lunedì 27 agosto 2018

Vaniloqui

herge

Il libro raccoglie gli scritti che per oltre trent'anni il filosofo francese Michel Serres ha dedicato al disegnatore Hergé (al secolo Georges Remi): testimonianza e ritratto di un artista, ma anche lettura acuminata, scrupolosa e attenta - quasi tavola per tavola - delle sue strisce nella convinzione che la filosofia, abbandonata la pedanteria dei grandi sistemi, abbia trovato rifugio nell'arte fumettistica, di cui Hergé fu un ineguagliato maestro.

(dal risvolto di copertina di: Michel Serres, Hergé mon ami, edizioni Portatori d’acqua.)

Tintin, ciuffo ribelle, alla scoperta dell’antropologia
- di Mario Porro -

Spesso la filosofia non sta dove la si cerca abitualmente. Nel 1970 sulla prestigiosa rivista Critique, Michel Serres propose una lettura strutturale di un fumetto, I gioielli della Castafiore, 21° albo delle Avventure di Tintin, datato 1963. Dopo averci condotto in paesi lontani, inseguendo misteri archeologici e tesori da scoprire ben prima di Indiana Jones, nei Gioielli Hergé mette in scena la nostra società, sempre più dominata dalle tecniche della comunicazione. Tutti i personaggi parlano ma nessuno intende e, anzi, mentre crescono i messaggi si moltiplicano i disturbi, i malintesi e le distorsioni: è nei comics che possiamo trovare la versione contemporanea della solitudine delle monadi, incapaci di comunicazione una volta venuta meno l’armonia prestabilita che in Leibniz era garantita da Dio.
Il fumetto mette in evidenza le piaghe del linguaggio, il suo girare a vuoto fino a ridursi a una serie di stereotipi e strafalcioni: I gioielli della Castafiore sono un trattato filosofico sull’incomunicabilità nel tempo in cui Tv e giornali si dispongono come parassiti agli incroci per i quali transitano le informazioni. Il dialogo si trasforma in vaniloquio e il messaggio in merce contraffatta.
Sotto il segno di Mercurio Hergé nei Gioielli crea molto rumore con una serie di «nulla», producendo una commedia degli specchi e delle maschere, a partire dal furto di gioielli della Castafiore, cantante lirica vanesia e scocciatrice. È lei, la cantante, a occupare il centro della scena, parassita che mangia alla tavola dell’ospite, prende tutto in cambio del rumore dei vocalizzi che coprono i discorsi; al vertice della catena degli scambi, la Castafiore parla a tutti e non ascolta nessuno, si compiace delle fake news sul suo matrimonio e i suoi gioielli. Nell’albo illustrato viene rappresentata la società dello spettacolo e del simulacro, dove il messaggio veicola solo se stesso e la comunicazione si nutre dei propri scarti.
Serres aveva affermato nei primi anni Sessanta che il nostro tempo non vive più sotto l’egida di Prometeo, emblema della civiltà dominata dalla produzione, ma sotto il patronato di Ermes, messaggero degli dei, dio dei commerci, degli incroci e dei ladri. Anche l’Italo Calvino delle Lezioni americane scelse come suo nume tutelare Ermes/ Mercurio, il dio della leggerezza della scrittura che mette in comunicazione leggi universali e casi individuali, forze della natura e forme della cultura.
Apparizione di Ermes era il titolo di un saggio del ’67 (se ne trova la traduzione nel numero monografico che la rivista Riga ha dedicato a Serres nel 2015) in cui il filosofo francese analizzava il Don Giovanni di Molière. Il seduttore per antonomasia non rispetta la parola data, non paga i suoi debiti, non si piega alla logica dello scambio/dono, la stessa che il Saggio sul dono di Marcel Mauss rintraccia fra le tribù dei «primitivi». Si tratti di donne, di parole o di denaro, don Giovanni trasgredisce l’obbligo della cortesia che regola la commedia dei rapporti umani, sulla scena come in società. In apertura del sipario, don Giovanni rifiuta il tabacco che gli viene offerto, ma chi non si integra alla legge della circolazione dei beni finisce condannato a morte.
Nella letteratura, come nell’arte nuova della bande dessinée, le scienze umane sono implicate da sempre. La saga illustrata di Hergé (il suo vero nome era Georges Rémi) era cominciata nel gennaio del 1929 e aveva permesso ai ragazzi della generazione di Serres (e di quelle successive) di identificarsi in Tintin, eterno ragazzino dal ciuffo ribelle e dal volto inespressivo; quella testa, un semplice ovale in cui occhi e bocca sono semplice punti, è come la finestrella delle fiere in cui si può infilare il proprio viso per ritrovarsi negli abiti dell’eroe. Gli albi di Hergé svolgono lo stesso ruolo dei Viaggi straordinari di Jules Verne, permettono di viaggiare con la fantasia e insieme acquisire una conoscenza enciclopedica. Allo scrittore dell’Ottocento, emblema della letteratura per l’infanzia o di una certa infanzia della letteratura, Serres dedicò nel ’74 un saggio esemplare (tradotto da Sellerio) che si apriva con le parole: «ho voluto frugare fra i resti del cadavere amaro che porto in me: il bambino». In Verne i viaggi prendono le mosse dal Museo delle scienze naturali, dall’astronomia per salire sulla Luna, dalla geologia per scendere nel cuore della Terra, dalla biologia per inabissarsi con il capitano Nemo.
Hergé, «il Jules Verne delle scienze umane», ci introduce invece alla storia e all’antropologia, compiendo la stessa traiettoria degli etnologi del primo Novecento: dalla mentalità dei colonizzatori approda a un radicale anti-colonialismo e al rifiuto del razzismo. L’orecchio spezzato – del 1937 –, un vero e proprio «manuale di etnologia», ci conduce nel cuore della foresta amazzonica in cerca di una statuetta rubata: il segreto mantenuto sepolto dai «primitivi» è che il feticcio è il sostituto del cadavere del sovrano ucciso; la prima statua prende il posto della vittima e permette di superare i sacrifici umani.

Una sorta di santo laico

Dopo l’articolo apparso su Critique, Serres trovò nel cartoonist belga un «amico di vecchiaia» a cui dedicò diversi saggi, poi raccolti in Hergé mon ami, ora tradotto dalla casa editrice pesarese Portatori d’acqua (a cura di Domenico Scalzo, traduzione di Simone Messa, pp. 180, euro 20,00). Nella postfazione, seguendo il filo rosso suggerito da Benjamin riguardo al rapporto fra immagine e infanzia, Domenico Scalzo mostra con rigore e competenza come le riflessioni su Hergé si inseriscano nella trama complessa del pensiero di Serres. E questo non solo per una certa comunanza di temi – dalla comunicazione al sacrificio come atto di fondazione che Serres ha ritrovato nelle storie di Tito Livio (Roma. Il libro delle fondazioni, Hopefulmonster, 1991) – ma soprattutto perché gli albi di Hergé sono trattati di morale in cui si pone con nettezza la questione del Bene e del Male.
Tintin è una sorta di santo laico, un «cuore puro», che incarna con profonda ingenuità il boy-scout ideale. Partito per un «viaggio umanitario» in cerca del suo amico scomparso fra le vette dell’Himalaya, Tintin in Tibet rinnova la parabola del Buon Samaritano; l’amico è stato salvato dallo yeti che si comporta con dolcezza e carità: è l’esclusione ad aver fatto del prossimo un essere lontano, che tutti prendono per un mostro selvaggio. Tintin riduce le distanze che le scienze umane istituiscono fra chi studia e chi è oggetto di studio: «assisteremo mai alla nascita delle scienze umanitarie?», chiede Serres. La condanna dell’etnocentrismo non si traduce in una concezione etica «relativista», che mette sullo stesso piano tutti i valori; il comportamento di Tintin è ispirato all’ideale del pacifismo e della non violenza, un ideale che Serres (critico dei versi cruenti della Marsigliese) contrappone al bellicoso orgoglio nazionalista di Astérix.

- Mario Porro - Pubblicato su Alias del 18.2.2018 -

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