mercoledì 29 luglio 2020

Il cadavere dell'umanità

La psicopatologia del tessuto sociale in Frantz Fanon: la duplice negazione dell'identità e dell'alterità.
- di João Carvalho -

Frantz Omar Fanon è stato un pensatore ed un rivoluzionario nato in Martinica che, durante la seconda guerra mondiale nella lotta contro il nazismo, servì nell'esercito francese. Dopo essersi congedato dall'esercito, studiò medicina a Lione, dove si specializzò in psichiatria. Oltre medicina, Fanon ha studio in maniera approfondita le scienze umane, frequentando i corsi di Jean Lacroix e Merleau-Ponty. La sua biblioteca ci racconta come egli sia stato un attento lettore di Hegel, Marx, Lenin,  Kierkegaard, Husserl, Sartre, Mao Zedong, Ho Chi Minh, tra gli altri. [*1] È comprendendo Fanon in quanto intellettuale e militante, la cui prassi, così come la sua teoria, si abbeverava alle fonti del marxismo-leninismo e, di conseguenza, alle fonti delle coeve lotte anticoloniali - tra cui spiccano la lotta di indipendenza della Cina e dell'Indocina (Mao e Ho) - che diventa così importante comprendere quali sono le categorie teoriche dentro tale strumentario. Per l'esattezza, è stato proprio approfondendo il concetto di alienazione in Hegel e in Marx che nel 1952 ha scritto "Pelle Nera, Maschere Bianche" per ottenere il suo dottorato. Finiti gli studi, Fanon si trasferì a Blida-Joinville, in Algeria. È nel contatto quotidiano diretto con gli orrori della situazione coloniale [*2], e della alienazione che patologizza la realtà della colonia, che Fanon si impegnerà nella lotta per l'indipendenza algerina. Già militante del Fronte di Liberazione Nazionale algerino, diverrà rappresentante del Governo Provvisorio come diplomatico dell'Algeria in diversi incontri tra paesi africani ed il cosiddetto Terzo Mondo. Sarà durante questo periodo che scriverà "L'anno V della rivoluzione algerina", oltre agli articoli per El Moujahid (il periodico ufficiale del Fronte di Liberazione Nazionale algerino), che verranno poi raccolti nell'antologia "Per la rivoluzione africana. Scritti Politici", pubblicato postumo nel 1964.
Nel 1961, Fanon scopre di avere la leucemia, e in dieci mesi scrive "I Dannati della Terra", con la prefazione di Sartre, che è probabilmente la sua opera di maggior impatto. [*3] Il suo pensiero si inserisce nel contesto delle indipendenze africane, nel cosiddetto "terzomondismo", e nel pensiero marxista periferico [*4], ed ha influenzato da Paulo Freire fino alle Pantere Nere. L'opera fanoniana è pervasa dal problema politico e da quelle che sono le questioni del riconoscimento nel quadro della ricerca di una più ampia comprensione delle totalità che compongono la situazione coloniale [*5]. In questo testo, si cerca in particolare di indagare sulle questioni riguardanti il riconoscimento (o meglio, l'assenza del). In che modo avviene la costruzione del nero nella situazione coloniale? In che modo gli vengono negati simultaneamente identità ed alterità? Quali sarebbero secondo Fanon i suoi percorsi di rottura e di tensione? Tutte queste risposte, presuppongono un percorso che ci porti a comprendere come - per citare Achille Mbembe - il nero è diventato il cadavere della modernità.

Preambolo: l'avvento del razzismo
Il filosofo  Douglas Rodrigues Barros sostiene che «senza un linguaggio capace di esprimere, simultaneamente, la costituzione storica e la sua frattura costitutiva, non ci può essere movimento concettuale » [*6]. Ora, se siamo d'accordo sul fatto che l'invenzione del nero, in quanto grammatica della negatività e in quanto negazione, è la pietra di paragone delle modernità, ecco che allora è a partire dalla critica di questa invenzione che dobbiamo compiere ogni nostro sforzo. Quando Fanon ci parla dell'individuo delimitato dalla situazione coloniale - quella situazione in cui ad un non-essere viene assegnata una differenza ontologica talmente brutale che in un colpo solo lo fa uscire dalla somiglianza e lo rende simultaneamente indegno dell'alterità - egli sta lavorando con i fatti che gli vengono forniti dalla colonizzazione, così come vengono proposti alla sua clinica e conformemente a quanto è dimostrato dalla sua esperienza. Tuttavia, la costruzione della figura del negro nella situazione coloniale è di lunga durata, e avviene in un processo dialettico che con un unico movimento ha determinato la produzione e la riproduzione del capitale, e da questa è stata determinata. Esaminiamo ora alcuni aspetti nord-orientali di questa storia.
Mary Louise Pratt, guardando ai processi costitutivi l'iscrizione, nel discorso europeo, del «nuovo mondo» formato dai continenti africano e americano - nonostante esso rimanga sempre fedele alla formazione di zone di contatto [*7] e alla transculturazione [*8] - ci mostra in maniera indelebile come l'esperienza del viaggio, e la letteratura da questa esperienza prodotta, costituiscano uno spazio privilegiato per la costituzione di un paradigma imperiale. Razzializzato, esotico, a volte completamente terrificante, o del tutto privo di ogni contatto con l'umanità, situato tra il vuoto completo ed il riempimento attuato per mezzo di forze di uomini disumani, il discorso mira al controllo dei corpi, delle geografie e degli immaginari.
« La categorizzazione degli esseri umani, come si può notare, è esplicitamente comparativa. Difficilmente potrebbe esserci un tentativo più evidente di "naturalizzare" quello che è il mito della superiorità europea [...] Una ad una, le forme di vita del pianeta dovevano essere estratte dal groviglio del proprio ambiente ed essere raggruppate secondo gli standard europei di unità globale e di ordine. Lo sguardo (istruito, maschile, europeo) che veniva rivolto al sistema avrebbe potuto rendere familiare ("naturalizzare") nuovi luoghi/nuove visioni subito dopo il contatto, attraverso la sua incorporazione al linguaggio del sistema. » (Mary Louise Pratt, "Imperial Eyes: Travel Writing and Transculturation").
Non è solo il discorso letterario ad aver usato simili sotterfugi; anzi, o meglio, in maniera concomitante, esso è stato solo lo specchio dello "Zeitgeist" che ha dato origine al tentativo di contrabbandare il razzismo come scienza, sia nel campo dell'etnografia che in quello dell'economia politica. Domenico Losurdo, nel suo "Controstoria del liberalismo"(Laterza) ci porta diversi esempi degli stratagemmi razzisti usati dai padri del Liberalismo classico, sia nei loro saggi di Economia politica che in quelli di Morale. Anche quando se ne stavano zitti, il loro silenzio era un lamento eurocentrico. Basta leggere la descrizione dell'America di Tocqueville per accorgersi dell'assenza di due elementi, quello indigeno e quello nero. Questa democrazia "herrenvolk" (del popolo eletto) [*9] che non è stata possibile nonostante la riduzione in schiavitù ed il razzismo, essa era possibile proprio in forza di entrambe queste due cose. Il flusso di transito atlantico di idee e teorie sulla razza era una strada a doppio senso che retro-alimentava la bestia della guerra colonialista in quella che era la sua sete di sangue, di capitale e di territori. Come mostra Tzvetan Todorov, nel suo libro "Noi e gli altri", la formulazione delle prime teorie poligenetiche può essere fatta risalire alla fine del 17° secolo e fino al 18°. La legislazione non ci avrebbe messo molto ad accompagnare la pseudo-scienza e già nei primi mesi del 18° secolo abbiamo negli Stati Uniti tutta una serie di leggi segregazioniste che avrebbero inasprito la condizione dei neri e preparato all'incremento della separazione. È stato questo l'infame atto di nascita della modernità.

Situazione coloniale: echi fanoniani in Agamben
Per Fanon, l'individuo è il prodotto del suo ambiente, per lui è impraticabile curare e disalienare l'uomo se poi si intende reinserirlo in una situazione di sfruttamento, di espropriazione e di alienazione. Perciò bisogna comprendere in che modo la situazione coloniale alieni e disumanizzi continuamente il colonizzato, dalla culla alla morte, e come questo processo sia un processo di razionalizzazione. Profondamente influenzato dall'opera di Freud e dal primo seminario di Lacan, Fanon arriva a percepire già nel linguaggio, quello che è il primo trauma nei confronti del soggetto colonizzato. Prima di essere un uomo, egli è un aggettivo: nero, arabo, antillano, nordafricano. Tale aggettivazione negativa viene imposta e crea un individuo limitato e circoscritto che affronta la società a partire da una socialità che rifiuta il suo status ontologico e simultaneamente annulla l'epistema del suo popolo. Questo duplice attacco, che non consente l'uguaglianza tra simili né il riconoscimento dei disuguali che partecipano di qualcosa in comune, porta alla mummificazione della cultura locale e relega il soggetto nello spazio del non essere. Private di ciò che le rendeva umane, queste persone finiscono per trovarsi in un limbo giuridico e morale, in uno stato di eccezione costante, giustificato e ridefinito dallo Stato stesso, in modo che è proprio nella situazione coloniale che la maggior parte della popolazione vive in maniera aperta quella che è una nuda vita. Credo che a questo punto sia necessario definire il concetto di nuda vita per Agamben, cosa che presuppone anche una breve digressione sul suo concetto di homo sacer.
Per Agamben, la nuda vita si riferisce all'esperienza di non protezione e allo stato di illegalità di chi viene trascutato ed è costretto a vivere in una terra di confine che si trova al di là dell'ordine costituito; è la costante esperienza di chi viene costretto a vivere sottomesso ad uno stato di eccezione. Nuda vita si riferisce alla spazio fortemente artificiale che viene generato dalle strutture di potere nel momento in cui escludono dalla protezione giuridica quelle forme di vita che non si sottomettono al suo ordine. [*10] L'homo sacer [*11] si configura a partire dalla produzione di nuda vita per l'apparato sovrano, una vita che diventa sacra; vale a dire, passibile di essere assassinata senza che vi sia punizione ed interdetta al sacrificio rituale, ossia, in ultima analisi, impura. Nel proporre il concetto di homo sacer, Agamben ci mette di fronte a quella che apparentemente potrebbe essere un'aporia. Per Agamben, a partire dal 19° secolo, nelle scienze umane, l'ambiguità dell'idea di sacralità apparirà come un mitologema [*12] scientifico  e servirà ad impedire un'analisi del potere sovrano soggiacente al concetto di sacer. Per l'autore, la sacratio va interpretata come una figura autonoma e come una sorta di struttura politica originaria che si colloca in una zona che precede la distinzione tra sacro e profano, tra religioso e giuridico. Tale struttura sarebbe l'origine della sfera sovrana, in quanto è in questa sfera che si verifica la duplice esclusione sia del diritto divino che di quello umano: «nel caso dell'homo sacer una persona è semplicemente posta al di fuori della giurisdizione umana senza trapassare in quella divina». [*13] Una tale struttura coniuga l'impunità per l'uccisione con l'esclusione dal sacrificio. Pertanto, ciò che definisce la condizione di homo sacer è precisamente questa duplice esclusione a cui egli si trova esposto: «la violenza, vale a dire, l'uccisione insanzionabile che chiunque può commettere nei suoi confronti, non viene classificata né come sacrificio, né come omicidio, né come sacrilegio». [*14] Situato al di là del diritto penale e del diritto divino, l'homo sacer è la rappresentazione archetipica di quella vita la cui esistenza è vincolata al potere sovrano (alla situazione coloniale, per Fanon, al Potentato Coloniale per Mbembe), rappresentando in tal modo l'esclusione originaria per mezzo della quale si costituisce la dimensione politica. Per Agamben, «Sovrana è la sfera in cui si può uccidere senza commettere omicidio e senza celebrare un sacrificio e sacra, cioè uccidibile e insacrificabile, è la vita che è stata catturata in questa sfera.» [*15] Pertanto, «la sacralità della vita, che si vuole affermare contro il potere sovrano, come un diritto umano fondamentale, esprimerebbe, al contrario, in origine, l'assoggettamento della vita ad un potere di morte e la sua irreparabile collocazione in quella che è una relazione di abbandono». È l'idea di una biopolitica che porta ad una necropolitica, in cui il controllo dei luoghi e dell'immaginario pervade e attraversa il controllo dei corpi ed avrebbe la funzione di isolare e separare la nuda vita da un'identità e da una condizione di appartenenza, sia essa nazionale o appartenente a dei gruppi separati all'interno degli Stati. Ed è questo il modo in cui ci accostiamo di nuovo a Mbembe e possiamo finalmente comprendere la sua affermazione secondo cui il nero è il cadavere dell'umanità. «Morto» nella sua ontologia, disciplinato dall'ordinamento giuridico, ridotto a nuda vita, il nero è simultaneamente cadavere e spettro. Egli reca in sé la faccia nascosta del presunto progresso del capitalismo, ma egli è anche colui che potrebbe rompere questo ordine notturno che sfrutta ed espropria mentre cerca di nascondere il suo volto malato. Per Mbembe, il divenire nero del mondo è per l'appunto l'allargarsi del peccato del nero ad una parte sempre più grande dell'umanità; vale a dire: ai latini, agli asiatici, e infine ai poveri e ai periferici migranti, a tutti quelli che sono alienati dal presunto progresso che il capitalismo porterebbe. Ma allora rimane una domanda: Come fare a rompere questo continuum? Quali sono i modi possibili per rompere questo paradigma di sfruttamento ed espropriazione?

Conclusione
Se per Mbembe ed Agamben la rottura si compie in forma metafisica, attraverso la ricerca (per Mbembe) di una clinica del soggetto dove si possa tentare una rottura del trauma freudiano, mentre (per Agamben) la soluzione intravvista è quella di una trasformazione radicale della prospettiva alienata che avviene per mezzo della conoscenza, la quale porterà alla rottura dell'individualismo atomistico per mezzo di quella che egli chiama una forma di vita; per Fanon la rottura  è assolutamente materiale, e può essere realizzata solo attraverso la lotta rivoluzionaria. Fanon comprende che l'unica forma di superare la situazione coloniale è per mezzo della sua completa distruzione. Solo rifondando radicalmente quelle che sono le badi della socialità umana si potrà disalienare l'uomo. In una relazione dialettica, l'alienazione dell'uomo e del corpo sociale può avere termine solo se c'è un Aufhebung [*16] che sopprima e superi entrambe le alienazioni in una nuova realtà Ed è per questo che Fanon vede l'uso della violenza rivoluzionaria, sia fisica che simbolica, così come gli adattamenti e le innovazioni relativi all'uso del linguaggio del colonizzatore da parte del colonizzato, come una strada da percorrere per rompere la mummificazione della cultura. Il processo stesso è già di per sé una catarsi collettiva che dà inizio ad un rinnovamento degli individui e delle collettività, ed è propizia all'emergere di un uomo nuovo. Pertanto, rendere accessibile il campo mentale dev'essere un compito, non di semplice analisi interna delle nostre fonti primarie, ma, soprattutto, un compito legato al metodo, che faccia apparire gli indizi ed i segnali che costituiscono la specificità del contesto, o dei contesti scelti, e dei paradigmi che li governano. Saper ascoltare quello che i testi ci stanno gridando, ma, soprattutto, saper far parlare i loro silenzi. Per finire, in quanto storico, latino e periferico rispetto al nostro sistema mondiale di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, non ci rimane altro che attuare quanto dice il rivoluzionario burkinabé Thomas Sankara: «Non si può attuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso, si tratta del coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, del coraggio di inventare il futuro. Del resto, ci sono voluti i folli di eri perché si possa essere in grado di agire con estrema chiarezza oggi. Voglio essere uno di quei folli». (Thomas Sankara, "Thomas Sankara Speaks: The Burkina Faso Revolution 1983-87" Atlanta: Pathfinder, 1988, p.144).

- João Carvalho - Pubblicato il 18/6/2020 su Blog da Boitempo  -

NOTE:

[*1] - Sulla biblioteca di Fanon, si veda Jean Khalfa, "La Bibliothéque de Frantz Fanon. Liste établie, présentée et comentée par Jean Khalfa". Apud Frantz Fanon, "Écrits sur l'aliénation et la liberté: Èuvres" II. Ed. Jean Khalfa e Robert Young (Parigi, La Découverte, 2015), p. 715-98.

[*2] - Sul concetto di Situazione Coloniale, si veda:  G. Balandier, “A Noção de Situação Colonial“. Cadernos De Campo (São Paulo 1991), 3(3), 1993, p. 107-31.

[*3] - A titolo di esempio, una ricerca di "dannati della terra" ha prodotto 922 risultati, mentre "Pelle Nera, Maschere Bianche" ha dato solo 45 risultati.

[*4] - Per "pensiero marxista periferico", intendiamo quegli autori che rompono con l'eurocentrismo e con le prospettive orientative di una certa parte della tradizione marxista, principalmente quella legata all'euro-marxismo. Si tratta dei pensatori della linea marxista-leninista, eredi del cosiddetto Congresso di Baku per la liberazione dei popoli dell'Oriente, vale a dire "Popoli oppressi e lavoratori di tutto il mondo unitevi". Tra questi pensatori, tra gli altri ci sono Fanon, Mao, Ho, Che Guevara, Mariátegui, Lumumba, Thomas Sankara, Leila Khalil, Huey Newton, Carlos Fonseca, Ruy Mauro Marini. A questo proposito si veda: Domenico Losurdo: "Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere" ( Laterza, 2017).

[*5] - Sul concetto di Situazione Coloniale si veda G. Balandier, cit.

[*6] -  Douglas Rodrigues Barros, "Lugar de negro, lugar de branco? Esboço para uma crítica à metafísica racial". (São Paulo, Hedra, 2019), p.25.

[*7] - «Un altro concetto fondamentale del libro, è quello di zona di contatto che viene inteso come sinonimo di frontiera culturale, enfatizzando le dimensioni interattive ed improvvisate degli incontri coloniali, mettendo in discussione il modo in cui i soggetti coloniali vengono costituiti nelle (e per mezzo delle) relazioni tra colonizzatori e colonizzati.» (Maria Helena Pereira Toledo Machado, “Os Olhos do Império. Relatos de viagem e transculturação”. Rev. bras. Hist., São Paulo, v. 20, n. 39, p. 281-289, 2000.)

[*8] - Il termine transculturazione è stato creato negli anni '40 da Fernando Ortiz, nel suo "Contrappunto cubano del tabacco e dello zucchero" (città aperta, 2007), ed è correlato all'universo degli scambi culturali.

[*9] - Il concetto usato da Losurdo, letteralmente vuol dire democrazia del popolo eletto. Questo "popolo" era uomo, bianco e possidente. A taò proposito si veda Domenico Losurdo, op.cit.

[*10] - Gustavo Oliveira de Lima Pereira, “Vida nua e estado de exceção permanente: a rearticulação da biopolítica em tempos de império e tecnocapitalismo”, em: Revista Sistema Penal & Violência. Porto Alegre, volume 06, número 02, p. 215-231, jul/dez. 2014.

[*11] - In latino, “homem sagrado” è una figura del diritto romano che rappresenta qualcuno che si trova al di fuori della sfera della sicurezza giuridica sia indegno della sfera del Sacro. Su questo, si veda, Giorgio Agamben, "Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita", Einaudi.

[*12] - Mitologema, secondo la definizione di Károly Kerényi, significa l'elemento minimo riconoscibile di un complesso di materiale mitico che viene continuamente rivisto, riformulato e riorganizzato, ma che in sostanza rimane in realtà la stessa storia primordiale. Tale storia primordiale è il mitologema. Nella polemica con Bronislaw Malinowski, considerato uno studioso serio, ma troppo empirico, e che negava il valore simbolico del mito, Kerény ha cercato di dimostrare ciò che esiste di universale e di fondamentale nel mito. Il mitologema è un modello archetipico che, arricchito con elementi propri di una cultura, dà origine al mito. Sul tema, si vede Károly Kerényi, "A Criança Divina: uma Introdução à Essência da Mitologia" (Rio de janeiro: Editora Vozes, 2011).

[*13] - Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., p. 89.

[*14] - Pedro Dalla Bernardina Brocco, “Vida nua e forma-de-vida em Giorgio Agamben e Karl Marx: Violência e emancipação entre capitalismo e estado de exceção”. Em: Dilemas – Revista de Estudos de Conflito e Controle Social, 9(1), Rio de Janeiro, 2016, p. 65-90.

[*15] - Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., p. 91.

[*16] - Il termine tedesco «Aufhebung», spesso tradotto con «soppressione», si riferisce al momento della dialettica hegeliana dove due premesse si risolvono per mezzo della creazione di un terzo temrine innovativo che in un solo colpo nega e ridefinisce le due premesse, riportando in questa nuova sintesi una soluzione che contempla il nuovo, ma nel quale soggiacciono le parti che hanno formato il terzo insieme. Sul tema, si veda Georg W. F. Hegel, "La Fenomenologia dello Spirito", Einaudi.

fonte: Blog da Boitempo

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