mercoledì 14 maggio 2025

G20–1 !!

America: un nuovo paradiso fiscale?
- di Joseph Stiglitz [*1] -

Donald Trump sta rapidamente trasformando gli Stati Uniti nel più grande paradiso fiscale della storia. Basta osservare quattro interventi: a) la decisione del Dipartimento del Tesoro di ritirarsi dal regime di trasparenza che condivide le identità reali dei proprietari delle società; b) il ritiro del Governo dai negoziati per l'istituzione di una Convenzione delle Nazioni Unite sulla Cooperazione Fiscale Internazionale; c) il rifiuto di applicare la legge sulle pratiche di corruzione all'estero; d) la massiccia deregolamentazione delle criptovalute. Tutto questo sembra far parte di una strategia più ampia volta a minare 250 anni di storia di difesa di quelle che erano le salvaguardie istituzionali. L'amministrazione Trump ha violato i trattati internazionali, ha ignorato i conflitti di interesse, ha smantellato i controlli e gli equilibri, ha spostato i fondi stanziati dal Congresso. Il governo non discute più le politiche, dal momento che, al contrario, calpesta lo Stato di diritto. Ma  tuttavia Trump ama un tipo particolare di tassa: le tariffe di importazione. Egli sembra credere che saranno gli stranieri a pagare il conto che sta creando, rifornendo in tal modo ciò che dovrebbe andare a costituire quei fondi che serviranno a tagliare le tasse ai miliardari. Sembra anche credere che i dazi elimineranno i deficit commerciali, e che così riporterà negli Stati Uniti la produzione dei beni industriali . A lui, non importa che le tariffe vengano, o meno, effettivamente pagate dagli importatori, facendo in tal modo salire così i prezzi interni, o che vengano riscosse in quello che oggi è il peggior momento possibile, vale a dire, quando gli Stati Uniti si stanno riprendendo da un episodio inflazionistico. Inoltre, è la macroeconomia elementare a mostrare in che modo i deficit commerciali multilaterali riflettano la disparità tra il risparmio interno e gli investimenti interni. I tagli fiscali di Trump, per i miliardari, allargheranno ulteriormente questo divario, dal momento che i deficit riducono i risparmi nazionali. Può persino sembrare abbastanza ironico, ma fatto sta che le politiche di taglio delle tasse ai miliardari e alle società tendono a fare aumentare il deficit commerciale.

   Da Ronald Reagan in poi, i conservatori hanno sempre sostenuto che i tagli alle tasse si ripagano da  sé soli, poiché tali tagli spingono la crescita economica. Ma sotto Reagan questo non ha funzionato; e non ha funzionato nemmeno durante il primo mandato di Trump. La ricerca empirica conferma che i tagli fiscali a favore dei ricchi non hanno alcun impatto misurabile sulla crescita economica, o sulla disoccupazione, ma che essi piuttosto aumentano la disuguaglianza di reddito, e lo fanno in maniera immediata e persistente. La proposta di estensione del Tax Cuts and Jobs Act del 2017 – nel momento in cui, nella storia degli Stati Uniti, ci sono stati i più grandi tagli alle imposte sulle società – servirà ad aggiungere, nei prossimi trent'anni, circa altri 37 trilioni di dollari al debito nazionale degli Stati Uniti, senza però riuscire a fornire quella spinta economica promessa. Trump sta inoltre peggiorando, a livello microeconomico, anche il deficit commerciale. Gli Stati Uniti sono diventati un'economia di servizi, e tra le sue maggiori esportazioni ci sono il turismo, l'istruzione e la sanità, ma Trump ha sistematicamente minato ciascuno di questi settori. Quale turista, studente o paziente vorrebbe venire negli Stati Uniti sapendo che potrebbe essere arbitrariamente detenuto e trattenuto per settimane? L'indebolimento delle principali istituzioni educative americane, la cancellazione arbitraria dei visti per gli studenti, e il definanziamento della ricerca scientifica, hanno gettato una lunga profonda ombra su tutti questi settori critici. L'approccio strategicamente imperfetto di Trump si sta già ritorcendo contro.

   La Cina è uno dei maggiori partner commerciali degli Stati Uniti; come sappiamo, gli Stati Uniti dipendono dalle importazioni critiche dalla Cina. Sapendo questo, la Cina ha già reagito. Il timore di una stagflazione - un'inflazione più elevata combinata con una crescita stagnante - ha già colpito i mercati azionari e obbligazionari. E questo è solo l'inizio. Grazie al Dipartimento per l'efficienza del governo di Elon Musk, quest’anno, a causa dell'indebolimento della fiscalizzazione, le entrate fiscali potrebbero crollare di oltre il 10%. Una riduzione di circa 50.000 lavoratori in quel dipartimento, nei prossimi dieci anni, comporterà probabilmente una perdita di entrate di 2,4 trilioni di dollari, rispetto all'aumento previsto di 637 miliardi di dollari, che era stato calcolato in base alle disposizioni dell’ Inflation Reduction Act, il quale mirava invece ad aumentare la forza lavoro di quell'Agenzia. L'agenda è chiara: non solo aliquote fiscali più basse per i ricchi, ma anche una vigilanza più debole. In un mondo in cui il capitale e gli individui ricchi possono attraversare liberamente i confini, l'unico modo che i governi hanno per garantire che le multinazionali e le persone ultra-ricche vengano tassate in modo equo, è la cooperazione internazionale. In un simile contesto, l'interruzione dell'applicazione della raccolta dei dati sui beni imponibili, la tolleranza dei mercati delle criptovalute, che migliorano l'anonimato, e l'abbandono del processo delle Nazioni Unite, teso a realizzare una nuova convenzione fiscale - rinunciando così a una tassa minima globale - rivelano uno schema deliberato: smantellare i quadri multilaterali volti a combattere l'evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. La "pausa" nell'applicazione del Foreign Corrupt Practices Act indica fino a che punto gli Stati Uniti non si preoccupano più nemmeno della corruzione e delle tangenti.

  Quello a cui stiamo assistendo è un evidente tentativo da parte di Trump, di Musk e dei loro compari miliardari di forgiare un tipo di capitalismo modellato sulle zone senza legge del mondo offshore. Non si tratta solo di una rivolta fiscale, ma di un attacco incondizionato a qualsiasi legge che minacci l'accumulo estremo di ricchezza e potere. Questo è particolarmente evidente per quel che riguarda l'adozione della crittografia. L'esplosione del mercato delle criptovalute, i casinò online e le piattaforme di scommesse scarsamente regolamentate, stanno guidando l'economia illegale globale. Sotto Trump, il Dipartimento del Tesoro ha revocato le sanzioni e i regolamenti riguardanti le piattaforme che nascondono le transazioni effettuate. Trump ha persino firmato un ordine esecutivo in cui istituisce una "riserva strategica di criptovalute", e ha tenuto il primo vertice sulle criptovalute della Casa Bianca. Il Senato degli Stati Uniti ha seguito l'esempio, eliminando una disposizione che avrebbe richiesto alle piattaforme "crypto" di identificare e segnalare gli utenti. Inoltre, Trump ha emesso una controversa moneta commemorativa; ben presto, dovrebbe lanciare un videogioco basato sul "Monopoly"; ha nominato un sostenitore delle criptovalute alla guida della Securities and Exchange Commission: Paul Atkins, membro di un gruppo politico che sostiene le criptovalute e i sistemi finanziari non bancari.

   Le piattaforme di criptovalute sono caratterizzate da una caratteristica fondamentale: la segretezza delle transazioni che vengono effettuate al loro interno. L'attuale sistema economico ha invece alla base valute valide, come il dollaro, lo yen, l'euro e altre. Sono disponibili efficienti piattaforme di trading per l'acquisto di beni e servizi. Ma la domanda di criptovalute nasce proprio dal desiderio di nascondere il denaro e di effettuare operazioni segrete con il denaro. È per questo che le persone coinvolte in attività criminali, tra cui il riciclaggio di denaro e l'evasione fiscale, le utilizzano: le transazioni effettuate non sono più facilmente tracciabili. Il resto del mondo non può stare certo a guardare tutto ciò. Abbiamo visto il modo in cui può funzionare la cooperazione globale, come è stato dimostrato dall'imposta minima globale del 15% sui profitti delle multinazionali, che ora più di 50 paesi stanno introducendo . All'interno del G20, il consenso forgiatosi l'anno scorso sotto la guida del Brasile richiede che gli individui molto ricchi paghino la loro giusta quota. Gli Stati Uniti hanno preso le distanze dagli accordi internazionali, ma paradossalmente è proprio l'assenza della loro diplomazia che può aiutare a rafforzare i negoziati multilaterali, per riuscire a raggiungere un risultato più ambizioso. In passato, dapprima gli Stati Uniti avevano già chiesto che un accordo venisse indebolito (di solito a beneficio di un interesse speciale), ma alla fine si erano comunque rifiutati di firmarlo. È questo, ciò che è accaduto durante i negoziati dell'OCSE sulla tassazione delle società multinazionali. Ora il resto del mondo ha la possibilità di dedicarsi alla progettazione di un'architettura fiscale globale equa ed efficiente. Affrontare l'estrema disuguaglianza, attraverso la cooperazione internazionale e le istituzioni inclusive, è diventata l'unica vera alternativa al crescente autoritarismo. L'autoisolamento degli Stati Uniti crea così un'opportunità per poter ricostruire la globalizzazione, facendolo su una base davvero multilaterale, creando così, per il 21° secolo, un G20-1.

- Joseph Stiglitz - Pubblicato l'8 Maggio 2025 su Economia e Complexidade -

[*1] Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l'economia e professore alla Columbia University, è un ex capo economista della Banca Mondiale, presidente del Consiglio dei consulenti economici del presidente degli Stati Uniti e co-presidente della Commissione di alto livello sulla fissazione del prezzo del carbonio. È membro della Commissione Indipendente per la Riforma della Fiscalità Internazionale delle Società.

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