ANTISEMITISMO E ANTICAPITALISMO REAZIONARIO:
un'Intervista a Moishe Postone
(...) «Innanzitutto, quello che sta avvenendo è una polarizzazione estremamente sfortunata per quel che riguarda la relazione che si va costituendo tra antisionismo e antisemitismo. Si tratta di una polarizzazione che rende assai difficile il discorso politico. Da un lato, vediamo la destra israeliana - in quanto, lasciatemelo dire, esemplificata da Netanyahu - la quale considera antisemita qualsiasi critica rivolta a Israele. Per quanto mi riguarda, ciò è completamente illegittimo. Non tutte le forme di antisionismo sono antisemite. Oggi, sono troppe le persone di sinistra - e penso che siano in aumento - le quali sostengono che nessuna forma di antisionismo sia antisemita: che l'antisionismo è antisionismo, e che l'antisemitismo è un'altra cosa. Nel mondo della cosiddetta sinistra metropolitana, è tuttavia degno di nota che però la sinistra non abbia quasi nulla da dire sulla Siria, non abbia nulla da dire su Saddam, non abbia nulla da dire sul fatto che stiamo assistendo a quella che è una crisi del mondo di lingua araba, e questa crisi non può essere semplicemente attribuita all'imperialismo. C'è bisogno almeno di un tentativo di analisi seria del perché ogni singolo paese arabo post-coloniale è caratterizzato dalla polizia segreta; e si tratta di una polizia segreta che renderebbe orgogliosa la Stasi. Infatti, alcuni di loro sono stati addestrati dalla Stasi e dal KGB. Ma la sinistra non sembra essere in grado di riuscire a dire nulla su questi temi. In un certo senso - e questa, da parte mia, è una cosa estremamente ipotetica - penso che più la sinistra si sente concettualmente impotente nell'affrontare il mondo, e più si concentra su Israele-Palestina, perché questa sembra essere una cosa chiara: l'ultima lotta anticoloniale. Ci sono alcune persone di sinistra che di certo non saranno contente nel sentirmi dire questo, ma retrospettivamente si potrebbe arrivare a dire che l'ascesa della Nuova Sinistra, a livello globale, implicava un tacito riconoscimento del fatto che il soggetto rivoluzionario non era il proletariato. Io penso che ci sia stato un allontanamento della classe operaia dalla politica. La nuova sinistra non solo si è separata dai partiti comunisti e dai partiti socialdemocratici; sebbene essa simpatizzasse con la situazione dei lavoratori, io penso che stessero tacitamente cercando un nuovo soggetto rivoluzionario. Ed è stato così che i popoli colonizzati che lottavano per la libertà sono diventati il nuovo soggetto rivoluzionario. E penso che insieme a questo abbia avuto anche luogo una curiosa fusione - in parte a causa del Vietnam - tra la lotta anticoloniale e l'antiamericanismo. Una delle differenze che c'è stata, tra le massicce manifestazioni contro la guerra americana in Vietnam negli anni '60 e nei primi anni '70, da una parte, e le massicce manifestazioni contro l'invasione dell'Iraq, dall'altra, è stato che per molti – non per tutti, ma per molti – di coloro che hanno combattuto contro gli americani negli anni '60, c'era l'idea di stare sostenendo una rivoluzione progressista. Gli americani - in quanto forza imperiale del mondo, ma anche conservatrice - stavano ostacolando quello che era uno sviluppo storico positivo. Pertanto, le manifestazioni non erano solo contro gli americani. Erano anche a favore della rivoluzione vietnamita; a prescindere se si valuti, retrospettivamente, quel modo di pensare come giustificato o meno, e se si pensi o meno che ci sarebbero dovute essere ulteriori critiche al Partito Comunista Vietnamita. Nelle massicce manifestazioni contro l'invasione americana in Iraq, non esisteva niente di tutto ciò. C'erano pochissime persone che avrebbero potuto, a qualsiasi livello, considerare il regime Ba'ath sotto Saddam Hussein come se fosse il rappresentante di qualcosa di progressista, e nessuno parlava in quel modo. L'antiamericanismo è stato codificato come progressista.
Ironicamente, è stato un residuo della Guerra Fredda, diffusosi tra persone che in realtà non erano "Guerrieri Freddi". Nelle menti di molti di questi anti-imperialisti di sinistra, Israele si è fuso con l'America. È stato attribuito a Israele un enorme potere, che in realtà non ha. John Mearsheimer e Stephen Walt - che sono miei colleghi all'Università di Chicago - sostengono che l'invasione americana dell'Iraq è avvenuta contro gli interessi americani, ma è stata però spinta dagli israeliani. Naturalmente, non hanno mai specificato quali fossero gli interessi israeliani. In realtà, dato che entrambi questi scrittori avevano dei legami con Washington, il loro libro era una relazione rivolta al Dipartimento di Stato in cui si diceva che avrebbe dovuto ascoltare loro, più che i neo-conservatori. In un certo senso, Israele sarebbe così il manipolatore, e Washington a volte solo uno stupido idiota che viene manipolato da questi ebrei incredibilmente intelligenti. È a questo punto che l'immagine del sionismo diventa antisemita. Al sionismo, ci sono state critiche di sinistra fin dall'inizio, spesso da parte di ebrei comunisti. Il sionismo è stato criticato dai comunisti in quanto forma di nazionalismo borghese. E questo è qualcosa di completamente diverso rispetto alle critiche di oggi. Trotsky, all'inizio della sua vita – penso che poi abbia cambiato le sue opinioni in seguito – si riferiva ai bundisti come a dei «sionisti con il mal di mare». Tale critica, non aveva nulla a che fare con la Palestina, o con il popolo palestinese. Ma aveva semplicemente a che fare con il nazionalismo. Il cambiamento potrebbe essere avvenuto negli anni '30, e uno dei segni di esso fu il processo in Cecoslovacchia ,nel 1952, in cui gli stalinisti processarono l'intero Comitato Centrale del Partito Comunista Ceco. Erano 14 persone. E undici erano ebrei. Questi erano tutti vecchi comunisti. Molti di loro avevano combattuto in Spagna. Vennero accusati di essere sionisti. Se leggete cosa per Stalin significava allora "sionisti", vedrete che era esattamente ciò che i fascisti chiamavano "ebrei": un'oscura cospirazione, nemica del "Volk", e che lavorava per minare il governo che invece era per il popolo. Gli stalinisti non potevano usare la parola "ebreo" – erano passati solo sette anni dopo la guerra – e così usarono la parola "sionista". È stata questa, una delle origini di una forma profondamente antisemita di antisionismo. È esploso dopo il 1967. L'URSS era furiosa perché Israele aveva sconfitto i suoi due principali stati clienti, e pertanto iniziò a sostenere il movimento palestinese. Le vignette e le dichiarazioni antisemite provenienti dall'Unione Sovietica erano piuttosto spaventose.[*1] È da lì che provenuta l'idea – generato dall'Unione Sovietica - per cui il sionismo è il nazismo. E purtroppo,non è sorprendente che sia stata colta dai nazionalisti arabi. Anche la sinistra occidentale ha cominciato a prendere la cosa in considerazione. Penso che sia stata una scelta profondamente infelice, poiché l'antisemitismo è quasi una cartina di tornasole per capire se un movimento è progressista, o meno. Ci sono molti movimenti anticapitalisti che non sono progressisti. E penso che l'antisemitismo ne sia un indicatore. Sono convinto che ci sia molto da criticare nelle politiche israeliane, nell'occupazione israeliana, e certamente nell'attuale governo israeliano. Ma non ci può essere una discussione politica che consista nello scegliere tra Netanyahu, da un lato, e un certo tipo di antisionismo antisemita dall'altro. L'antisionismo in quanto antisemitismo, costituisce una visione del mondo. Non è un pregiudizio nei confronti dei singoli ebrei. Può persino apparire come assolutamente civile, sebbene io abbia letto del modo in cui alcuni studenti ebrei vengono messi alla gogna nei termini di «sembri sionista!». In che che modo di potrebbe mai «sembrare sionista»? Vuol solo dire che «sembri ebreo».
Sono rimasto colpito dal rapporto dell'ONU del 2002, sullo sviluppo nel mondo arabo, scritto da studiosi arabi. Affronta il problema della miseria nel mondo arabofono, e del suo massiccio declino avvenuto a partire dalla fine degli anni '70. Un declino che è stato precipitoso, quasi quanto quello dell'Africa sub-sahariana. Allo stesso tempo, sono anche sorte delle altre aree di quello che un tempo veniva chiamato il "Terzo Mondo". Mi sembra che non si tratti solo del declino del mondo di lingua araba, ma anche dell'ascesa di altre parti, a rendere più plausibile l'idea di una forma antisemita di antisionismo. Il potere degli ebrei! Per cui, sono gli ebrei che stanno distruggendo tutto. E questa non è altro che una piccola variante di quella stessa idea secondo cui il problema starebbe tutto nell'imperialismo. Beh, certo l'imperialismo è molto importante, è stato importante, e ha distorto un po' tutto. Ma a conti fatti, gli inglesi sono rimasti in India assai più a lungo di quanto chiunque altro abbia fatto in Siria. O in Iraq. Però, io conosco molte più analisi serie dell'India, fatte da sinistra, di quante ce ne siano del Ba'ath. Sul piano politico, trovo che la cosa sia politicamente infelice, e quando l'analisi diventa antisemita, ritengo che questo sia segno che stiamo andando verso un populismo reazionario. In molti Campus, l'ostilità si è estesa fino a essere contro tutti gli ebrei. Il che ha seminato ancor più confusione tra quei giovani ebrei che sono identificati con Israele. Quella che si sta creando è una Reazione. Molti di loro sono politicamente ingenui e, dal momento che viene messa in discussione l'esistenza stessa di Israele, essi spesso mancano anche di spirito critico riguardo ciò che sta accadendo tra Israele e Palestina. Nel momento in cui Israele subisce un attacco del genere – dato che non sembra un attacco politico, bensì un attacco esistenziale – c'è ben poco da discutere. Ci sono campagne come quella del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele], la quale è fondamentalmente disonesta. Norman Finkelstein se ne era accorto un po' di tempo fa. Alcune persone sono confuse, e il BDS cerca di promuovere la confusione. La gente ritiene che si tratti di opporsi all'occupazione della Cisgiordania e e a quella di Gaza, ma non è così. Perché se così fosse, allora non si tratterebbe di un boicottaggio da parte di tutti gli accademici israeliani, la maggior parte dei quali sono fermamente contrari agli insediamenti e a Netanyahu. Ritengo significativo il fatto che al culmine della guerra del Vietnam, o dell'invasione dell'Iraq, o di altre avventure americane, non ci sia mai stato un appello al boicottaggio da parte di tutti gli accademici americani, mai. In tutto questo, l'Occidente assume come riferimento il modello del Sudafrica; mentre molti militanti palestinesi pensano che il modello sia l'Algeria. Ma in tutto questo non c'è alcuna analogia. Non sto parlando di un'analogia morale, ma voglio dire che l'analogia viene meno a causa di fatti demografici e politici. In Sudafrica c'era solo una piccola minoranza di sudafricani bianchi. Qui ci sono tanti ebrei israeliani quanti sono i palestinesi. Pertanto le tattiche algerine o sudafricane non funzioneranno. Ma quello a cui stiamo assistendo è un matrimonio estremamente infelice, per così dire, tra la destra israeliana, che scivola sempre più a destra, e quella che io considero essere la destra palestinese. Dal mio punto di vista, l'avvenimento più importante ha coinciso con l'omicidio del primo ministro israeliano Rabin, assassinato nel 1995, da un esponente della destra israeliana. La campagna di destra contro Rabin è stata spaventosa e feroce, e allora a capo di essa c'era Netanyahu. Dopo l'assassinio di Rabin, si presumeva che i laburisti sarebbero andati al potere grazie a un voto di simpatia. Invece un gruppo palestinese ha dato inizio a una campagna di attentati suicidi che, nel 1996, ha fatto eleggere il primo governo Netanyahu. Queste due cose hanno lavorato fianco a fianco. Ciascuna parte pensa che alla fine, a lungo termine, prevarrà. Ma nel frattempo, politicamente, sono uniti. Si tratta di un fronte unito di destra.»
- Moishe Postone (1942-2018) - da un Intervista a Worker's Liberty. Reason in Revolt, del 1° Giugno 2016 -
NOTA:
[1] Si veda in proposito: Léon Poliakov, "De Moscou à Beyrouth. Essai sur la désinformation", Paris, Calmann-Lévy, 1983
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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