mercoledì 15 luglio 2020

Urbanistica

Strade cattive, strade meno cattive, e qualcuna buona, magari. Strade ovunque, strade che ci attraversano, strade da risalire o da discendere, a seconda della piega che ha preso la nostra vita nel momento in cui torniamo a volgere  indietro lo sguardo e a lanciare un'altra occhiata verso una di quelle strade. Via della Maestranza, all'angolo con Via Nizza da una parte, e la Mastrarua (Via Vittorio Emanuele) dall'altra. Le strade dove sono nato, quelle dove ho imparato a camminare e a cadere e a rialzarmi. Poi, Via Genova, Via Torino, Via Milano, le strade (brutte, con brutti nomi) dove sono cresciuto, e per quanto mi è stato possibile dove ho imparato a correre, circondate da improbabili campi di grano, senza la consapevolezza di stare solo prendendo la rincorsa per spiccare un salto, verso altre strade. Via del Leone e Via dell'Orto, e Via Ghibellina... Troppe strade a partire da quella "casa dello studente" in Piazza Indipendenza che poi casa non era. E quindi, a venire, ancora altre strade, in altre città ancora, e qualcuna perfino dal nome esotico come Köpenicker Straße. Già, le strade! Le strade hanno una loro valenza che è assai diversa da quella, ad esempio, delle piazze. La piazza parla delle istituzioni, della cosa pubblica, mentre la strada racconta l'individuo, e allo stesso tempo parla della comunità - come quella in Via Torta (già Via Torcicoda) che dava appunto su Piazza Santa Croce, di modo che andare in piazza finisce per avere un significato ben diverso dallo scendere in strada. In piazza ci si va in cento, in mille, in centomila, se occorre. In strada ciascuno ci scende per conto proprio. Solo che in piazza, per arrivarci, bisogna andarci a partire dalle strade: ciascuno dalla propria! In strada, nel 1943, ci scendevano i gappisti, ciascuno da solo, nella notte, magari armati di un martello, di un cacciavite, per attaccare il nemico e impadronirsi di quelle armi che necessitavano loro. Le armi che poi sarebbero servite a meglio percorrere la strada per arrivare nelle piazze. La strada è la "Via del corno" di "Cronache di poveri amanti" di Pratolini, tanto per restare a Firenze, Ma se devo parlare di una strada che, in qualche modo, le riassuma tutte, allora parlo di Via de' Macci. Incastonata tra "Le Murate" e Piazza Santa Croce, a due passi da Borgo Allegri, reca per me in sé sempre più i connotati astratti di un ricordo, perdendo quelli concreti di una strada. Io ci dormivo in quella strada, fra pacchi di giornali e ciclostili, ed ero sempre sul punto di andarmene a dormire da qualche altra parte, ma poi rimanevo lì, alla fine. Ed era un posto così poco casa che ti spronava a vivere per strada. Che era meglio! A pochi metri c'era un bar, uno di quelli che non esistono più, un bar con un bancone alto e con i tavoli cui sedersi, tutto quanto, bancone e tavoli, in marmo. Sgabelli a tre piedi, scomodi il giusto, per bersi un caffè senza addormentarsi stando appollaiati e addentare nel mentre un bombolone alle prime luci dell'alba. Scorrendo le "prime notizie" fresche di stampa, con le mani ancora umide della colla per "attacchinare". E non era per niente difficile, a quei tempi, credere a questa canzone di Gaber per cui: «C'è solo la strada su cui puoi contare/ La strada è l'unica salvezza / C'è solo la voglia, il coraggio di uscire / di esporsi per la strada, nella piazza. / Perché il giudizio universale non passa per le case / In casa non si sentono le trombe / In casa ti allontani dalla vita dalla lotta, dal dolore e dalle bombe.»

(già pubblicato sul blog il 31/10/2006)

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