Nell’attuale società del disagio si è ormai erosa la capacità di regolare le relazioni reciproche, presupposto stesso del processo di incivilimento. L’imponente contenitore sociale in cui si riversa l’esperienza individuale e collettiva registra dinamiche inedite, che una tesi oggi corrente imputa alla devastante infiltrazione psichica da parte dei meccanismi sovrani della finanza. Staremmo assistendo a un dramma della resa, a una interiorizzazione di dispositivi che ridisegnano la cartografia dei sentimenti umani. Arturo Mazzarella, invece, ritiene molto più illuminante rovesciare il rapporto di causa ed effetto: è la carica fantasmatica della potenza finanziaria a trarre forza dall’ordine pulsionale, là dove si generano gli epicentri emotivi destabilizzanti tipici del nostro tempo. Con un talento affinato nello snidare luoghi comuni che si alimentano di pigrizia intellettuale, coagulandosi poi in paradigmi interpretativi, Mazzarella percorre in senso opposto le ultime traiettorie del capostipite di ogni forma di relazione, l’indebitamento. Estinta la sua valenza simbolica e civilizzatrice, il debito si impone nell’economia libidica come modalità distruttiva di assoggettamento reciproco, che tramuta «creditore» e «debitore» in figure sempre reversibili e solidali nella coazione a ripetere del dominio. Comprovano l’invadenza di questa pulsione di morte larghe testimonianze analitiche, letterarie, artistiche e filmiche, dai grandi teorici della psiche a José Saramago, Philip Roth, Abraham Yehoshua e Don DeLillo, da Nan Goldin e Vanessa Beecroft a Lars von Trier. Se gli spasmi del godimento inappagato, che tutti costoro raffigurano sapientemente, sfibrano l’intima condivisione e la pongono al di là del principio di piacere, l’alternativa alle «relazioni pericolose» sembra consegnata a una nuova strategia della distanza, in grado di preservare la singolarità di ciascuno. Un «vuoto» non nichilistico, che ci rende prossimi e che «costituisce un immenso contenitore di potenziali legami» proprio perché si sottrae all’unico vincolo davvero temibile, quello del potere.
(dal risvolto di copertina di: Arturo Mazzarella, Le relazioni pericolose. Sensazioni e sentimenti del nostro tempo. Bollati Boringhieri)
Denaro & Psiche
- di Marco Belpoliti -
Pensate che il capitalismo si sia imposto schiacciando la nostra volontà? Contrordine compagni. Era già tutto scritto: nel cervello. Così rivela uno studio che da Philip Roth a Sophie Calle fa più di un esempio. Ad arte. Viviamo nella società del disagio. Risentimento, rancore, frustrazione, paura sono i sentimenti più diffusi. Un senso di fallimento pervade le persone insieme al timore di perdere posizioni nella scala sociale, di cadere nella povertà endemica che connota milioni d’individui in Occidente. Invece di produrre conflitti a tutti livelli le persone interiorizzano questo stato di minorità facendone una condizione permanente. Boris Groys, uno dei più acuti studiosi d’estetica, in un seminario sul “capitalismo divino”, la nuova religione della vita quotidiana, per dirla con Marx, ha asserito che il capitalismo “è una società strutturata dall’assenza di capitale e nella quale ognuno aspetta l’investimento, ossia attende la grazia divina sotto forma di sponsorizzazione”. Tutti attenderebbero “il denaro necessario per diventare qualcos’altro” ( Il capitalismo divino, Mimesis). Questo sarebbe il risultato del nuovo capitalismo che ha asservito le persone al proprio potere in modo totale interiorizzando la condizione di dipendenza ben più dei sistemi economici e sociali del passato. Il fulcro sarebbe la relazione tra gli individui fondata sul credito e sul debito reciproco. Ma è davvero così, davvero tutto questo è l’effetto di un potere esterno, che riesce a ottenere una forma di coercizione volontaria e l’accettazione interiore delle sue regole generali? Arturo Mazzarella, studioso di letterature comparate, ne dubita. Anzi, rovescia questa lettura. In Le relazioni pericolose sostiene proprio il contrario: a generare il turbocapitalismo che ci domina sarebbe il nostro stesso apparato psichico. Da questo “derivano la genesi e, poi, il radicamento delle modalità di produzione e consumo su cui si fonda il finanzcapitalismo”; detto altrimenti, l’economia psichica non sarebbe che l’effetto del nostro stesso apparato psichico che “si configura in base a principi squisitamente economici”. A decretare il predominio assoluto di questa forma sono gli stessi stati affettivi tipici dell’uomo: invidia, gratitudine, depressione, colpa, angoscia e la pulsione sessuale. Sulla scorta della psicoanalisi di Freud, Bion e Lacan, Mazzarella costruisce una cartografia dell’ordine pulsionale che produce l’inarrestabile carica fantasmatica della potenza finanziaria; lo fa analizzando alcuni testi letterari — Cecità di José Saramago, Umiliazione di Philip Roth, La comparsa di Abraham Yehoshua, Cosmopolis di Don DeLillo — e visivi — opere di Nan Goldin, Vanessa Beecroft, Christian Boltanski e Sophie Calle. Rovesciando le tesi del “debito del vivente” (Stimilli), che vede nella seduzione capitalistica l’offerta di godimento e consumo senza fine attraverso la possibilità di un credito concesso agli altri, e dunque a sé stessi, Mazzarella propone un’antropologia che si realizza nell’estinzione simbolica del debito reciproco. L’immagine pregnante è offerta da Sophie Calle. Mentre la madre era in vita un sentimento di reciproca sopraffazione legava lei e Sophie, una forma di debito, sensi di colpa e tentativi di dominio. Dopo la scomparsa della donna l’artista decide di recarsi al Polo Nord, per compiere il viaggio che la madre avrebbe sempre desiderato. Lì sotterra nel ghiaccio alcuni gioielli della donna e una sua fotografia. In questo gesto Mazzarella vede compendiato il capovolgimento dell’economia finanziaria che abita la nostra psiche: abolire ogni debito e trasformarlo in “un credito verso sé stessi”. Sarà davvero possibile?
- Marco Belpoliti - Pubblicato su Repubblica del 10/12/2017 -
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