martedì 7 luglio 2020

Ciao Pino

Pino Rea: corrispondenza.

Vengo a sapere, da un'amica, su Facebook, della morte di Pino Rea, avvenuta ieri in ospedale dove era ricoverato. La conoscenza che ne ho avuto, è stata soprattutto epistolare, ed ha avuto corso da quando, un anno e mezzo fa, mi scrisse una mail cui poi ne sono seguite altre. E pubblicandola qui - questo nostra prima corrispondenza - ritengo di non fare torto a nessuno, quanto, piuttosto testimoniare, oltre ad un suo modo di raccontarsi, la curiosità e l'apertura mentale di una persona la cui amicizia non può che continuare ad onorarmi. Ho solo voluto dire che Pino Rea era anche questo che potete leggere qui.
I funerali si svolgeranno domani alle 10 nella chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze.


Pino Rea <giuseppe.rea@gmail.com>
15 dic 2018, 08:35
a me

Ciao Franco,     
ti seguo da qualche mese, da quando – per caso –, mi pare su sinistrainrete,  ho scoperto l’ esistenza della critica del valore, di Robert Kurz e compagni/scompagni e mi sono ‘’immerso’’ nel tuo blog, di cui ora sono un aficionado. Sono il secondo da sinistra fra le testine dei lettori fissi e mi chiamo Pino (Giuseppe) Rea.
Cercavo di capire dall’ archivio quando avevi cominciato a raccogliere e rilanciare le idee della critica del valore, per capire come erano arrivate da noi, e mi sono imbattuto nel tuo racconto sulle strade fiorentine di Santa Croce e su Via dei Macci, in particolare.
Io vivo qui – Via dei Macci, 5, a due passi da Via San Giuseppe - dal 1985, dopo essere stato per quattro anni, sempre in zona,  in Via Mino (fra Macci e piazza Ghiberti), sopra a un bar d’ angolo che negli anni ’70 era gestito , con i tabacchi, da due sorelle piccole e curve e impiccione, e che ora è diventato uno dei punti della movida giovane di Santa Croce/Sant’ Ambrogio. Quartiere in cui mi ero rifugiato dopo due anni e mezzo di casa ‘’borghese’’ in via Ciro Menotti (zona Oberdan).
Sono arrivato a Firenze da Napoli nel luglio del 1975 per lavorare in un giornale che era stato appena avviato, ‘’Il Nuovo’’, ma che aveva chiuso dopo l’ estate. Ci collaborava anche Maurizio Lampronti, che poi ho rivisto a volte, anche recentemente.
Sono rimasto comunque a Firenze perché ero riuscito a farmi assegnare l’ incarico di corrispondente dalla Toscana per ‘’la Repubblica’’, che avrebbe compiuto i primi passi nel gennaio 1976.
  Odiavo anche io Firenze all’ inizio, proprio come te; ma come te, dopo qualche anno, la ho lentamente assimilata fino a quando è diventata la mia ‘’terra’’ e Napoli si è allontanata e si è raggelata come uno spazio in gran parte estraneo.  Non l’ ho ‘’uccisa’’:  l’ ho messa in un cantuccio e quando ci vado la tratto con qualche esitazione.
Mi ha colpito questa analogia e mi fa piacere condividere (vabbe’,  usiamo sta parola…) queste cose con te.
Per ora ti mando un saluto affettuoso, sperando di non averti scocciato. 
Se ti va, mi racconti il tuo approccio con Kurz&co?

Pino Rea

Franco Senia <francosenia@gmail.com>
15 dic 2018, 13:26
a Pino

Ciao Pino,
è curioso come, in qualche loro modo, i fili si intreccino e disegnino sempre un qualcosa che riesce comunque ad avere un senso.
Mi sono soffermato a leggere, e a rileggere, più volte le righe che mi hai scritto - e di cui ti ringrazio - sottolineando quei nomi che in qualche modo hanno coinciso in percorsi diversi e comuni. Maurizio (Lampronti) è stata fra le prime persone che ho conosciuto a Firenze, nel novembre del 1970. Ed al giornale "Il Nuovo", ha collaborato Giorgio (Santarelli), una persona che mi è cara, ora scomparsa, e di cui trovi un piccolo ricordo sul mio blog. E magari, se dovessimo continuare. sono certo che verrebbero fuori altri nomi, oltre alle strade di questa città in cui viviamo.
Di Kurz, che dirti? Curiosamente, per la prima volta in vita mia il mio approccio ad un teorico è stato - come dire - "lento". Precedentemente, avevo letto, appena pubblicato, il Manifesto conto il Lavoro, del gruppo Krisis, ma in proposito a quel tempo avevo fatto mie le critiche provenienti da alcuni ambiti situazionisti e anarchici (fra gli altri, Charles Reeve, Jaime Semprun, François Bochet...), che poi a meglio leggere mi sono reso conto che si riducevano a quanto argomentava Semprun, secondo il quale: «Quando la nave cola a picco, non è più tempo di dissertare sapientemente sulla teoria della navigazione: bisogna imparare velocemente a costruire una zattera». Per cui, raccomandava di coltivare l'orto e concludeva che «un buon manuale di orticoltura (...) sarebbe senza dubbio più utile, per attraversare i cataclismi che arrivano, piuttosto che degli scritti teorici nei quali si persiste a speculare imperturbabilmente, come se stessimo bene all'asciutto, sul perché e sul come del naufragio della società industriale».
Ecco a partire da questa mia nuova consapevolezza - dove mi rendevo conto che alla fine molti degli argomenti relativi alla "critica della critica" ritiravano fuori solo e nient'altro che i vecchi cascami, o leninisti o bordighisti - ho ritenuto "doveroso" cercare di rendere fruibile quanto più possibile le argomentazioni della critica delle categorie del capitale, soprattutto quelle di Kurz, che ritengo essere le più intelligenti, ed in qualche modo le più "libere" dal peso del vecchiume.
Ecco, più o meno, è stato questo l'approccio. E spero mi perdonerai la pappardella che ti ho rifilato.
Con amicizia

Franco

Pino Rea <giuseppe.rea@gmail.com>
17 dic 2018, 06:13
a me

Ciao Franco,
grazie per l' amicizia - che ricambio - e anche per la ''pappardella'' che mi hai rifilato e che ho gradito.
Arricchisce il quadro - costruito attraverso tutti i materiali che ho scoperto sul tuo blog - che mi consente finalmente di chiarire una serie di cose che erano rimaste sotto pelle da tanti anni. Da quando cioè avevo cominciato a sospettare - con diversi altri - che la storia della classe operaia come soggetto rivoluzionario e portatore di comunismo potesse essere una illusione.
Dopo il lavoro per una tesi sul problema dello Stato in Marx, avevo abbandonato il campo. Sia teorico che politico. La vita e il lavoro di cronista mi avevano portato ad occuparmi soprattutto di sistema dei media e di problemi dell' informazione. Ora, essendo ampiamente in pensione, ho ritrovato il tempo per tornare su quelle antiche questioni. Ed eccomi qui a spulciare - con una certa eccitazione da neofita (pur a quasi 75 anni) - fra le teorie della critica del valore, che molte cose mi spiegano, come una sorta di rivelazione, ma che anche tante questioni spinose pongono, soprattutto in relazione al ''dopo'' e all' idea di rivoluzione, oltre a un sentore di estrema rarefazione teorica rispetto alla complessità del mondo contemporaneo.
Ma torniamo alle strade.
Non mi ricordo di Santarelli, ma immagino che doveva essere un tipo forte e simpatico. Io sono arrivato al Nuovo a metà luglio del 75, quando l' agonia del giornale era già cominciata e può darsi che lui si fosse già allontanato.
Ma tu dove abitavi in via dei Macci? E qual era quel ''bar, di quelli che non esistono più...'' che descrivi in un post del 31 ottobre 2006?
A proposito: invidio la tua passione per la musica e la tua competenza mostruosa. Io sono sempre stato un analfabeta in questo (?) campo...
Un abbraccio,

Pino

Franco Senia <francosenia@gmail.com>
18 dic 2018, 11:08
a Pino

Caro Pino,
in via dei Macci, ho abitato, per meno di un anno, in quel fondo che aveva l'ingresso principale in via dell'Agnolo, e l'entrata secondaria in via dei Macci, per l'appunto. È stato, allora - era il 1974 - del "collettivo Jackson", ed anche la mia residenza, finché ho potuto. Il bar cui faccio cenno si trovava in via dell'Agnolo, di fronte a sinistra del fondo di cui stiamo parlando.
Quanto alla mia passione per la musica - rimasta sempre in sottotraccia e penalizzata dal fatto che non sono mai stato in grado di "esternarla" altrimenti se non scrivendone - devo dire che mi ha sempre fatto buona compagnia e mi è servita come da ... contrappunto. Continuo, per quanto mi sia possibile, a seguirne il panorama anche se ormai soffro della sindrome comuna alla nostra età, per la quale - come tante altre cose - .... non è più quella di un tempo.
Diciamo pure che il suo punto di forza (della musica) è quello di non essere mai stata una "questione spinosa", come quel "dopo" di cui parli, e come quell'idea di "rivoluzione", che spesso confesso a me stesso di non esserne poi così tanto sicuro; o che quantomeno debba essere completamente ripensata. Ed è per questo che preferisco mantenermi sul territorio della critica, cercando di evitare, accuratamente e per quanto posso, quello della "utopia", consapevole come sono che, anche per me, è arrivata l'età della pensione (questo 1° novembre) e che anche per questa ragione la possibilità di avere delle sorprese diminuisce sempre più, e lo fa in maniera esponenziale.
Vabbè. bando alle tristezze, ché non è il caso!
un abbraccio

Franco


Pino Rea <giuseppe.rea@gmail.com>
21 dic 2018, 08:02
a me

Caro Franco, ricordo bene il bar di cui mi parli, ma non la sede del Collettivo.
Ma le cose continuano ad incrociarsi. A Napoli avevo fatto parte di un gruppo (Sinistra universitaria e rami vari) in cui erano ''cresciuti'' fra gli altri due interlocutori del collettivo fiorentino - Mimmo Delli Veneri e Giovanni Gentile Schiavone, con cui avevo anche rapporti di buona amicizia -. Quasi 50 anni fa...
Sto ''studiando'' tramite il tuo blog l' evoluzione della critica del valore ma c' è un elemento-chiave che devo approfondire, perché mi pare che sia il fondamento di tutto il discorso: il processo di valorizzazione e il rapporto fra lavoro astratto e valore. E ti chiedo: mi puoi indicare meglio su quali elementi si basano le affermazioni secondo cui è solo il lavoro astratto la fonte del valore?
Mi dai una mano?
Intanto ti mando un abbraccio e molti auguri affettuosi.

Pino

Franco Senia <francosenia@gmail.com>
22 dic 2018, 13:04
a Pino

Caro Pino,
C'è da dire che il Collettivo, in quella sede, ci rimase solo per lo spazio di un paio di stagioni... ma tutto questo non impedisce che le cose, in qualche modo, poi tornino ad incrociarsi, come dici tu. Ricordo che Giovanni, l'ultima volta mi capitò di incontrarlo a Roma, una decina di anni fa, ad uno spettacolo teatrale. Ricordo che nonostante tutto non aveva affatto perso il suo spirito e la sua allegria, e ci fu modo e tempo di rammentare, insieme ad Oreste, presente anche lui a quello spettacolo, di quando prima di dare corso, insieme ad altri, all'esperienza dei nap, avesse deciso di consultare prima quelli che egli aveva vissuto all'epoca come riferimenti politici, e fra i quali c'era lo stesso Scalzone... Già, come passa il tempo ...
Ma andando al processo di valorizzazione di cui parli, credo che il problema vada, secondo me, in qualche modo rovesciato, partendo da quella che è la migliore critica che viene proprio fatta alla "critica del valore"; per intenderci quella che parla dell'esistenza di una ontologia reale del lavoro, che viene riferita al processo di metabolizzazione dell'uomo con la natura, e che, nella misura in cui tutte le realizzazioni dell'uomo sono imprescindibili dal lavoro, ci sarebbe sempre stata! (tralasciamo tutto il discorso che sarebbe quello il "lavoro" che per il marxismo tradizionale andrebbe "liberato" dal capitale, ecc.) .
Solo che a mio avviso - se provi a seguirmi - tutto     questo, con la quarta rivoluzione industriale della microelettronica, ha cessato di esistere.
Non esiste più, da nessuna parte e in nessun momento, qualcosa che possa essere definito come "lavoro concreto" [come lavoro in opposizione al "lavoro astratto"], come qualcosa che riesce a sfuggire alla logica della valorizzazione; e questo proprio per il fatto che il "lavoro astratto" nega il diritto all'esistenza a qualsiasi spazio di produzione (compresa la ri-produzione) che possa esistere al di fuori della valorizzazione.
Nella sua folle corsa al valore - e proprio nel momento in cui la valorizzazione diventa sempre più impossibile ed esiste sempre più solo per mezzo della finanza,  dislocata in un futuro che alla fine smetterà di arrivare - il lavoro astratto ha oramai fagocitato tutta quanta l'attività umana. Esiste solo il lavoro astratto, proprio perché il lavoro, per continuare a riprodursi, necessita di tutte le attività umane, dappertutto, in tutti i campi, e deve cercare di estrarre valore da tutti e da tutto, anche dal lavoro astratto futuro.
Insomma, in poche parole, secondo me, a creare valore è solo il lavoro astratto proprio perché di lavoro (insieme a quello morto, che continua ad aumentare sempre più ed in maniera esponenziale) non c'è rimasto nient'altro!
In tal senso il "lavoro astratto", per dirla con Kurz, è la sostanza del capitale.
Nel salutarti affettuosamente, e ricambiando gli auguri, spero di essere stato di aiuto, e non aver creato confusione.

Franco

Pino Rea <giuseppe.rea@gmail.com>
24 dic 2018, 18:55
a me

Caro Franco, mi sei di grande aiuto, come del resto il tuo blog. Sono contento di averti incontrato e ti abbraccio. Ho altre cose da chiederti ma lo farò con calma fra qualche giorno.
Ciao,
Pino.

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