L'espressione «comunismo ermeneutico» suona assai bizzarra, e non solo a causa dell'aggettivo che qualifica il nome, ma perché questo sostantivo di solito viene associato generalmente ad una forma di totalitarismo che è esistito nel XX secolo: lo stalinismo. La tesi è controversa, ma va resa nota. Il fatto è che ora viene presentata nel titolo di un libro che viene pubblicato all'inizio dell'ultimo decennio, scritto da Gianni Vattimo e da Santiago Zabala, con la pretesa di recuperare il carattere emancipatorio della proposta comunista. Il titolo completo del libro: "Comunismo ermeneutico. Da Heidegger a Marx" (Garzanti). Ora, associare il concetto di comunismo al filosofo tedesco che aderì al nazismo negli anni Trenta rende tale frase ancora più profondamente bizzarra. Per loro due, «la crisi del comunismo sovietico - e quindi l'attuale crisi del capitalismo neoliberale con la quale ci confrontiamo - richiede al marxismo una svolta ermeneutica». I suoi grandi errori, i suoi fallimenti, le sue forme autoritarie e totalitarie di governo hanno avuto luogo - sempre secondo loro - a partire da un'intrinseca incapacità di comprendere e valutare la soggettività collettiva delle popolazioni nei paesi che nel XX secolo erano diventati socialisti. Il comunismo storico riteneva di essere il portatore della verità della storia e, perciò, aveva il diritto di imporre con la forza alla popolazione da esso governata, in maniera ferrea, un processo di accumulazione di capitale pianificato e diretto dallo Stato. Com'è stato dimostrato dalla storia - si pensi, per esempio, alla Russia e alla Cina - il sistema centralizzato di accumulazione in vigore non era altro che una forma di transizione al capitalismo, attuato da parte di quelle che erano forme ritardatarie di produzione.
Il nostro tempo, sul piano sia politico sia filosofico, è segnato da una "assenza di emergenza": il capitalismo neoliberista e, in filosofia, la metafisica stanno tenendo imbrigliato il mondo intero. Secondo Gianni Vattimo e Santiago Zabala, esiste però un'alternativa possibile. Si tratta, rielaborando Marx e Heidegger, di ciò che qui viene definito "comunismo ermeneutico", cioè di una posizione che politicamente si avvicina alle esperienze sudamericane di Hugo Chàvez in Venezuela ed Evo Morales in Bolivia. Ma questo libro, scrivono gli autori nella prefazione all'edizione italiana, "non è solamente politico, è anche e soprattutto filosofico, in altre parole, una filosofia politica antirealista, che non vuole fondarsi sulla "verità dei fatti", sempre così addomesticata dall'informazione mainstream, dal vero regime oppiaceo in cui siamo immersi. Essere realisti significa ancora sempre, per noi, chiedere l'impossibile. Sapendo che solo così si riuscirà a cambiare almeno qualcosa".
(dal risvolto di copertina di: "Comunismo ermeneutico. Da Heidegger a Marx", di Gianni Vattimo e Santiago Zabala". Garzanti)
L'ipotesi del comunismo ermeneutico
- di Eleutério F. S. Prado -
La parola comunismo ha diversi significati, sebbene uno di essi predomini in quella che è la comprensione popolare. In questa accezione più consueta delle altre, si designa quello che era il defunto sistema burocratico di Stato che si insediò in Russia a partire dal 1917, e che con la fine della seconda guerra Mondiale venne esteso a diversi altri paesi (Jugoslavia, Germania dell'Est, Polona, ecc.) formando l'Unione Sovietica. Com'è noto, il comunismo in quei paesi ha avuto fine tra il 1989 ed il 1991. Ma quel nome, ancora oggi, viene ancora utilizzato per i regimi politici tuttora esistenti in Cina, Corea del Nord, Vietnam, Angola, Mozambico e Cuba. Ma com'è altrettanto ben noto, in un senso più ordinario, viene frequentemente associato all'autoritarismo dello Stato, alla Dittatura o perfino al totalitarismo. Tra i marxisti, tuttavia, questa parola viene intesa teoricamente, come un concetto; si riferisce al modo di produzione che emergerà nel futuro a partire da uno sviluppo virtuoso che comincia col superamento del capitalismo. In tal senso, viene inteso come lo stadio superiore del socialismo. Secondo il Marx della Critica del Programma di Gotha, se si arriva ad abolire la proprietà dei mezzi di produzione, dal momento che tale socialismo nasce all'interno della «vecchia società», esso si limiterebbe a ripartire beni e servizi a ciascuno, secondo quelle che sono le sue capacità di produzione ed il suo lavoro. Però allo stesso tempo esso crea le condizioni perché si realizzi un modo di produrre e di distribuire più avanzato che viene caratterizzato dal principio «da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni». Secondo questa dottrina, nel comunismo non ci verrebbero ad essere né scarsità né grandi classi sociali. Dobbiamo registrare, però, che nessuno di questi paesi che abbiamo elencato è stato realmente in grado di muoversi in direzione del comunismo così delineato. E eppure potrebbero farlo, dal momento che la premessa storica dovrebbe essere quella secondo cui, i lavoratori, già nella società in costruzione, dovrebbero trovarsi già liberamente organizzati secondo delle basi comuni istituite come tali. Del tutto al contrario, piuttosto, in alcuni di essi, al posto dell'emancipazione, come era stato promesso dai movimenti rivoluzionari, sono stati realizzati fra quelli che sono stati i peggiori regimi della storia, come lo stalinismo, il maoismo e il polpottismo. In alcun modo. tuttavia, è mai stata istituita una democrazia che fosse superiore alla democrazia liberale; piuttosto al contrario. E questa - com'è ben noto - è stata prodiga di violenze e di perversioni.
L'espressione «comunismo ermeneutico», pertanto, a molti potrà suonare assai bizzarra, e questo non solo a causa dell'aggettivo che qualifica il nome, ma anche perché il sostantivo torna ad apparire in un contesto di inefficienza, di propaganda ingannevole e di oppressione. Il fatto che ora riemerga nel titolo di un libro pubblicato all'inizio di quest'ultimo decennio, scritto da Gianni Vattimo e Santiago Zabala con lo scopo di riscattare il carattere emancipatorio della proposta comunista, cui era associato in un passato assai lontano, e che ora non sembra più esserlo. Il titolo completo del libro: "Comunismo ermeneutico. Da Heidegger a Marx" (Garzanti). Ora, associare il concetto di comunismo al filosofo tedesco che aderì al nazismo negli anni Trenta rende tale frase ancora più profondamente bizzarra. Prima di cercare di chiarire solo un po' quella che è la questione, bisogna tener conto di una tipologia che troviamo nel libro "Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo" di Pierre Dardot e Christian Laval (DeriveApprodi, 2015), Questi due autori presentano quelle che sono le grandi concezioni del comunismo inquadrandole sotto forma di tre tipi ideali: come un'ideologia che si basa sulla formazione di comunità di eguali; come auto-organizzazione democratica dei lavoratori in generale; e come un regime di partito unico che domina sia lo Stato che la società stessa.
La prima concezione, secondo Durkheim - affermano i due autori - nasce nella Repubblica di Platone. La tesi che sta alla base, è quella secondo cui il comunismo consiste in un'utopia trans-storica che orienta le azioni umane, alla ricerca della realizzazione di comunità di persone che siano uguali e che, per questo, vivono e consumano in comune. Va notato che questa concezione è alla base del cristianesimo primitivo e si può trovare in diversi passaggi della Bibbia. In ultima analisi, si basa sull'idea di quella che è una comunità etica.
La seconda concezione del comunismo si manifesta nella società moderna, con l'obiettivo di superare quelle che sono le relazioni sociali indirette ed alienate - mediate per mezzo della merce e del denaro - tra gli esseri umani. Per Durkheim - sostengono i due autori - questa concezione ha dato origine al socialismo contemporaneo. Essa non viene vista come un'utopia, bensì come un principio attivo che trasforma la società attuale al fine di costituire una nuova società caratterizzata da relazioni sociali dirette. Ne Il Capitale, il socialismo appare come un'associazione democratica di lavoratori liberamente organizzati.
La terza concezione è quella che si è cristallizzata nel XX secolo, in diverse nazioni, per mezzo delle rivoluzioni comuniste. Queste, hanno portato all'esistenza di quegli Stati terroristi che non solo hanno assunto il monopolio della violenza, ma hanno anche cominciato a dettare le forme di esistenza della società, così come anche il discorso relativo alla sfera politica, artistica e culturale; in sostanza, il discorso del presente e del futuro delle nazioni che erano cadute sotto il giogo di quelle burocrazie che si presentavano come comuniste. Se è stato possibile un simile risultato - pensano Dardot e Laval - ciò è avvenuto perché nella politica del marxismo, e nella sua comprensione della storia, c'erano delle falle.
La tesi di partenza di Vattimo e Zabala è che il comunismo sarebbe nato come uno spettro che nel XIX secolo terrorizzava la grande, la media e la piccola borghesia, ma che ora appare solo come un fantasma del passato che oramai non spaventa neppure persino i più paranoici anticomunisti. In base a questa constatazione iniziale, cercano di spiegare il perché si sia verificata questa mutazione, perché oggi ci sia stato uno slittamento rispetto a quello che era il suo significato originario, e perché «l'ermeneutica reca in sé la possibilità di rinnovare quello che è nel mondo attuale il potenziale del comunismo». Secondo questi due autori, nel comunismo storico c'è una debolezza costitutiva: quella relativa al suo carattere autoritario e violento, anche quando si tiene conto delle sue promesse emancipatrici. Ora, questa sua falsità costitutiva è riconducibile al fatto che non era altro che un progetto metafisico e scientifico: allo stesso modo del liberalismo, questo comunismo è stato il prodotto di una «filosofia assoluta della storia, dominato dall'idea del progresso».
Se il liberalismo ha sempre inteso basarsi sulle leggi naturali, e pertanto vere dell'evoluzione e del funzionamento dell'economia di mercato, il comunismo realmente esistente si è invece basato sull'accettazione di una legge della trasformazione della storia. Ha dovuto continuare a ripeterlo a sé stesso innumerevoli volte, fino a quando non si è pienamente convinto dell'inesorabile corso degli eventi: quindi ha cominciato a pensare che, attraverso l'azione delle forze sociali, attraverso la lotta di classe avverranno due nascite - il capitalismo genererà il socialismo e questo, a sua volta, farà nascere il comunismo!
In questo modo, tanto i capitalismi quanto i socialismi che ancora esistono, o che sono esistiti, appaiono come se fossero delle realizzazioni che provengono dalle azioni e dalle lotte degli esseri umani, ma che continuano ad esistere, e prosperano, perché rimangono ancorate alla metafisica; e qui, con questo concetto si intendono «politiche socio-economiche che hanno la loro base in una verità oggettiva della storia». Com'è noto, la parola «metafisica» di solito designa un modo di pensare che concepisce «l'essere dell'entità» - vale a dire, le cose in quanto tali - come se fosse stabile, oggettivo e permanente, e che può pertanto essere compreso in quanto «verità oggettiva», come se fosse una «verità definitiva». Ora, secondo Vattimo e Zabala, sia la rivoluzione del 1968 che la caduta del Muro di Berlino e la fine dell'Unione Sovietica hanno annunciato, e perfino realizzato la dissoluzione reale e generale della metafisica sul piano della storia. Precedentemente, sul piano della filosofia, Marx e soprattutto la teoria critica di Adorno e Horkheimer, da un lato, e Nietszsche ed Heidegger, dall'altro, avevano portato a termine una critica devastante delle correnti metafisiche a partire da Platone fino ad Hegel, da un lato, e fino ad Husserl, dall'altro lato.
Vattimo e Zabala sembrano pensare che tutte queste filosofie non solo abbiano interpretato il mondo, ma hanno anche aiutato a governare le pratiche in quelle società nelle quali si sono succedute, grosso modo a partire dal IV secolo a.C. e fino al XX secolo d.C.. Ma cos'è che nasce da questa morte tardiva? Secondo loro nascono le filosofie ermeneutiche, le quali si presentano sempre come degli sforzi di interpretazione storica, endogeni alla storia stessa, e non come conoscenza oggettiva che si pretende vera, universale e trans-storica. Nasce, anche, la possibilità di reindirizzare le trasformazioni storiche in maniera virtuosa.
Per loro, «la crisi del comunismo sovietico - così come la crisi attuale del capitalismo neoliberista in cui ci troviamo - richiede che il marxismo compia una svolta ermeneutica». I suoi grandi errori, o i suoi fallimenti, le sue forme di governo autoritarie e totalitarie derivano - sempre secondo Vattimo e Zabala - da un'incapacità intrinseca di cogliere e considerare la soggettività collettiva delle popolazioni nei paesi che divennero socialisti nel XX secolo. Esso [il marxismo] sarebbe stato consapevole di una verità della storia e, perciò, si è ritenuto in diritto di imporre in maniera ferrea, alla popolazione governata, quella che era la strada dello sviluppo economico e sociale.
La logica scientifica avrebbe agito per elevare le forze produttive attraverso la l'economia centralizzata, senza rispettare la complessità dei processi di produzione e le richieste economiche, e senza considerare nemmeno le istanze democratiche che richiedevano la partecipazione politica alla costruzione di una buona vita. Perciò avrebbe stupidamente ritenuto che una coscienza di classe socialista sarebbe emersa meccanicamente dal progresso materiale della società stessa.
Cosa rappresenterebbe questa possibile ripresa del comunismo? Per loro - dal momento che in generale non potrebbe esistere effettivamente una società senza classi, senza differenze e senza conflitti - il comunismo non viene immaginato come un obiettivo oggettivo che si realizzerà ad un certo momento nel futuro. Anche la tesi della scomparsa della scarsità, che del comunismo è costitutiva, appare irrealizzabile. Ciononostante, se non è possibile - dicono - «immaginare un mondo in cui il comunismo sia stato compiutamente realizzato, non si può nemmeno rinunciare a questo ideale visto come un principio regolatore ed ispiratore di decisioni concrete». Per loro, l'idea di una rivoluzione o di un processo storico che si chiuda e si completi è di già, implicitamente, una pretesa che di per sé tende a convertirsi in un potere dispotico. Il comunismo - affermano - è, tuttavia, un imperativo etico cui non si può rinunciare senza cedere, nella pratica, ad una qualche forma di oppressione. Pertanto, «il comunismo è un'utopia oppure, come ha detto Benjamin, si tratta di un progetto di potere messianico e debole» - debole in quanto non può essere imposto da un'avanguardia senza che, facendolo, lo si contraddica in linea di principio.
La tesi di Vattimo e Zabala, può dare adito a molti dubbi e a molti dibattiti. Non possiamo pensare che essa possa essere ben compresa in una recensione che non copre certo tutti i percorsi teorici e pratici che il libro presenta. I due autori, utilizzando un linguaggio abissale tipico di Heidegger, menzionano ad esempio quando dice che «vediamo nel comunismo e nell’ermeneutica il destino di un evento, una sorta di appello dell’Essere (...) che l’ermeneutica non inventa o scopre, ma piuttosto riceve e a cui si sforza di rispondere.»
Tuttavia, questa convocazione - enfatizzano - non è né misteriosa né trascendente. Al contrario, essa ci parla dell'urgenza del tempo presente. Perciò, visto l'interesse riguardo questa tematica. bisogna dare loro la parola, per esteso:
« Se teniamo conto di questi fattori, possiamo vedere il motivo per cui il comunismo deve funzionare come uno “spettro”, vale a dire non come un programma politico che propone vie più “razionali” per lo sviluppo (come voleva il socialismo scientifico), ma piuttosto un movimento che abbraccia la causa programmatica della “decrescita” come l’unico modo per salvare la specie umana. In questo modo, la funzione dello spettro – che turba e sconvolge la serena routine di coloro che, come nel caso di Amleto, devono raccogliere il frutto della violenza – serve per risvegliare alla consapevolezza coloro che preferiscono non riconoscere le conseguenze del capitalismo. »
Di conseguenza, «il comunismo non può mai presentarsi come una forza rivoluzionaria radicale.» Bisogna anche «mettere fine al riformismo» attuale della sinistra, dato che questo non è mai riuscito ad ottenere un qualsivoglia progresso in quelle che sono le «democrazie bloccate» occidentali. «Una società senza classi e perciò capace di vivere in pace è l’ideale regolativo di ogni lotta comunista nel mondo.» Ma «la sua completa realizzazione non è immaginabile». Esisterà sempre, pertanto, un gap tra l'ideale e il reale comunista, e che il «legame indissolubile tra teoria e pratica» non potrà colmare. «Dopotutto, il messia, come Gesù insegna nei Vangeli, non permette mai di essere definito positivamente.»
Avendo rischiato questo riassunto teorico del libro di Vattimo e Zabala, dobbiamo tornare a Dardot e Laval, dal momento che sono loro quelli che si concentrano su un tema assai meno enfatizzato dai primi due: ci propongono la necessità di lottare, attraverso azioni politiche, per liberare ciò che è comune sia dai meccanismi del mercato che dalla cattura da parte dello Stato. Dardot e Laval, aderiscono pertanto al secondo concetto precedentemente menzionato, suggerendo che non si può abbandonare l'ambizione di democratizzare sempre più non solamente la sfera politica, ma anche quello che è il mondo economico e sociale in generale. E attualmente a questa alternativa viene dato il nome più preciso di socialismo democratico. Prima di concludere, è necessario argomentare che questa opzione di Dardol e Laval implica la comprensione della storia in generale, ed in particolare lo sviluppo capitalistico a partire dalla scienza - e per essere più precisi sulla base di una scientificità critica - e non su un sapere meramente ermeneutico. La scienza ammette che ogni sapere, ogni conoscenza, sia interpretativa, e che rientra in una tradizione, ma, ciononostante, non rifiuta e non può rifiutare il carattere oggettivo della conoscenza, sebbene essa venga pensata sempre come provvisoria e soggetta ad errore, vale a dire, fallibile. Ora, la scienza rifiuta anche quella che è la tesi metafisica secondo cui esistono «verità oggettive», fissate per sempre e trans-storiche, in qualsiasi area del sapere, ma essa tuttavia non può rinunciare a presupporre l'oggettività della conoscenza.
In ogni caso, l'ambizione che porta ad istituire quelle che sono delle forme di libera associazione dei soggetti sociali, di per sé implica che le persone in generale non possono essere non assoggettate né alla logica cumulativa del capitale - la quale si manifesta attraverso i mercati - né al dominio totale dello Stato - che vuole sostituire la concorrenza con un controllo amministrativo totale. Per Dardot e Laval, gli esseri umani devono rendersi liberi da queste due forme di eteronomia, devono liberarsi di queste due metafisiche reali: il Capitale e lo Stato. Per loro, l'organizzazione sociale e la forma della politica devono entrambe seguire il principio del comune. Si tratta di quella che loro definiscono come la norma politica generale che pora all'istituzione di ciò che è effettivamente comune e presiede nella pratica alla costruzione e alla diffusione delle forme di autogoverno. Nella buona società, i luoghi del lavoro (non alienato) devono essere resi comuni, e le forme di svago, di creazione di cultura ed arte devono essere partecipative, e la democrazia stessa deve trovarsi alla radice delle istituzioni di ciò che è comune. Comune è anche l'aria e l'acqua, che devono essere preservate per poter avere la vita in comune - vale a dire, perché no venga sistematicamente degradata come avviene ora.
- Eleutério F. S. Prado - Pubblicato il 20 luglio 2020 -
fonte: Economia e Complexidade
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