martedì 21 agosto 2018

Una risata, ma coi denti neri!

grottesco

Sfuggente per natura a ogni definizione razionale, il grottesco si propone – già al suo primo apparire – come negazione delle proporzioni e trasgressione di una narrazione codificata del reale e dell’ideale.
I “grilli” – quelle inquietanti presenze ibride antropo-zoo-fitomorfe che la mano dei copisti medievali disegnava nei manoscritti tra le linee del testo – ritornano nella modernità come fantasmi dell’immaginario. Impossibile da contenere all’interno di un solo genere o di un solo linguaggio, il grottesco manifesta una potenza arcaica in primo luogo basandosi sul forte impatto visivo della metamorfosi, della stilizzazione, della forzatura, della caricatura, infine della rappresentazione – dalla fiaba alla fantascienza – del mostro, dell’automa e dell’alieno, eccezioni nella norma del creato e nell’ordine costituito dall’uomo.
La sede del corpo è indicata dal grottesco come il terreno di uno scontro tra livelli logici e politici inconciliabili che non sempre possono risolversi nell’esplosione liberatoria del riso, rimanendo sospesi tra grido, gesto gratuito e follia, secondo quella tendenza alla teatralizzazione che determina l’individuazione immediata di figure e parole del grottesco, dal carnevale alla scena borghese al teatro dell’assurdo.
Linea di frontiera tra arti visive e letteratura, il grottesco predomina in quei movimenti – dal Barocco al Romanticismo, dall’Espressionismo al Postmoderno – in cui l’evidenza della crisi delle aspettative della ragione genera la contrapposizione di un’estetica del brutto refrattaria a ogni possibile appropriazione ideologica e apportatrice di una frattura vertiginosa e insanabile.

Tutto nella mia tragedia è stato orribile, mediocre,
repellente, senza stile. Il nostro stesso abito ci rende grotteschi.
Noi siamo i pagliacci del dolore.
Siamo i clown dal cuore spezzato.

Oscar Wilde

Tra il grottesco e l’orrendo
non c’è che un passo.

Arthur Conan Doyle

(dal risvolto di copertina di: Carlo Bordoni, Alessandro Scarsella, "Guida al Grottesco", Odoya)


Caccia al grottesco, l'inafferrabile
- di Francesco Cevasco -

Quante volte abbiamo usato a sproposito la parola «grottesco»? A nostra giustificazione c’è il fatto che questo concetto è così sfuggente, inafferrabile, viscido e malizioso da confondersi con mille altre categorie dell’estetica. Brutto, comico, sublime, kitsch, volgare, deridente, eccessivo, disarmonico, grandguignolesco, mostruoso, osceno, blasfemo. Forse di tutto un po’ o forse nulla di tutto ciò.
Per fortuna adesso arriva questa Guida al grottesco di Carlo Bordoni e di Alessandro Scarsella che mette ordine nel disordine mentale del grottesco (Odoya editore). Centinaia di grottesche immagini accompagnano i diciassette brevi saggi che compongono la guida.
Gli autori sono due intellettuali poliedrici che utilizzano anche i contributi di altri esperti in materia. Compreso il vecchio Victor Hugo di cui ripubblicano Il manifesto del grottesco del 1827. «Eccovi preso sul fatto! — scriveva il maestro prevedendo le parole dei suoi critici — Dunque del “brutto” voi fate un tipo d’imitazione, del “grottesco” un elemento dell’arte!». Hugo risponde convintissimo: «Sì, certo, ancora sì e sempre sì!». E qui siamo nel cuore del grottesco inteso come arte del «brutto».
Ma il brutto non basta. Ci vuole pure il riso. Scrive Bordoni facendo riferimento anche a Karl Rosenkranz: «Il riso è determinante: scardina la sicurezza del bello, ne mette in crisi le certezze, prepara — da mediatore disincantato e provocatore — l’ingresso autorizzato del brutto nella società moderna. Il suo modello è il grottesco: un aggettivo definito “di effetto tragicomico, fondato su una voluta sproporzione fra gli elementi costitutivi di un momento drammatico” (Devoto-Oli). L’origine proviene da “grottesca”, un tipo di decorazione parietale con elementi figurativi (umani e animali) deformati in maniera fantastica uniti a motivi ornamentali, floreali, vegetali e arabeschi. Tale specialità decorativa fu rinvenuta nel Cinquecento nella Domus Aurea neroniana, i cui resti erano definiti impropriamente “grotte” e, da qui, “grottesche” le decorazioni che l’abbellivano. Per estensione il termine è stato utilizzato per definire ciò che è abnorme, falsato artificialmente, deformato, tale da suggerire un effetto ridicolo, frammisto a un senso di repulsione e d’inquietudine».

Ma non basta ancora.
Si potrebbe aggregare al grottesco il «sublime» (altra definizione che spesso usiamo a sproposito). Ma si rischia di fare confusione: «Il grottesco, pur se ha tratti comuni col sublime (la disarmonia, il terrore, la tragicità) non può identificarsi con esso. Principalmente per una differenza fondamentale: l’assenza di riso. Il sublime è un’emozione di tutto rispetto, non contempla il comico, non ammette la derisione. Il grottesco è un elemento incompatibile, laddove il brutto, il miserevole divengono protagonisti».
E allora, che altro? Anche un critico del grottesco, uno che lo condannava, uno a cui, ovviamente, il grottesco faceva paura come Walter Scott nel 1827 (in contemporanea quindi con la dichiarazione d’amore al grottesco di Victor Hugo) ne definisce i caratteri peculiari: «Lo spaesamento dalla realtà, il sogno, il soprannaturale come innaturale, l’alienazione, la qualità spettrale del paesaggio, l’intreccio di elementi macabri e umoristici». Che non contrasta molto, in fondo, con il motto di Hugo: «Il bello non ha che un tipo: il brutto ne ha mille». E poi la soluzione finale: «Il brutto è il bello».
Nella guida di Bordoni e Scarsella — ma chiamarla guida è molto riduttivo — vagano come coriandoli autori e personaggi che hanno contaminato la storia dell’arte, anzi delle arti, sempre in nome del grottesco: Hugo appunto, Bunuel, Belzebù, Poe, Burroughs, Petronio, Dracula, Swift e mille altri. Come tanti sono i contesti in cui il grottesco si agita. Nel teatro e nel cinema con gli esempi di La duchessa di Amalfi di John Webster o Peccato che sia una puttana di John Ford o Titus Andronicus di William Shakespeare in cui «insieme all’elemento tragico propriamente detto o alla dimensione dell’orrore, con il loro corollario di morti violente, mani mozzate e corpi cucinati come pasticci di carne d’agnello, persiste costante un elemento grottesco molto forte e compare un rilevante numero di personaggi; situazioni grottesche... un pugno allo stomaco, una visione da shock».
È ovvio che per lo sfuggente grottesco la storia non finisca qui. La canaglia grottesca si annida dappertutto: nell’antico e nel moderno, nel barocco e nelle maschere di carnevale, nel circo e nel cinema, nel corpo e nelle fiabe, negli incubi e nel porno, nella poesia e dentro i tram, in una risata ma con i denti neri: tutto raccontato nel libro di cui abbiamo appena parlato.

- Francesco Cevasco - Pubblicato sul Corriere del 12 gennaio 2018 -

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