Uno degli ultimi libri di Giorgio Agamben - pubblicato nel mese di novembre del 2019 e intitolato "Studiolo" – si tratta di una sorta di compilation di immagini preferite: ciascun breve capitolo che le presenta, è costruito come se fosse un commento ad una collezione di immagini, «immagini amate in maniera particolare» scrive l'autore in un'«avvertenza» che apre il libro.
"Studiolo", come ci spiega Agamben in quella stessa Avvertenza, è il termine che veniva utilizzato per denominare - nel Rinascimento - la stanza della casa dove il principe si recava per leggere e per meditare, e nella quale, inoltre, si trovava circondato da quelli che erano i quadri che più amava.
Fin dal suo inizio, Studiolo reca il marchio di uno "stile tardo", per usare l'espressione usata da Edward Said nel suo libro dal titolo omonimo, "Lo stile tardo" (un libro, altresì, postumo). In Studiolo, lo Stile tardo opera secondo quello che è un doppio registro: in primo luogo, c’è lo sforzo che fa Agamben di presentare un inventario critico delle sue immagini preferite, come se fossero una sorta di testamento in cui recupera ed organizza uno dei modi in cui il critico convive con l'arte; in secondo luogo, c’è il ricorrere sottile del commento fatto sulle opere concepite alla fine della vita, con una particolare attenzione nei confronti di tre pittori: Giovanni Bellini, Hans Holbein e Diego Velázquez.
Detto in altri termini, non solo Agamben esercita lo stile tardo in quanto ricerca, in certi pittori, della ripercussione estetica dello stile tardo - come nel caso della pittura di Bellini che illustra la copertina del libro: Noè, vecchio e ubriaco che viene coperto dai suoi figli. E Agamben commenta dicendo che, fino a quel momento, Bellini non aveva mai dipinto alcuna scena dell'Antico Testamento: pertanto, il suo interesse non sarebbe stato teologico, bensì tecnico; il suo scopo era perciò quello di illustrare la nudezza del corpo invecchiato. «Il tema del quadro», scrive Agamben, «non è la nudezza, ma la nudità che dev'essere coperta. (...) La nudità che viene mostrata da Bellini è la sua, quella di un vecchio che si mette a nudo nella propria opera, e che ora vuole solo essere coperto (...) Per il maestro, ciò che conta è solo il gioco delle sue mani intorno al chiarore del corpo bianco, luminoso».
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