lunedì 6 agosto 2018

Liturgia di Morte

terrore

Terrore ad alta velocità
- di Robert Kurz -

Le famose profezie della Bibbia sono auspici che il destinatario, per sua stessa natura, non è in grado di prendere in considerazione: a causa di una necessità interna, è il suo destino ad obbligarlo ad insistere sulle proprie azioni e alla fine a soccombere, nonostante tutti gli avvertimenti. Nella storia del capitalismo, c'è tutta una serie di questi presagi, i quali, nella forma di catastrofi territoriali, ma significative, toccavano i contemporanei e venivano considerate come un segno della "hybris" della modernità. Nel 1755, il terremoto di Lisbona fece tremare l'ottimismo storico degli illuministi; nel 1912, insieme al Titanic - il transatlantico considerato "inaffondabile", quello che andò a picco fu anche l'ottimismo tecnologico della fine del XIX secolo. Ma se nel 1755 si era trattata di un'autentica catastrofe naturale, la quale, in quanto potere alieno sordo alla società, aveva offuscato le speranze in una nuova ragione sociale, la catastrofe del 1912 era già legata alle creazioni della stessa società moderna, e ad essere frustrata era stata la speranza in una redenzione proveniente dalla tecnologia, dopo che la ragione sociale della modernità aveva mostrato da tempo il suo lato sordido. I presagi del 1755 e del 1912 erano stati ricordati con insistenza nella letteratura ad hoc, ma le istituzioni dominanti non si risolsero mai a cambiare strada rispetto allo sviluppo sociale. A quanto pare, la modernità traccia la sua orbita in maniera altrettanto indifferente di quello con cui lo traccia una cometa, senza la minima riflessione, così come fanno quei grappoli di polvere e ghiaccio che attraversano lo spazio. Dopo il naufragio del Titanic, i presagi tecnologici vennero mascherati da catastrofi storiche e sociali dell'epoca delle grandi guerre, e vennero relegate in secondo piano. Questa è stata una delle ragioni perché sia durato meno l'impatto provocato dal disastro del 1937 con il dirigibile tedesco Hindenburg, il quale portava a bordo numerosi passeggeri che rimasero bruciati, in un inferno di fuoco, sul campo di aviazione nordamericano di Lakehurst. Ora, se la collisione del Titanic era avvenuta con un oggetto di natura extra-sociale, sotto forma di un iceberg, per quanto riguarda il caso della prima catastrofe di aviazione civile si trattava di un inconveniente nel meccanismo interno della tecnologia del rischio. Dall'irruzione del potere naturale nel bel mezzo della società, attraverso la collisione della tecnologia con la natura esterna, fino al collasso interno alla tecnologia stessa, che solamente sul piano puramente fisico ha qualcosa a che vedere con la natura - una simile evoluzione degli incidenti paradigmatici mostra come la società divenga la sua propria catastrofe naturale, che ormai non ha più bisogno di terremoti o di uragani.
Oggi, nella terza rivoluzione industriale, questa tendenza si aggrava ancora di più: le catastrofi tecnologie si concentrano a partire dagli inizi degli anni '80, e sono responsabili per un numero maggiore di morti e feriti di quanti sono quelli delle "autentiche" catastrofi universitari e dei conflitti militari messi insieme. In termini globali, quindi, non c'è stato niente di straordinario quando, all'inizio del giugno di quest'anno, un Intercity Espresso tedesco, che viaggiava a più di 200 km.h, ha deragliato alla periferia del villaggio Eschede. Le immagini dei vagoni totalmente distrutti, delle lamiere contorte, hanno fatto il giro del mondo. Fino ad oggi, il bilancio è stato di cento morti e di innumerevoli feriti, in quello che è il più grande incidente della storia ferroviaria tedesca. E sebbene all'estero, a fronte dell'inflazione delle catastrofi della tecnologia e dei mezzi di trasporto, la notizia di questo incidente è stata solo una fra le tante all'ordine del giorno. in Germania lo shock ha avuto profonde ripercussioni. C'è da dire che, innanzi tutto, non è stata la compassione per le vittime ad innescare questo shock, bensì una duplice amara constatazione. In primo luogo, da tempo l'industria ferroviaria tedesca minaccia di perdere la sua posizione internazionale di rilievo, come ha denunciato la rivista  "Wirtschaftswoche", ed insieme a questo sono minacciate anche le opportunità di esportazione ed i posti di lavoro. In secondo luogo - e questo forse è il punto più importante - la popolazione tedesca appare essere così tanto spaventata perché, finora, era scontato che simili catastrofi accadono solo agli "altri", per coloro ai quali la tecnica non è così solida e dove il personale è meno disciplinato - nei paesi mediterranei e nel terzo mondo. In Germania, pensa quindi la mentalità volgare e sciovinista, l'acqua scorre in maniera affidabile fino allo scarico, se apri il rubinetto, gli aerei atterrano senza intoppi e i treni sono sempre puntuali e sicuri. La catastrofe di giugno ha distrutto questo compiacimento tecnico ed amministrativo allo stesso modo in cui ha distrutto i vagoni dell'Intercity Espresso. Ma una simile fatalità oltrepassa le frontiere dell'illusione tedesca. È un presagio per tutto il capitalismo "high-tech" ed il terrore della sua alta velocità.

La logica della distruzione
Il campo di distruzione e di cadaveri di Eschede non è stato, assolutamente, il risultato del caso e del destino cieco, a cui far seguire solo il silenzio ed al cordoglio. Piuttosto, questa catastrofe è il frutto della logica di una politica capitalistica dei trasporti , che è in atto ormai da tempo. In origine, la ferrovia è stata una delle tecnologie madri del capitalismo industriale. Alla fine del XIX secolo, però, essa cadde in disgrazia, insieme agli investitori, poiché era diventato chiaro che - a causa degli elevati investimenti e del lungo periodo di tempo che si rendeva necessario per recuperate tali investimenti - si prestava a diventare uno sfruttamento redditizio, e non certo come investimento privato, solo ad un altro costo.
Fu così che lo "spirito" capitalista concepì la gloriosa idea di vendere, non il mero utilizzo del trasporto, ma il mezzo stesso di trasporto stesso: a ciascuno la sua propria locomotiva, sotto forma di un'automobile!
Tale forma di trasporto delle persone e delle merci corrisponde perfettamente alla mentalità degli individui astratti, isolati gli uni dagli altri. Dalla rete dei trasporti, della quale si occupava lo Stato, e le città che si deformarono per poter contenere frotte di automobili, lo spazio pubblico venne ripartito e distrutto in nome della mobilità privata. Ed è su questa rete di strade, non più unita da rotaie, ma governata solamente dal traffico individuale, che da allora si svolge un'evidente Terza Guerra Mondiale, che, mese dopo mese, anno dopo anno, esige ecatombi di vittime.

L'immolazione programmata
Anche i bambini, che non si sono ancora abituati alla "condotta" di questo sistema di trasporto separato, vengono immolati sull'altare di questo attore principale dell'economia, l'automobile, con tutta quella spregiudicatezza tipica del calcolo del rischio, La mobilità privata ha assunto quello che è il carattere di un fine tautologico irrazionale, e quindi rispecchia così (così come fanno in generale tutte le forme di consumo di massa) anche il fine tautologico di tutto questo modo di produzione.
La ferrovia, che ora si trova su un piano secondario, nella maggior parte dei paesi si è convertita in un sistema di trasporti per gli spossessati, sovvenzionato dallo Stato. Anche la sua partecipazione al trasporto di merci è crollata in maniera drastica, in modo che le imprese di trasporto su gomma possano infestare il paesaggio e, al contrario delle ferrovie, utilizzano le strade senza alcun costo aggiuntivo, pesando in maniera irresponsabile sui loro autisti, con salari ridotti ed ore di lavoro straordinario non pagato.
Le ferrovie statali non possono competere con simili metodi. Il capitalismo del «tutto per l'automobile» ha reagito con un orgia di rottamazioni: oggi l'Europa si trova ad esser piena di linee ferroviarie deserte e di stazioni abbandonate, che sono arrivate perfino ad essere soggetti espositivi per delle mostre. La maggior parte degli abitanti dei paesini non ha più alcun mezzo di trasporto pubblico. Nelle altre regioni del mondo, che non sono mai arrivate ad avere una rete ferroviaria così densa come quella europea, l'evoluzione della mobilità capitalistica si è concentrata soprattutto sull'automobile e, per la classe superiore, sull'areoplano.
Sulla scia della campagna neoliberista, quello che è rimasto delle ferrovie, è stato quasi totalmente privatizzato. E questo significa privilegiare in maniera incondizionata il principio di redditività. Un modo per farlo, consiste nel polverizzare l'amministrazione delle ferrovie: la manutenzione non redditizia dei binari, dei ponti e dei tunnel viene assegnata alle amministrazioni lovali ed ai comuni - di solito, a scapito delle opere sociali. Quanto alla ferrovia, essa viene ceduta alle compagnie private, secondo il vecchio slogan: socializzazione dei costi, privatizzazione dei profitti! In alcuni tratti centrali, treni di lusso climatizzati attraggono un pubblico con i soldi in tasca, il cui gusto dà la forma alla decorazione dei vagoni in maniera analoga a ciò che avviene nella sala d'attesa di un dentista.
Il treno dev'essere basso e veloce, poiché «il tempo è denaro». Il funzionalismo astratto delle persone in transito, quasi sempre in servizio, rimuove qualsiasi interesse per il viaggio in sé: le distanze devono essere coperte in un modo che sia il più breve possibile. È da questo modo di pensare che è nato ICE [acronimo di InterCityExpress], affinché il treno ad alta velocità possa competere con l'aereo. I percorsi dell'ICE non sono più in linea con il paesaggio: vengono tracciati quasi in linea retta, come se intersecassero in maniera indifferenziata lo spazio aereo.
Se lo compariamo alle analoghe tecnologie della Francia e del Giappone, il «modello ICE» è stato venduto all'opinione pubblica come se esso integrasse in sé redditività, velocità e sicurezza. L'ICE è stato promosso agli occhi dell'imprenditoria come se fosse una ragazza e, nella relazione fra treno e automobile, viene insinuata un nuovo cambiamento di posizioni: il traffico pesante delle strade, con le sue infinite congestioni, verrebbe lasciato sempre più alla classe medio-bassa; il treno, a sua volta, antica cenerentola, sale fino a conquistare la posizione di «Hilton» della mobilità per i gruppi sociali più sistemati, nella sua presunta versione di lusso ad alta velocità, e ristretto a quelli che sono gli assi centrali delle linee nazionali e continentali.
L'affermazione secondo la quale l'efficienza imprenditoriale, al contrario della disorganizzazione degli statali, garantirebbe la totale sicurezza dei treni. si è rivelata essere fallimentare. Quando i mercati finanziari offrono un rendimento del 20%, la consegna suprema delle imprese è quella di abbassare i costi, a qualsiasi prezzo. Con i salari in caduta, il personale è stato ridotto fino ai limiti del possibile.
Inoltre, ha avuto inizio una ristrutturazione dell'intera rete ferroviaria, e, per tagliare le spese, un numero crescente di quelli che erano i suoi compiti è stato delegato ad altre imprese.
La «cultura della sicurezza» è stata sostituita da un'illusoria «cultura della confezione»: mentre l'armamentario elettronico per il presunto comfort del passeggero riempiva i vagoni, l'imprenditoria rifiutava espressamente le complesse tecniche di sicurezza suggerite dagli ingegneri, a causa dell'aumento dei costi. Tali tecniche includevano un sistema per la supervisione dei cerchioni in acciaio rinforzato. Sfortunatamente, è stato uno di questi cerchioni (forse a causa dell'affaticamento del materiale) che si è staccato ed ha causato l'incidente di Eschede.
La catastrofe, pertanto, era programmata, proprio a causa di quella «efficienza» imprenditoriale di cui tanto si parla. Già prima, le ferrovie, ridotte al limita, avevano dimostrato che venivano fatte loro delle richieste che erano al di sopra della loro capacità, ed il sistema tecnico, polverizzato dalla «esternalizzazione», aveva fallito più volte. A Berlino, in occasione del cambio degli orari dei treni, tutto il sistema era entrato in collasso, i comandi e le segnalazioni elettroniche avevano smesso di funzionare, e i treni erano rimasti in attesa, fermi a metà percorso. Incerti, i macchinisti non erano riusciti ad evitare il panico. Ma il treno «redditizio», con personale sempre più ridotto al lumicino, sottopagato e demotivato, continuerà ad aumentare la sua velocità. La cultura capitalistica dell'alta velocità dev'essere messa in discussione, così come dev'essere messo in discussione l'assoggettamento del trasporto pubblico ai criteri della massimizzazione dei profitti dell'impresa privata.

La manciata di sangue
Quindi possiamo star sicuri che il futuro del «turbocapitalismo» ci riserva altre catastrofi tecnologiche statisticamente calcolate. La «società mobile» esige, ogni tanto, la sua «manciata di sangue», ha scritto, in maniera impassibile il giornale economico tedesco "Handelsblatt". Su una simile affermazione, probabilmente sarebbero stati d'accordo la maggior parte dei passeggeri di prima classe i cui corpi sono stati gravemente mutilati in questo incidente dell'ICE. Quello che ci manca, ha argomentato con untuoso cinismo il nettamente liberale "Neue Zürcher Zeitung" [Nuova Gazzetta di Zurigo], è un «arsenale di parole e di gesti» per una «liturgia di morte» che, purtroppo, sono inevitabili. Forse le imprese di trasporto privatizzate dovrebbero solo distribuire ai loro passeggeri dei santini con sopra i versetti consolatori della Bibbia. Questa, almeno, sarebbe una maniera non dispendiosa per chiudere l'argomento.

- Robert Kurz - Pubblicato nel 1998 -

fonte: EXIT!

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