Intervista ad Anselm Jappe
- di "El Viejo Topo", dal dossier dedicato alla decrescita -
Domanda: A che cosa attribuisci l'attuale boom del discorso sulla decrescita?
Jappe: In realtà, la parte di opinione pubblica che attualmente è sensibile al discorso della decrescita, oggi appare essere abbastanza ristretta. Tuttavia, sta crescendo abbastanza. Ciò riflette una presa di coscienza di fronte a quelli che sono i più importanti sviluppi avvenuti negli ultimi decenni: soprattutto il fatto che è evidente che lo sviluppo del capitalismo ci sta trascinando verso una catastrofe ecologica, e che non saranno certamente dei nuovi filtri, o delle automobili meno inquinanti, a risolvere il problema. C'è una diffusa sfiducia a proposito dell'idea che uno sviluppo economico perpetuo possa essere desiderabile, e allo stesso tempo c'è insoddisfazione per quelle critiche del capitalismo che essenzialmente gli rimproverano solo un'iniqua distribuzione della ricchezza ed i suoi eccessi - come la guerra e le violazioni dei "diritti umani". L'interesse per il concetto di decrescita, traduce la crescente impressione secondo la quale la direzione del viaggio che ha intrapreso la nostra società sia sbagliata, almeno da alcuni decenni. E quella che ci troviamo davanti è una "crisi di civiltà", una crisi di tutti i suoi valori, anche al livello della vita quotidiana (culto del consumo, velocità, tecnologia, ecc.). Siamo entrati in una crisi che è simultaneamente economica, ecologica ed energetica, ed il discorso sulla decrescita considera tutti questi fattori in quella che è la loro interazione, anziché voler riattivare la crescita per mezzo di "energie verdi", come propone una parte dell'ambientalismo, oppure quando si propone una gestione diversa della società industriale, come fa una parte della critica erede del marxismo. La decrescita piace, anche perché propone dei modelli di comportamento individuale che possono essere praticati qui ed ora, ma senza che si debba limitare ad essi, ed in quanto riscopre delle virtù essenziali, come la convivialità, la generosità, la semplicità volontaria e il dono. Ma allo stesso tempo attrae anche grazie al suo volto gentile, che riesce a far credere che si possa arrivare ad un cambiamento radicale attraverso un consenso generalizzato, senza passare attraverso antagonismi ed evitando dei duri conflitti. Si tratta di un riformismo che vuole essere autenticamente radicale.
Domanda: come ti poni rispetto al dibattito sulla decrescita? Ti convince la sua analisi e le sue proposte?
Jappe: Il pensiero della decrescita ha indubbiamente il merito di voler rompere con il produttivismo e con l'economicismo, che per molto tempo
hanno costituito la base comune alla società borghese ed alla sua critica marxista.
In generale, la critica profonda del modo di vita capitalistico sembra essere più presente nei decrescitisti piuttosto che, per esempio, nei
sostenitori del neo-operaismo, i quali continuano a credere che lo sviluppo delle forze produttive (in particolare, nella sua forma informatica)
condurrà all'emancipazione sociale. I partigiani della decrescita cercano di scoprire elementi di una società migliore nella vita di oggi - spesso
provenienti dall'eredità delle società precapitaliste, come l'atteggiamento nei confronti del dono. Dal momento che non corrono il rischio, come
fanno altri, di scommettere sul proseguimento della decomposizione di tutte le forme di vita tradizionale e sulla barbarie, che presumibilmente si
prepara ad una miracolosa rinascita come, per esempio, fanno in Francia, la rivista Tiqqun e suoi successori). Il problema consiste nel fatto che
i teorici della decrescita si perdono nella vaghezza per quanto riguarda le cause della dinamica della crescita.
Nella sua critica dell'economia politica, Marx ha già dimostrato che la sostituzione della forza lavoro umana con, ad esempio, l'utilizzo della
tecnologia, riduce il "valore" rappresentato nella merce, e la cosa spinge il capitalismo ad aumentare in maniera permanente la produzione. Sono le
categorie di base del capitalismo - il lavoro astratto, il valore, la merce, il denaro, che non appartengono assolutamente a tutti i modi di produzione, bensì unicamente al capitalismo - a generare il suo cieco dinamismo. Ma al di là del limite estremo, costituito dall'esaurimento delle
risorse, il sistema capitalista contiene fin dall'inizio un suo limite interno: l'obbligo a ridurre - a causa della concorrenza - il lavoro vivente che
costituisce allo stesso tempo l'unica fonte del valore. Da alcuni decenni, questo limite sembra sia stato raggiunto e la produzione del valore "reale"
è stata in gran parte sostituita dalla sua simulazione nella sfera finanziaria. Inoltre, i limiti esterni ed interni hanno cominciato ad apparire in
piena luce e contemporaneamente: intorno al 1970: L'obbligo a crescere è quindi consustanziale al capitalismo. Il capitalismo può esistere solamente
come fuga in avanti e come crescita materiale perpetua per compensare la diminuzione del valore. Perciò, una vera e propria decrescita è possibile
solamente a costo di una totale rottura con la produzione delle merci e con il denaro. Ma in generale i "decrescitisti" arretrano assai prima di
questa conseguenza, che a loro appare essere troppo "utopica". Alcuni di loro hanno sottoscritto lo slogan: "uscire dall'economia". Ma la
maggioranza rimane nel quadro di una "scienza economica" alternativa e sembra credere che la tirannia della crescita sia solo una sorta di equivoco
che potrebbe essere attaccato sistematicamente a forza di dibattiti scientifici che discutono sul modo migliore di calcolare il PIL.
Molti "decrescitisti" cadono nella trappola della politica tradizionale e vogliono partecipare alle elezioni, oppure consegnare petizioni rivolte
ai parlamentari. A volte si tratta di un discorso un po' "snob", quello stesso con cui i ricchi borghesi placano il proprio senso di colpa
raccattando ostentatamente le verdure che vengono scartate alla chiusura del mercato. E se la volontà di eludere la divisione fra la sinistra e la
destra può sembrare inevitabile, oggi bisogna chiedersi perché la "Nuova Destra" abbia mostrato interesse per la decrescita, così come dobbiamo
interrogarci a proposito del rischio di cadere in un'apologia acritica delle società "tradizionali" del Sud del mondo.
In breve, direi che il discorso dei decrescetisti mi sembra più promettente di molte altre forme della critica sociale contemporanea, ma rimane
ancora molto che dev'essere sviluppato, e soprattutto devono perdere le loro illusioni circa la possibilità di addomesticare la bestia capitalista
solo per mezzo della buona volontà.
Domanda: Prima hai menzionato alcuni punti deboli, ed altri positivi, della teoria della decrescita. Ma lo slogan "uscire dall'economia" non testimonia una certa ignoranza riguardo alla difficoltà di creare nel capitalismo delle isole di decrescita? Altre forme di critica sociale contemporanea conoscono i processi contraddittori esistenti dentro le società capitaliste e l'importanza delle lotte sociali, un aspetto che sembra sottovalutato nel discorso decrescitista. Pensi che sia così?
Jappe: C'è una certa follia nel credere che la decrescita potrebbe diventare la politica ufficiale della Commissione Europea, o qualcosa di simile.
Un "capitalismo decrescente" sarebbe una contraddizione in termini, altrettanto impossibile che un "capitalismo ecologico". Se la decrescita non
vuole ridursi ad accompagnare e a giustificare il "crescente" impoverimento della società - e questo rischio è reale: una retorica della frugalità
potrebbe servire ad indorare la pillola per i nuovi poveri (che potrebbero arrivare a dover frugare nel cassonetto della spazzatura) e trasformare
quella che è un'imposizione in un'apparenza di scelta - bisogna prepararsi agli scontri e agli antagonismi. Ma questi antagonismo non coincidono
più con quelli tradizionali, costituiti dalla "lotta di classe".
Un necessario superamento del paradigma produttivistico - e dei modi di vita corrispondenti - troverà resistenza in tutti i settori sociali. Una
parte delle attuali "lotte sociali" in tutto il mondo, è essenzialmente la lotta per l'accesso alla ricchezza capitalistica, senza mettere in
discussione il carattere di questa presunta ricchezza. Un lavoratore cinese, o indiano, ha mille ragioni per rivendicare un salario migliore, ma
nel momento in cui lo riceve, con ogni probabilità si comprerà un'automobile, e contribuirà così alla "crescita" e alle sue conseguenze nefaste
rispetto alla sfera ecologica e sociale. Speriamo che le lotte per migliorare la situazione degli sfruttati e degli oppressi si sviluppino
simultaneamente, insieme agli sforzi per superare il modello sociale fondato su un consumo individuale eccessivo. Forse certi movimenti contadini
nel Sud del mondo si muovono in questa direzione, soprattutto se recuperano alcuni elementi delle società tradizionali, come la proprietà
collettiva della terra, oppure l'esistenza di forme di riconoscimento dell'individuo che sono in relazione con la sua fortuna sul mercato.- Pubblicato il 20 agosto 2018 -
fonte: decrecimiento. Salir de la adicción jerárquica, poner en el centro la vida
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