venerdì 3 agosto 2018

Frutta marcia

nazificazione

La nazificazione di Israele e della Palestina
- di Nicolas Lebourg -

Quante volte, in quante manifestazioni, abbiamo sentito gridare degli slogan che equiparano la violenza israeliana contro i palestinesi a quella del Terzo Reich nei confronti degli ebrei d'Europa? A livello di propaganda, l'ultimo episodio del conflitto israelo-palestinese equivale a tutti gli episodi precedenti. Dappertutto nel mondo, in tutte le manifestazioni a favore dei palestinesi, in tutti i forum su Internet, nelle parole degli uomini politici di ogni tendenza, ad imperversare è la medesima confusione storica: l'equiparazione di Israele al Terzo Reich, l'equiparazione del sionismo al nazismo.
Dotato di un'inattendibilità storica sicuramente confusa, un simile argomento ha tuttavia dimostrato la sua capacità di colpire a partire proprio dalla sua stessa diffusione. Non è sufficiente, quindi, limitarsi a spiegare la differenza assoluta fra i due fenomeni: si tratta qui di esporre da dove provenga questo argomento della propaganda, e di comprenderlo.

Propaganda strategica e confusione ideologica
L'origine dell'argomentazione è tristemente logica: è uno dei frutti marci della Guerra Fredda, l'Unione Sovietica desiderosa di destabilizzare Israele, che è alleata degli Stati Uniti. Nel corso del processo Eichmann (1960-1961), la stampa sovietica equipara Israele ed il Terzo Reich.
Ed è in un pamphlet sovietico del 1963, "Judaism bez prikras" [Ebraismo senza abbellimenti], che vengono rappresentati dei soldati israeliani che indossano svastiche ed elmetti chiodati. Fra il 1967 ed il 1978, vengono editate 180 pubblicazioni che sono sia antisemite che antisioniste, fra cui una cinquantina di tesi universitarie, oltre a diverse migliaia di articoli che escono sulla stampa ufficiale. Nel 1969, "Prudence: Sionisme!" [di Iouri Ivanov, Mosca 1969], che fantastica sull'alleanza fra sionisti e nazisti, e sull'equivalenza dottrinale fra sionismo e nazismo, viene stampato in 500.000 copie.
I nazionalisti arabi assumono questa equiparazione (ebrei = sionismo = nazismo) prendendola in prestito dalla propaganda sovietica. Di questo ne è un esempio, nel 1964, la carta dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, dove viene stigmatizzato il sionismo «colonialista, aggressore ed espansionista, razzista e separatista a partire dalla sua struttura, fascista nei suoi obiettivi e nei suoi mezzi». L'ONU offre legittimità a quelle che sono le formulazioni più ambigue, adottando il 10 novembre 1975 la risoluzione 3379 (che verrà poi abrogata il 16 dicembre 1991... una volta finita la Guerra Fredda) la quale «ritiene che il sionismo sia una forma di razzismo e di discriminazione razziale». Nel 1979, la conferenza dei non allineati, all'Avana, va ancora più lontano nell'equiparazione con il nazismo, arrivando a considerare il sionismo come un «crimine contro l'umanità».
Tuttavia, in Francia, in origine è l'estrema sinistra a portare avanti con zelo l'accusa, ancor più degli stalinisti; mentre l'estrema destra francese è ampiamente pro-Israele. Da un lato, il terzomondismo porta infatti ad allinearsi con le argomentazioni palestinesi, mentre dall'altro lato porta molto ingenuamente a dimenticare che lo spostamento della lotta di classe verso la geopolitica sia stato l'ABC del pensiero fascista (l'opposizione fra «nazioni proletarie» e «nazioni borghesi», praticato da Mussolini).
Il tema anti-sionista consente perfino la sacra unione fra gli estremisti di sinistra francesi: numerose organizzazioni maoiste e trotzkiste, in occasione della guerra del Kippur (1973) firmano un volantino comune contro il «tentativo di sterminio della popolazione palestinese e libanese» chiamando alla «Resistenza», in quanto «le truppe sioniste proseguono la loro guerra di sterminio contro l'esistenza stessa dei popoli palestinese e libanese», mentre «i circoli sionisti europei» mettono in atto le loro manovre per sostenerli... Si può arrivare a comprendere come questo stile abbia potuto sedurre l'estrema destra. Da questo momento in poi, per molti intellettuali mediatici diventa evidente che il fatto che la sinistra sarebbe la responsabile della diffusione di un neo-antisemitismo non è comunque una semplificazione su larga scala a scopo polemico. In realtà, a questo punto della nostra narrazione, la logica della creazione del discorso è passata all'estrema destra.

Una costruzione politica
In grandissima parte, fino al 1973, l'estrema destra francese è a favore del sionismo. In alcuni casi, si tratta di volersi sbarazzare dell'ebreo francese, ma assai spesso si tratta di ammirazione per il nazionalismo israeliano. Gli aiuti, provenienti da Israele, per i sostenitori dell'Algeria francese, hanno contribuito a rafforzare l'amicizia. Durante la Guerra dei Sei Giorni (1967), Xavier Vallat, ex commissario per gli affari ebraici, e lo scrittore antisemita Rebatet - il cui ultimo articolo, scritto sotto l'occupazione, si intitolava «Fedeltà al Nazional Socialismo» - si sono schierati con Israele. 
Nelle file degli anti-sionisti, quindi, non si trova quasi nessuno fra gli scampati all'Epurazione, né quelli che sono i più nazisti fra i giovani nazionalisti. Questi ultimi si ricordano che nel "Mein Kampf", Hitler si rifiuta di fare differenza fra antisionismo ed antisemitismo, asserendo che uno Stato ebraico sarebbe solamente una base territoriale per un complotto ebraico mondiale. In seguito alla creazione di Israele, il cognato di Brasillach, Maurice Bardèche, fonda il primo gruppuscolo antisionista e pubblica la prima opera negazionista. Ma è il suo allievo François Duprat a tracciare la linea di frattura. In un opuscolo essenziale, scritto nel 1967, unifica, facendone un'unica cosa, antisionismo, negazionismo ed antisemitismo.
Per la prima volta, il negazionismo viene qui legato all'antisionismo, e legittimato dall'antimperialismo e dall'anti-razzismo. Qui, Duprait non smette mai di descrivere la totalità degli ebrei come solidali con il sionismo e con Israele. Li esclude quindi dall'insieme nazionale francese e disegna i tentacoli della cospirazione ebraica mondiale, che viene qui riciclata come «sionismo internazionale». Qui, l'antisionismo non è separabile dall'accusa della perpetuazione di un genocidio contro gli ebrei, e dal negazionismo. Il sionismo, essendo destinato a riguardare tutti gli ebrei, diviene così il miglior strumento di un processo di delegittimazione antisemita, in quanto permette di rendere peggiore la condizione degli ebrei sulla base di una razionalità politica e non razziale, e quindi permette di eludere l'ombra accusatrice dell'ebreicidio - meglio ancora: di rivolgerla contro.
La denuncia del martirio palestinese è una delle armi più affilate di questo discorso: fino a quel momento, i negazionisti si erano interessati solamente alla denuncia delle sofferenze dei tedeschi nel dopoguerra. Mentre l'occupazione era ancora così vicina, l'argomento non avrebbe potuto avere una portata considerevole. Probabilmente sarebbe servito solo a marchiare gli estremisti di destra come anti-patrioti, cosa che avrebbe avuto un disastroso effetto perverso. Fare notare che c'è un vizio originale, oramai evidente, nello slogan «una terra senza popolo per un popolo senza terra», è una mossa assai più abile.

Ritornare alla ragione
Perciò non c'è niente di originale nell'incontro avvenuto fra Dieudonné e Faurisson, durante il quale il secondo espone l'argomento per cui la repressione del suo negazionismo è equiparabile a quella di un palestinese, non c'è niente di probatorio  o di nuovo nelle sue catene di email che ci sfiniscono con immagini e slogan che nazificano Israele. Che cosa fare di fronte a questa persistenza e a questa egemonia di una propaganda cominciata da uno Stato, l'Unione Sovietica, che è stato spazzato via dalla storia?
Il sostegno ai palestinesi così come quello ad Israele deve farla finita con questo atteggiamento che consiste nell'appropriarsi della seconda guerra mondiale. Qui non ci sono nuovi nazisti, né Hamas né Tzahal [Forze di Difesa Israeliane] sono paragonabili al fenomeno nazionalsocialista. Né l'islamismo né il sionismo sono ideologicamente vicini al nazismo. Ci sono crimini di guerra, non c'è un genocidio (vale a dire, se ne parliamo con cognizione, lo sterminio di un gruppo attuato dal potere omicida attraverso l'assassinio di ciascuno dei membri che lo compongono).
Lo sterminio degli ebrei d'Europa non è il parametro della misurazione delle vittime. Non c'è alcuna ragione di comunitarizzarlo e dargli un senso mistico chiamandolo «Shoah» («la Catastrofe», in ebraico) dichiarandolo inintellegibile. Al contrario: l'ebreicidio va ricondotto alla sua peculiarità storica per poter essere compreso in sé, e non per essere manovrato dai dei campi che sono importanti ai fini del conflitto medio-orientale. Bandire dal suo discorso ogni meccanismo che consiste nel travestire la nostra attualità da storia della seconda guerra mondiale diventa un'urgenza civica.

- Nicolas Lebourg - Pubblicato il 9/5/2010 su Alterohobie -

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