lunedì 3 marzo 2025

Con ansia, aspettando la fine!!

Aspettando la fine: sulle Cooperative !!
- di Robert  Kurz -

[...] «Considerata nella sua totalità, la proprietà statale non è altro che una forma paradossale di proprietà privata. Quando questa proprietà statale non viene amministrata dallo Stato borghese, ma da uno "Stato operaio" guidato dai soggetti metafisici della "classe operaia" e del "partito dei lavoratori" (politico) non cambia nulla. Le relazioni strutturali che derivano dalla proprietà statale rimangono le stesse, indipendentemente dai loro depositari sociali. In tal senso, l'analisi estremamente controversa del socialismo di Stato fatta da Charles Bettelheim negli anni '70 era inadeguata, ed era ancora prigioniera dell'orizzonte concettuale del marxismo del movimento operaio. Bettelheim concepiva gli elementi della sfera privata in modo sociologicamente riduttivo, come se si trattasse di una mera strategia soggettiva messa in atto da un certo gruppo sociologico – i manager aziendali – nell'uso del loro "potere". Non percepiva che la forma della proprietà privata, indipendentemente dalle dichiarazioni sociologiche di buona volontà, è inerente a qualsiasi modo di produzione basato sul valore. Quale particolare soggetto storico sia costituito dai rispettivi sistemi di produzione di merci non ha alcuna importanza: questo sistema produce sempre dei tipi analoghi di élite funzionali corrispondenti alle forme assunte dalla "valorizzazione del valore". In questo senso, ogni Stato è, per definizione, uno Stato borghese, poiché ogni nazione è, nella sua essenza, una nazione borghese, tutto il denaro, come forma universale di mediazione, è denaro borghese, e la produzione di merci, come forma universale di riproduzione sociale, è una produzione borghese di merci. Il predicato è, a rigor di termini, superfluo; Ha rilevanza solo per una coscienza che può pensare solo all'interno delle categorie borghesi e tenta di risolvere le contraddizioni del modo di produzione capitalistico sul terreno di queste categorie borghesi reali. Il problema risiede in ultima analisi nelle relazioni strutturali, nel modo in cui queste ultime sono dettate dalla forma sociale feticistica del valore, e non negli interessi sociologici secondari (legati a priori a tale struttura) di gruppi, categorie o classi sociologiche, la cui stessa esistenza è un prodotto storico della forma valore.La proprietà cooperativa non fa meglio della proprietà statale in questo senso, quando è un'impresa produttrice di merci che assume la forma di una cooperativa. Il proprietario di questa proprietà non è, infatti, un'astratta universalità giuridico-politica della società, ma un particolare soggetto collettivo. Poiché questa collettività rappresenta un'unità che può essere afferrata dall'individuo, l'idea di cooperativa è sempre stata legata alla forma embrionale di una riproduzione liberata dal capitalismo.

Lo stesso movimento alternativo all'inizio degli anni '80 ha diffuso l'idea di "produzione significativa" in "strutture egualitarie senza padroni" come elemento di un modo di vita alternativo ed emancipatore. Fin dall'inizio, tuttavia, il suo carattere alternativo è stato limitato allo spazio sociale interno di una nascente produzione di merci. La sua mediazione sociale, al contrario, finiva "ovviamente" sul mercato, dove i prodotti della cooperativa o dell'impresa alternativa dovevano essere venduti. Naturalmente, un'operazione di questo tipo non porta al superamento della forma merce. Le imprese alternative fanno ancora parte dell'economia di mercato universale, che può esistere solo come sfera di realizzazione del capitale. Di conseguenza, essi costituiscono ancora una parte della riproduzione capitalistica e si sottomettono alle leggi coercitive della concorrenza. In quanto "percettori di denaro", i membri di tali imprese continueranno a sottomettersi, indipendentemente dalle loro intenzioni, alla forma economica dell'interesse privato. L'universalità astratta del denaro deve essere imposta, in ultima istanza, come determinazione del loro modo di vivere e di produrre. Per questo motivo, le imprese cooperative o alternative affondano o nuotano a forza di "autosfruttamento", per essere infine trasformate, con il pretesto della "professionalizzazione", in officine piccolo-borghesi sotto la più rigida disciplina, con padroni, pressioni per aumentare la produzione, ecc., per poter beneficiare di prestiti bancari. È quindi chiaro che ogni mediazione sociale per mezzo della forma del valore economico conduce necessariamente alla corrispondente forma giuridica della proprietà privata, in qualsiasi forma essa possa assumere. Ciò è particolarmente vero quando lo zelo emancipatore riformista osa tentare di includere, in apparenza, la propria forma di mediazione, ma, invece del superamento del valore, propone solo di inventare una sorta di sostituto del valore. Ciò diventa assolutamente evidente nelle "fantasie monetarie" – come le chiamava Marx – di, per esempio, di un Proudhon o di una setta economica come quella rappresentata dai seguaci di Silvio Gesell. Poiché la loro critica della forma capitalistica di mediazione si limita al capitale fruttifero, tutto ciò che tentano di fare è introdurre una sorta di "denaro senza interessi" come compensazione diretta per le unità di produzione, senza percepire il problema della forma astratta del valore in quanto tale. Una critica così riduttiva della forma capitalistica di mediazione non riesce nemmeno a raggiungere il livello della critica della proprietà privata fatta dal vecchio marxismo: poiché la soluzione sembra loro, esclusivamente, il "denaro onesto", per Proudhon, Gesell e i suoi seguaci la proprietà privata dei mezzi di produzione è particolarmente sacra. Ciò che hanno in mente non è più, in nessun modo, l'emancipazione sociale, ma una società di piccolo borghese e la riduzione della socializzazione attraverso la forma merce a un capitalismo di micro-imprese, con tutta l'ottusità repressiva del feticismo del lavoro e della produzione.» [...]

- da: "Anti-economia e anti-politica: sulla riformulazione dell'emancipazione sociale dopo la fine del "marxismo" - di Robert Kurz  -
fonte: https://libcom.org/article/anti-economics-and-anti-politics-reformulation-social-emancipation-after-end-marxism-robert

Continuare a ... parlare !!

 Amicizia, comunismo e conversazione infinita: una prospettiva senza compromessi in tempi di crisi
- di Comunismo Gotico -

1. L'amicizia come spazio per una conversazione infinita
Maurice Blanchot - ne "L'Amicizia"e ne "La conversazione infinita"-  parla dell'amicizia come di uno spazio di riconoscimento reciproco, il quale non si riduce all'appartenenza, o al possesso dell'altro, bensì all'apertura di una relazione senza chiusure, in un movimento senza fine. In tal senso, la conversazione tra amici è un flusso che non cerca delle conclusioni definitive, ma serve a mantenere viva la possibilità del pensiero, dell'immaginazione e della disputa fraterna. In questi tempi di radicalizzazione della destra e di confusione della sinistra, quando i discorsi sembrano essere come chiusi in quelle che sono delle identità rigide, o rinchiudersi in un cinismo paralizzante, ecco che l'amicizia appare come una forma di resistenza. Non si tratta di resistenza morale, quanto piuttosto della di creazione di spazi all'interno dei quali il politico non riguardi solo un confronto con il nemico, bensì anche un'esplorazione del possibile. È nell'infinita conversazione, che rimane aperta la questione di che cosa significhi essere comunista oggi, senza cadere nel feticismo delle parole, o nella vuota strumentalizzazione del passato.

2. Il comunismo, più che un'idea, è una pratica di incontro
Il comunismo, una volta spogliato del suo carattere programmatico, o della sua conversione in parola d'ordine, diventa un modo per esperire l'immanenza del comune. Georges Bataille intendeva la comunità, non come un'entità data, ma come un eccesso, come una zona in cui l'individuo deborda e si ritrova nell'altro senza che ci sia bisogno di una fusione o di una subordinazione. In un'epoca in cui la sinistra appare come frammentata tra la difesa dei diritti all'interno del capitalismo, da una parte, e la nostalgia paralizzante per le forme di lotta del passato, dall'altra, ecco che allora la conversazione comunista non può più limitarsi semplicemente a gestire l'esistente, o a idealizzare ciò che è perduto. L'amicizia, nel suo carattere inattuale, ci ricorda come il comune non sia un'essenza quanto piuttosto una possibilità in costruzione. Non si tratta più di organizzare le masse a partire da un'avanguardia illuminata, bensì di sostenere la conversazione comunista laddove si resiste alla mercificazione totale della vita.

3. Contro la confusione di sinistra e la radicalizzazione di destra
La confusione della sinistra è dovuta, in larga misura, alla sua paura di essere intransigente. Nella sua smania di essere inclusiva e plurale, ha spesso finito per dimostrarsi incapace di segnare dei limiti netti nei confronti del capitale, riguardanti le forme riformiste che lo sostengono, e le logiche del potere che lo perpetuano. La destra, d'altra parte, non ha esitato a radicalizzarsi, a costruire narrazioni unificanti, e a presentarsi come se fosse il polo della certezza in un mondo incerto. Avere una prospettiva comunista intransigente, non significa chiudersi alla differenza, ma affermare che ci sono delle verità che non possono essere negoziate. In tempi in cui tutto diventa opinione, quando il mercato delle idee viene governato per mezzo della spettacolarizzazione e della viralità, ecco che mantenere aperta la conversazione infinita non è relativista, ma significa sostenere la possibilità di una verità comune, la quale non sia chiusa nei dogmi, ma che nemmeno si dissolva nell'indifferenza.

4. Il comunismo, e la conversazione come orizzonti di esperienza
In " Egress: on Mourning, Melancholy and Mark Fisher", Matt Colquhoun ritorna sull'importanza avuta da Mark Fisher, nella costruzione di quegli spazi in cui la disperazione non diventa rassegnazione, ma il modo di cercare delle uscite. Fisher aveva capito che il capitalismo non espropriava solo i beni materiali, ma anche il tempo, l'immaginazione e la possibilità di pensare oltre ciò che viene concesso. La "conversazione infinita" diventa così un modo per recuperare quel tempo espropriato, per aprire degli spazi dove il comune si costruisce non solo in quanto programma, ma anche come pratica quotidiana. In questo senso, l'amicizia è comunista, dal momento che resiste alla logica dello scambio e dell'equivalenza; è una relazione che non si basa sul calcolo, ma sulla gratuità della condivisione del pensiero, del tempo e della vita. Di fronte a quella che è l'atomizzazione neoliberista, nella quale ogni legame è strumentalizzato, e ogni conversazione viene misurata in termini di utilità, ecco che l'amicizia comunista appare come un gesto di insubordinazione.

5. Per l'intransigenza del Comune
Se la sinistra vuole uscire dalla sua paralisi, bisogna che reimpari a essere intransigente riguardo tutto ciò che conta davvero: l'abolizione del capitale, la negazione dello sfruttamento e la costruzione dei beni comuni. Ma una tale intransigenza, non può essere solo una semplice negazione, quanto piuttosto l'apertura di un orizzonte nel quale la conversazione comunista viene mantenuta viva, senza paura della differenza, e senza però perdere la chiarezza del suo scopo. Nei momenti bui, quando la reazione viene vista come se fosse l'unica via d'uscita, l'amicizia comunista e la conversazione infinita non sono né un lusso né un rifugio estetico, bensì diventano la condizione stessa della possibilità di un'altra vita.

6. L'amicizia come insurrezione silenziosa
Nella misura in cui l'amicizia comunista rappresenta una Resistenza contro la logica del capitale, allora essa è anche un'insurrezione silenziosa contro i tempi morti del capitalismo. In un mondo dove tutto dev'essere produttivo, e nel quale ogni interazione è mediata dalla performance e dall'accumulazione, smettere di parlare senza alcun altro scopo che non sia quello di sostenere la possibilità del Comune diventa un atto di insubordinazione. Maurice Blanchot intendeva l'amicizia come una relazione che non si esaurisce nel riconoscimento reciproco, ma che si sostiene nell'interruzione: l'amico non è colui con cui si è d'accordo in tutto, ma è colui che consente un'apertura infinita, una differenza che non sia un ostacolo ma un impulso. In tal senso, la conversazione infinita finisce per essere la struttura stessa dell'amicizia comunista: non un'identità chiusa, bensì una comunità in continua ridefinizione, uno spazio in cui il possibile viene esplorato senza che ci si arrenda alla logica del presente. Proprio nel momento in cui la sinistra teme il disaccordo interno, e la destra lo strumentalizza per presentarsi come se fosse un blocco omogeneo, ecco che il recupero dell'amicizia in quanto insurrezione silenziosa diventa essenziale. Non si tratta di uniformare la militanza, o di evitare il conflitto, ma di sostenerla sul piano della possibilità, e non su quello della frammentazione definitiva. La conversazione infinita non è uno spazio all'interno del quale tutte le idee appaiono ugualmente valide, ma è dove la verità comunista può essere affinata a contatto con la differenza
.

7. Il comunismo, la malinconia e la necessità di una nuova intransigenza
Matt Colquhoun, in "Egress", analizza il dolore e la malinconia, visti come affetti che possono essere sia produttivi sia paralizzanti. Mark Fisher intendeva la nostalgia come una trappola, allorché essa diventava un rifugio estetico senza alcun potere trasformativo. In questo senso, la sinistra è stata vittima della sua stessa malinconia: la nostalgia di un passato rivoluzionario senza la capacità di aggiornare il suo orizzonte comunista. Ma la malinconia non dev'essere un freno, bensì un punto di partenza. Walter Benjamin parlava del materialista storico come di chi “sfiora la storia andando contromano”, cercando nel passato non tanto un ritorno all'uguale, ma delle scintille che possano illuminare un futuro possibile. L'intransigenza comunista di cui parliamo non è dogmatica o nostalgica, ma consiste nel rifiuto radicale di accettare che ciò che c'è sia l'unica cosa possibile. La destra ha compreso meglio della sinistra il potere dell'immaginazione politica, anche se lo ha usato per costruire delle mitologie reazionarie, dei sogni di supremazia razziale e delle paranoie identitarie. Di fronte a tutto ciò, il comunismo deve recuperare il proprio immaginario, ma non a partire dalla nostalgia, ma dalla possibilità della rottura. La conversazione infinita rappresenta lo spazio nel quale si mantiene viva l'immaginazione, laddove il lutto per ciò che è andato perduto non diventa rassegnazione, ma apre piuttosto alla ricerca di quelle che possono essere delle vie d'uscita.

8. Comunismo senza compromessi: oltre il programma, oltre l'identità
Essere comunisti oggi non significa aderire a un programma chiuso, o definirsi a partire da un'identità fissa. L'intransigenza di cui stiamo parlando non è l'intransigenza della rigidità ideologica, ma quella del rifiuto assoluto di accettare che il mondo debba continuare ad andare avanti così come va. È l'intransigenza del pensiero che non si lascia addomesticare dal realismo capitalista, l'intransigenza dell'amicizia che non si trasforma in una rete di contatti, l'intransigenza della conversazione che non si piega all'utilità immediata. In tempi di crisi, quando la confusione diventa la norma, la tentazione della certezza assoluta si fa grande. La destra offre delle soluzioni semplicistiche a quelli che sono problemi complessi, e la sinistra, nella sua paura di apparire dogmatica, diventa sempre più incapace di affermare chiaramente i suoi principi. Ma in tempi di reazione, non c'è niente di più pericoloso di una sinistra che ha paura di affermare ciò che essa veramente vuole. Comunismo intransigente non significa chiudere alla possibilità di un dibattito, bensì vuol dire aprirlo nella giusta direzione. Significa rifiutare quella moderazione che trasforma la politica in un'amministrazione dell'esistente e affermare che la lotta comunista non è un'opinione tra le tante, ma rappresenta, al contrario, l'unica via d'uscita realistica dalla catastrofe capitalistica. La conversazione infinita non è un gioco di parole senza conseguenze, quanto piuttosto lo spazio in cui il comunismo può ridefinirsi senza tradirsi.

9. Amicizia, conversazione e rottura
L'amicizia comunista non è un rifugio sentimentale, né una consolazione per la sconfitta. Ma è una prassi politica in sé, uno spazio nel quale la conversazione infinita serve a mantenere viva la possibilità di un altro mondo. In tempi di radicalizzazione della destra, e di confusione della sinistra, mantenere questi spazi è diventato più urgente che mai. Essere comunisti oggi, significa non solo lottare contro lo sfruttamento economico, ma anche contro la cattura della nostra immaginazione, contro la privatizzazione della conversazione, contro la logica che trasforma ogni legame, ogni relazione, in un mezzo per qualcos'altro. L'amicizia comunista, nella sua gratuità e intransigenza, è già di per sé un embrione di ciò che verrà. Non si tratta solo di resistere. Si tratta di continuare a parlare, di continuare a immaginare, di continuare a costruire il Comune. Poiché è nella conversazione infinita, nell'amicizia che non si piega alle logiche del mercato, nel rifiuto radicale di accettare questo mondo come se fosse l'unico possibile, che il comunismo rimane reale.

- Comunismo Gotico - Pubblicato il 28/2/2025 -

domenica 2 marzo 2025

Lavorare stanca…

Produci o muori! La debolezza maschile sotto il capitale: virilismo, lavoro e lotta di classe
- di Comunismo Gotico -

Il capitalismo, ha forgiato una specifica rappresentazione della mascolinità, vale a dire, quella del soggetto forte, produttivo e dominante. Questa figura è stata costruita sulla legge del valore, sulla necessità di trasformare l'uomo in un ulteriore ingranaggio nella macchina di produzione e riproduzione del capitale. Il patriarcato, lungi dall'essere una struttura separata, si intreccia con il modo di produzione capitalistico, generando pertanto una mascolinità funzionale allo sfruttamento e all'accumulazione. Il virilismo inter-macho è il modo in cui, nella competizione e nella guerra simbolica, si riproduce la mascolinità tra gli uomini stessi. Ci si aspetta che il maschio incarni forza, resistenza e produttività incrollabile. La precarietà del lavoro, la disoccupazione e la proletarizzazione non solo incidono sulle condizioni materiali di vita, ma generano anche delle crisi identitarie in coloro che sono stati socializzati a partire dall'idea che il loro valore dipenda dalla loro propria capacità di generare ricchezza e dominio. Ma sotto la legge del valore, non tutti gli uomini sono egemonici. Ci sono mascolinità che non si adattano allo stampo della virilità dominante, le quali, nei rapporti di produzione sono state escluse o degradate. Uomini depressi, malati, neuro-divergenti, disoccupati cronici, precari, razzializzati, dissidenti di genere, disabili, migranti impoveriti, carcerati, espulsi dall'organizzazione della produzione e della riproduzione. Tutti coloro che, non potendo o non volendo soddisfare al mandato della mascolinità funzionale al capitale, sono stati emarginati, segregati e condannati all' isolamento strutturale. Il capitale ci vuole forti per sfruttare i nostri corpi e le nostre menti, ma quando ci logoriamo ci scarta. Esige una produzione costante, ma quando le nostre patologie mentali, i nostri esaurimenti nervosi o la nostra incapacità di sostenere il ritmo produttivo ci rendono soggetti non redditizi, ci espelle. Non si tratta solo di un problema individuale, ma di una struttura di dominio che si regge sullo sfruttamento del lavoro e sulla necessità di produrre soggetti docili ai suoi ritmi. È per questo che, quanto meno, nella guerra di classe dobbiamo combattere contro il mondo delle merci. Nonostante la depressione, nonostante le deformazioni che ci vengono inflitte, nonostante la precarietà e il dolore. Perché se è stato il lavoro a costituire le fondamenta della nostra oppressione, sarà la sua distruzione a costituire la base della nostra liberazione. Rompere con la produzione, rompere con la produttività, smettere di misurarci con gli standard della performance. Distruggere il patriarcato, significa anche distruggere la mascolinità capitalista e il suo mandato di dominio, la sua indiscutibile volontà e la sua forza disumana. Si tratta di abolire non solo il capitale, ma anche tutte quelle forme di soggettivazione che esso ha imposto, in modo che non si possa costruire alcuna identità in base all'utilità all'interno del sistema di sfruttamento. Che la guerra di classe non sia solo una battaglia per la redistribuzione della ricchezza, ma che distrugga anche la mascolinità virilista, il lavoro come missione, la legge del valore come elemento organizzatore delle nostre vite e dei nostri corpi. Questo perché, dopo il capitale, l'unica mascolinità possibile sarà quella che non ha bisogno di esistere.

- Comunismo Gotico - Pubblicato il 27/2/2025 -

sabato 1 marzo 2025

Le Analisi, quelle corrette: non ci serviranno a molto, se non a... capire!!

Conferenza sulla sicurezza di Monaco: il peggio deve ancora venire
- da "BATTAGLIA COMUNISTA" -

Stiamo ancora esaminando solo i preliminari, ma le linee guida sono già state elaborate. Prima che iniziassero i negoziati di "pace" tra Russia e Ucraina, le parole di JD Vance, che riecheggiano quelle del suo volubile presidente, sono chiare e inequivocabili. Prima, però, bisogna spiegare il quadro di tutto ciò che sta per accadere, sia dal punto di vista dei nuovi equilibri imperialisti, sia per il clima di guerra che si sta aggravando mentre si parla di pace. Questo quadro è la crisi strutturale che il capitalismo mondiale sta attraversando; Una crisi che sta trascinando le economie delle maggiori potenze imperialiste verso un'economia di guerra sempre più oppressiva. Si tratta di un riarmo, anche a costo di tagliare quel poco che resta di sociale e di avvicinarci a una catastrofe umanitaria senza precedenti, con il rischio devastante di un conflitto più ampio. A Monaco di Baviera, con l'Ue, più Zelensky come presidente dell'interessato, presente solo come "ascoltatori", il vicepresidente americano si è subito lanciato in minacce e ultimatum, affermando che gli Usa non spenderanno un solo dollaro in più per la difesa dell'Ucraina. Se vuole continuare la guerra contro la Russia, che è in Europa e non in America, allora l'Europa deve pensare a come farlo e aumentare le tasse per il necessario riarmo (dal 2% al 5% del PIL). È finita l'epoca in cui l'ombrello americano della difesa europea (NATO) era sempre aperto. Ora tocca ai 27 Paesi del vecchio continente mettere mano alle proprie tasche. Eppure è abbondantemente chiaro che la guerra nell'Europa orientale non è tra Russia e Ucraina, ma tra Russia e Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno prima fatto pagare al popolo ucraino le conseguenze della guerra, poi alla Russia stessa: costringendolo a una lunga guerra di logoramento armando l'Ucraina. Successivamente, i paesi europei hanno dovuto pagare in termini di costi energetici e di altro tipo, comprese le restrizioni al commercio e alle transazioni finanziarie, mentre gli Stati Uniti perseguivano il loro duplice obiettivo di sostituire le forniture russe di gas e petrolio e continuare a rendere l'Europa dipendente dal dollaro diminuendo il ruolo dell'euro. Tra l'altro, un megawatt di gas in America costa 7 dollari, in Europa 40 dollari, portando enormi profitti alle aziende americane, nonostante i costi di trasporto. Come a dire: "prendere o lasciare", altrimenti la minaccia dei dazi non sarà solo un deterrente ma una pesante punizione per chi non si adeguerà. Trump trova conveniente avere un'Europa economicamente debole e politicamente sottomessa. Non sarà invitato al tavolo dei negoziati poiché la sicurezza dell'Europa non è più una priorità degli Stati Uniti. Se necessario, i dazi minacciati colpiranno anche i vecchi alleati. Una volta scaricato Zelensky, i negoziati di pace, ruoteranno attorno al principio di garantire a Putin il raggiungimento di tutti quegli obiettivi che non è riuscito a raggiungere sul terreno. La penisola di Crimea non è più in discussione, è territorio russo e rimarrà tale. La regione del Donbass con le sue terre rare, in quanto territorio di lingua russa, farà parte della grande Russia. Questa proposta sembra in conflitto con le ambizioni americane di avere un diritto di prelazione su questi giacimenti, ma Trump prima "spara" e poi guarda per vedere che effetto ha. Infine, l'ingresso dell'Ucraina nella NATO, che è stata una delle cause dello scoppio della guerra, non è più all'ordine del giorno.

All'Ucraina non resta che la "sicurezza" dei suoi confini, un processo di ricostruzione fisica ed economica, a cui gli Stati Uniti hanno aderito, ma a condizione che una parte significativa degli investimenti (cioè dei costi) sia pagata dagli europei mentre i profitti speculativi (derivanti dalle costruzioni) siano americani. Tutto questo è come aggiungere la beffa al danno, perché in pratica lascerà Kiev con un debito complessivo insostenibile. Se queste linee guida saranno seguite, la politica di Trump scagionerà la Russia dal suo ruolo di "aggressore malvagio", dopo essersi ripresa dalle sanzioni commerciali e finanziarie (anche queste saranno sul tavolo dei negoziati di "pace") e essersi indebolita militarmente al punto giusto, tanto da non rappresentare più una minaccia imminente alla supremazia imperialista americana. Una Russia debole significherebbe un indebolimento dell'asse Mosca-Teheran-Cina che ha dato a Biden e a tutte le precedenti amministrazioni, a partire da quella di Obama, molte notti insonni. Nell'area chiave del Medio Oriente, abbiamo lo stesso schema: Israele agisce come un poliziotto armato in Palestina e nei paesi vicini (Libano, Iraq e Siria), lasciando gli Stati Uniti liberi di concentrare tutti i loro sforzi sulla Cina e le sue ambizioni imperialiste. In cambio, Netanyahu ha ricevuto in dono l'abbandono della "soluzione dei due Stati", con la promessa di deportare circa 2 milioni di palestinesi in luoghi ancora da determinare. Una prospettiva difficile, ma a Trump non interessa, sapendo benissimo che Israele sarà in grado di trovare la propria soluzione con la forza. Tutte queste concessioni a Mosca non sono "sciocchezze" o contraddizioni con la precedente linea politica degli Stati Uniti. Nella strategia di Trump c'è probabilmente spazio per il tentativo di staccare e/o indebolire il rapporto della Russia con la Cina. È improbabile che gli Stati Uniti riescano a recidere completamente il legame che lega l'imperialismo russo e cinese, ma le concessioni concesse a Mosca potrebbero fungere da narcotico leggero, anche se solo a breve termine, per consentire a Trump di concentrarsi sul suo nemico più pericoloso: Pechino. In una recente dichiarazione, Trump ha chiaramente espresso il suo disinteresse per il costoso sostegno a Zelensky, cioè abbandonarlo al suo destino. Per quanto riguarda l'Europa, gli Stati Uniti hanno bisogno di concentrare le risorse economiche e finanziarie sullo sviluppo militare nell'area di maggiore interesse strategico e cioè l'Indo-Pacifico. Ma perché ciò avvenga, c'è bisogno di un'Europa debole e vassalla, oltre che di un alleato fidato in Medio Oriente, di una Russia avversaria, ma indebolita, e in debito con gli Stati Uniti per i vantaggi ceduti. Solo allora gli Stati Uniti potranno essere liberi di concentrarsi sulla vera questione di Taiwan e su tutto ciò che è ad essa collegato. Queste connessioni non coinvolgono solo Taiwan, che produce il 60% dei microchip mondiali. Sono anche legati al fatto che Pechino prevede di diventare la prima potenza mondiale in termini di commercio, produzione high-tech e intelligenza artificiale per scopi civili e, soprattutto, militari entro il 2035, il che è già abbastanza grave da allarmare l'imperialismo americano. A ciò si aggiunge il tentativo della Cina di creare la Via della Seta come spina dorsale strutturale della sua tanto decantata superiorità economico-produttiva con una scadenza altrettanto precisa del 2035 (cioè tra soli dieci anni). Soprattutto, a quadrare il cerchio dei progetti imperialisti contrapposti delle due maggiori potenze mondiali, è il dominio del mercato valutario. In altre parole, in cima all'ambiziosa lista dei progetti imperialisti della Cina c'è la lotta contro la supremazia quasi assoluta del dollaro. Questo dominio permette agli Stati Uniti, nonostante la loro crisi produttiva, nonostante il loro enorme deficit della bilancia dei pagamenti, e con un debito pubblico che supera i 35 trilioni di dollari, di dirottare un'immensa quantità di capitali nelle casse federali di tutto il mondo. Il sistema è semplice.

Dopo il 1971, quando il governo Nixon dichiarò l'inconvertibilità del dollaro in oro, il biglietto verde continuò ad essere il coefficiente di scambio universale tra le merci su tutti i mercati mondiali, creando ufficialmente un "dollaro standard", anche se non più basato su una quantità fissa di oro. Qualsiasi paese che volesse commerciare doveva farlo in dollari. Se volevano comprare tecnologia, gas o petrolio, dovevano prima comprare dollari che la Banca Federale non aveva difficoltà a stampare come se fossero biglietti da visita. Inoltre, questa superiorità ha beneficiato anche i titoli di Stato americani che hanno agito come ulteriore elemento di drenaggio dei capitali internazionali. Il primato del dollaro ha largamente permesso (e permette) alle varie amministrazioni americane di sopravvivere, nonostante debiti e deficit. Per fare un esempio, oggi 23 Stati dell'Unione non sarebbero nemmeno in grado di pagare i dipendenti pubblici, se non ci fosse un intervento finanziario da parte dello Stato federale. La musica, infatti, non è cambiata e il timore americano è che possa cambiare progressivamente con l'ingerenza cinese sostenuta dai paesi BRICS, a cui si è recentemente aggiunto l'Iran. Così Trump, o meglio gli Stati Uniti, sono ossessivamente preoccupati per la Cina. Qui, le dichiarazioni del nuovo presidente sono ridotte al minimo, mentre la mobilitazione militare è al massimo. La Cina non è il Messico o il Canada, tanto meno la Groenlandia, che Trump ha proposto di acquistare con un pugno di dollari. La Cina non può essere ricattata minacciando sanzioni. Per contrastare gli obiettivi di Pechino bisogna armarsi fino ai denti. Nel frattempo, Trump ha fatto pressione sul governo di Panama minacciando di occupare il Canale, costringendolo a ritirarsi dalla Belt and Road Initiative e promettendo di rivedere i contratti con le aziende cinesi che gestiscono i porti del canale. E lo scontro tra i due imperialismi continua nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan, dove le flotte militari dei due imperialismi si confrontano quotidianamente con "esercitazioni" per uno scontro che potrebbe essere imminente o rinviato, a seconda delle propensioni bellicose delle due potenze. Questa è la loro posizione. La prima missione degli Stati Uniti sotto il presidente Trump si è svolta tra il 10 e il 12 febbraio, quando le navi della Marina degli Stati Uniti, il cacciatorpediniere Ralph Johnson e la nave da ricognizione Bowditch, hanno navigato nell'area contesa dello Stretto di Taiwan. Pochi giorni dopo la Cina ha risposto con pattugliamenti nella stessa area, dimostrando di essere pronta e preparata per ogni evenienza, in qualsiasi luogo, nel conteso Mar Cinese Meridionale. Il comando militare di Pechino ha anche annunciato ufficialmente che le sue forze navali e aeree hanno effettuato operazioni di pattugliamento preventivo. Questo pattugliamento era legato a una dimostrazione di forza occidentale in cui, per la prima volta, una portaerei francese navigò nell'Indo-Pacifico come parte di una "esercitazione" con gli Stati Uniti e il Giappone. Il pattugliamento è stata la risposta immediata della Cina. Inoltre, secondo un rapporto dell'Amministrazione per la sicurezza marittima di Hainan, alcune esercitazioni sono state svolte anche dalla marina di Pechino con navi da guerra pakistane nel Mar Cinese Meridionale. Così, per la nuova amministrazione americana, spetta all'Ucraina accettare i diktat americani e alla Russia trovare una soluzione di pace favorevole, anche se questo la mette in debito con la Casa Bianca per i "regali" ricevuti. L'Europa deve cavarsela da sola, perché gli Stati Uniti devono fare il loro gioco con la Cina e questo comporta tagliare, e/o terminare completamente, le spese a sostegno di chiunque altro per concentrare tutte le loro risorse economiche e finanziarie sull'obiettivo militare primario: la "minaccia da Est".

- Battaglia Comunista - 17 febbraio 2025 -