capitolo 8.
[28] Si veda Hans Kundnani, Utopia o Auschwitz, Londra: Hurst & Co, 2009, p. 79.
[29] Cfr. Stefan Müller-Doohm, Adorno: An Intellectual Biography, Polity Press, p. 456.
[30] Adorno, "Meaning", p. 5.
[31] Paul Berman, Il potere e gli idealisti, New York: Norton & Co, 2007, p. 54.
[32] Kundnani, p. 90.
[33] Kundnani, pp. 88-91.
[34] Ivi, pp. 112-113.
[35] Ivi, p. 134.
[36] Anslem Jappe, The Writing on the Wall, Alresford: Zero Books, 2017. Werner Bonefeld, The Strong State and the Free Economy, Maryland: Rowman and Littlefield, 2017, passim.
[37] Moishe Postone, "Antisemitismo e nazionalsocialismo". In: Anson Rabinbach e Jack Zipes, (a cura di), Tedeschi ed ebrei dall'Olocausto, New York: Holmes e Meier, 1986, 302 e seguenti.
[38] Ivi, p. 311.
[39] Cfr. Nirenberg, Antigiudaismo.
[40] L'antisemitismo all'interno dei movimenti di sinistra non dovrebbe, quindi, essere equiparato a quello dei nazisti, poiché ciò equivale anche a una forma di relativizzazione e minimizzazione dell'Olocausto. Lo stesso vale per l'antisemitismo islamico: è un'ironia sorprendente che le recenti descrizioni dei movimenti islamisti, o dei musulmani in generale, come diretti successori di Hitler da parte di gruppi scissionisti anti-Deutsch rispecchino l'attribuzione relativizzante dell'Olocausto della sinistra nazista antimperialista agli Stati Uniti e a Israele.
[41] Moishe Postone, “History and Helplessness: Mass Mobilization and Contemporary Forms of Anticapitalism”. Public Culture, 18(1), 93–110, (2006).
[42] Postone, "Antisemitismo e nazionalsocialismo", p. 305.
[43] Per molti esempi contemporanei di tali argomenti da parte di membri ordinari del pubblico tedesco, vedi Monika Schwarz-Friesel e Jehuda Reinharz, Inside the Antisemitic Mind, Massachusetts: Brandeis University Press, 2017, pp. 309-316.
[44] Norman Finkelstein, The Holocaust Industry, Londres: Verso, 2000.
[45] Moishe Postone, “Bitburg: May 5, 1985 and after – A Letter to the German Left”. Radical America, 19(5), 10–17 (1985).
[46] Ivi, p. 15.
[47] Schlembach, Verso una critica del "comunismo" antitedesco, p. 205.
[48] Anselm Jappe, "Es gibt sie noch, die guten Deutschen". https://www.exit-online.org/link.php?tabelle=autoren&posnr=330 (consultato il 25 febbraio 2023). E Theodor W. Adorno et al., "La personalità autoritaria", Londra: Verso, 2019 (1950).
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