martedì 14 febbraio 2023

Una «trappola per gli sprovveduti» !!

Un'altra volta sulle Tesi di Amburgo 
- di Anthony Hayes -

Pubblicato nell'aprile 1962, IS n. 7 segnò la svolta definitiva dell'Internazionale Situazionista verso il progetto che la accompagnerà fino al maggio 1968: il rilancio di un movimento rivoluzionario. Tuttavia, sebbene il settimo numero consolidi una tale svolta, c'è da dire che essa era già in atto da ben due anni. In parte, questo poteva essere visto nelle discussioni sul significato dell'arte, le quali raggiunsero il culmine durante la quinta conferenza del gruppo, nell'agosto 1961. In parte, era il risultato della partecipazione di Guy Debord al gruppo Socialisme ou Barbarie, nel corso del 1960 e del 1961. Le Tesi di Amburgo del settembre 1961 costituivano una risposta a entrambi gli aspetti dell'evoluzione dell'IS. Le Tesi di Amburgo vengono esplicitamente citate, sebbene non vengano rivelati dettagli chiari sul loro contenuto, in due altri testi che fanno parte del n.7 di IS, "Du rôle de l'I.S." (Il ruolo dell'IS) e "L'Étage suivant" (Lo stadio successivo), entrambi di Attila Kotányi. Come scoperto da Thomas Y. Levin nel 1989, le Tesi di Amburgo non sono mai esistite sotto forma di documento finito. Al fine di contestualizzare meglio tutti questi test, ho  pertanto deciso di pubblicare una nuova traduzione della nota di Debord del 1989 sulle Tesi di Amburgo. [*1] Si narra che ai primi di settembre del 1961, Guy Debord, Attila Kotányi e Raoul Vaneigem fossero di ritorno dall'appena conclusa V Conferenza dell'Internazionale Situazionista. Al termine della conferenza, dopo essersi imbarcati in una deriva ubriaca (dérive) nel corso dell'attraversamento del mare di Kattgatt, da Göteborg a Frederikshavn, i tre situazionisti, sulla scia delle acrimoniose discussioni riguardo cosa costituisse esattamente l'attività "anti-situazionista" (e sul perché, nelle attuali circostanze, l'attività artistica ne costituisse una sua sottosezione), si diressero verso Amburgo. [*2] E fu lì, che «in tutta una serie di bar scelti a caso ad Amburgo, nel corso di due o tre giorni all'inizio di settembre del 1961», che Debord, Kotányi e Vaneigem composero le tesi di Amburgo, giustamente chiamate così.[*3] L'impianto argomentativo principale delle Tesi sarebbe poi confluito in altre opere dei situazionisti. Debord, in una sua nota del 1989, sintetizzava in maniera efficace l'inesistente "documento":

«Le "Tesi" formavano le conclusioni, volontariamente tenute segrete, di una discussione teorica e strategica che riguardava l'insieme della condotta dell'Internazionale Situazionista. [...]. Deliberatamente, e con l'intenzione di non lasciare alcuna traccia che potesse essere osservata o analizzata dall'esterno dell'IS, non venne messo per iscritto nulla di questa discussione e delle sue conclusioni. Venne pertanto deciso allora che il riepilogo più semplice di quelle che erano state le sue ricche e complesse conclusioni, poteva essere espresso in un'unica frase: "Ora l'IS deve realizzare la filosofia". E anche questa frase non venne messa per iscritto. In tal modo, le conclusioni furono nascoste così bene che esse sono rimaste segrete fino ad oggi. [...]  Le conclusioni in quel modo riassunte, evocavano una celebre formula di Marx del 1844 (dal suo "Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel"). Con quella formula si voleva dire che, d'ora in poi non avremmo più dovuto attribuire la minima importanza a nessuna delle idee dei gruppi rivoluzionari che ancora sopravvivevano in quanto eredi del vecchio movimento di emancipazione sociale che era stato distrutto nella prima metà del nostro secolo; e che pertanto, per rilanciare al più presto un'epoca di contestazione per mezzo della rivitalizzazione di tutti i punti di partenza fondamentali che erano stati stabiliti negli anni Quaranta del XIX secolo, sarebbe stato meglio contare solo sull'IS. Una volta stabilita, questa posizione di per sé non implicava l'imminente rottura con il "diritto" artistico della I.S. (il quale desiderava debolmente soltanto ripetere o continuare l'arte moderna), ma la rendeva estremamente probabile. Possiamo quindi riconoscere il fatto che le "Tesi di Amburgo" segnarono la fine del primo periodo dell'IS - vale a dire, la ricerca di un vero e proprio nuovo terreno artistico (1957-61) - e inoltre fissarono il punto di partenza per l'operazione che poi avrebbe portato al movimento del maggio 1968 e a tutto ciò che ne seguì.»[*4]

Su tutto questo, ci sono due cose che vanno dette a chiarimento di quanto sopra. In primo luogo, le due esistenti traduzioni inglesi della nota di Debord circa le Tesi di Amburgo, contengono le traduzioni errate di quella che era una frase cruciale contenuta nell'ultimo paragrafo. In queste prime traduzioni, ciò che era «qu'il ne faudrait donc plus compter que sur la seule I.S.» [«d'ora in poi bisognerà contare solamente sull'IS»] diventa «quindi non sarebbe stato più necessario contare solamente sull'IS» (in Reuben Keehan), e «non sarebbe stato più necessario contare sulla IS da sola» (in Not Bored!). Come avevo già notato, le traduzioni di Keehan e di Not Bored hanno entrambe lo sfortunato risultato di rovesciare il significato della frase in questione; parliamo di quella che è senza dubbio la frase cardine per quanto riguarda l'importanza delle Tesi di Amburgo, per il futuro dell'IS. Un simile errore, da sé solo, giustifica una nuova traduzione in inglese. Ritengo però che tuttavia la confusione di questi traduttori precedenti fosse comprensibile. In francese, la frase in questione è particolarmente contorta. Tuttavia, il significato di questa frase visto in relazione all'intero periodo di cui fa parte - la sua coerenza interna, se vogliamo - dovrebbe far riflettere. Per esempio, l'idea che non si sarebbe più dovuto contare solo sull'IS (il modo in cui Keehan e Not Bored hanno reso la frase in questione), chiaramente non consegue dalla precedente dichiarazione di cui è la conclusione, vale a dire, «che d'ora in poi non avremmo più dovuto attribuire la minima importanza a nessuna delle idee dei gruppi rivoluzionari che ancora sopravvivevano in quanto eredi del vecchio movimento di emancipazione sociale che era stato distrutto nella prima metà del nostro secolo». Forse magari i traduttori hanno creduto che Debord stesse parlando del movimento rivoluzionario che si proponeva di rilanciare, piuttosto che del rilancio in sé stesso. Di certo, l'IS non aveva mai suggerito che essi da soli avrebbero costituito un simile movimento rivoluzionario. Tuttavia, Debord non stava sostenendo che l'IS lo avrebbe costituito da sé sola un tale movimento. Piuttosto, stava argomentando  che, dato il modo in cui i contemporanei, artistici e politici, dei situazionisti sono rimasti legati a delle forme di spettacolo artistico e politico che sono state recuperate e «distrutte nella prima metà del nostro secolo», allora è più probabile che questi contemporanei non vengano coinvolti nel rilancio di un tale movimento. Pertanto, a tal fine sarebbe meglio contare solamente sulla IS. Inoltre, nel settimo numero di Internationale Situationniste, i situazionisti sostenevano l'effettiva esistenza delle forze che avrebbero poi costituito un tale movimento rivoluzionario - sia in modo passivo, in termini di peso della crescente proletarizzazione del mondo, che in modo attivo, nella misura in cui elementi di questo proletariato erano spinti alla rivolta, anche se talvolta in modo non proprio "ortodosso". Era a partire da questo che l'IS riponeva molta fiducia in quelli che erano, all'inizio degli anni Sessanta, i segnali di una crescente ribellione giovanile in tutto il mondo industriale avanzato, quale l'aumento degli scioperi "a gatto selvaggio", cosa già ampiamente commentata dai compagni del gruppo Socialisme ou Barbarie [*5]. La questione, dal punto di vista situazionista, era quindi quella di «organizzare un incontro coesivo tra gli elementi di critica e di negazione (sia come prassi che come teoria) che ora si trovano sparsi in tutto il mondo» [*6]. Tuttavia, una tale organizzazione era, per forza di cose, nettamente opposta alle varie concezioni autoritarie e gerarchiche di un'avanguardia politica o artistica che rimanevano care a gran parte dell'estrema sinistra contemporanea, sia marxista che anarchica. Sottolineando questo senso anti-gerarchico, i situazionisti avrebbero poi detto del loro ruolo: «Noi organizzeremo solo la detonazione: l'esplosione libera, deve sfuggire per sempre sia a noi che a qualsiasi altro controllo».[*7]

In secondo luogo, i critici sono stati forse giustamente confusi dal modo in cui Debord, nella sua nota del 1989, parli inizialmente delle Tesi di Amburgo come del «più misterioso di tutti i documenti emersi dall'IS», per poi chiarire che «nulla di questa discussione e delle sue conclusioni è mai stato scritto». Debord parla delle Tesi di Amburgo come di un "documento", facendolo in modo ironico, per sottolineare non solo la sua inesistenza in forma scritta, ma soprattutto per attirare l'attenzione su questa inesistenza che dev'essere vista come la sua qualità più singolare e duratura. Nella stessa nota, Debord scrisse che le Tesi di Amburgo «costituivano un'innovazione sorprendente nella storia delle avanguardie artistiche, che fino ad allora avevano dato tutte l'impressione di essere desiderose di spiegarsi».[*9] La questione, tuttavia, non è mai stata quella di rifiutare di "spiegarsi", come testimonia la continua pubblicazione di Internationale Situationniste.[*10] Debord spiegherà la natura avanguardista delle Tesi, e lo farà sottolineando in una lettera a Vaneigem la natura positiva della verità distruttiva delle Tesi di Amburgo : «Abbiamo deciso di non scrivere le Tesi di Amburgo, per poter meglio imporre in futuro il loro significato centrale riguardo al nostro progetto. Così il nemico non potrà fingere di approvarle, se non con grandi difficoltà»[*11]. Qui si parla delle Tesi come di una trappola per gli sprovveduti. Non c'è dubbio che le loro conclusioni siano entrate a far parte dell'armamento ufficiale dell'IS, eppure sono sempre rimaste in disparte, come un'autorità impossibile cui appellarsi, proprio mentre l'IS invece lavorava duramente proprio per dissuadere coloro che, forse inevitabilmente, avevano iniziato a trattarli come delle autorità. In seguito, il gruppo scriverà in un articolo, che peraltro prende il titolo dalle Tesi di Amburgo:
«È naturale che i nostri nemici riescano a servirsi parzialmente di noi. Non lasceremo loro l'attuale campo della cultura, né ci mescoleremo a loro. I consiglieri da salotto che vogliono ammirarci e capirci tenendosi a una distanza rispettosa, ci raccomandano prontamente la purezza del nostro primo atteggiamento, mentre loro stessi adottano invece il secondo. Rifiutiamo questo sospetto formalismo: allo stesso modo del proletariato, anche noi, nelle condizioni attuali, non possiamo pretendere di non essere sfruttabili; il meglio che possiamo fare, è sforzarci di far sì che qualsiasi sfruttamento comporti il massimo rischio possibile per gli sfruttatori.»[*12]

Rifiutandosi di pubblicare un documento chiamato "Tesi di Amburgo", e non essendo perciò così poi tanto «ansiosi di spiegare Sé stessi», Debord, Vaneigem e Kotányi compivano quindi un gesto circa quello che sarebbe poi diventato così un aspetto centrale del progetto situazionista, nel modo in cui ora lo intendevano.[*13] In IS n. 7, seguendo la scia delle Tesi di Amburgo, stavano scommettendo sul fatto che «la teoria situazionista si muove dentro le persone allo stesso modo in cui si muovono i pesci nell'acqua». [*14] Questa affermazione ha lasciato perplessi non pochi lettori, alcuni dei quali l'hanno ingenerosamente letta come se si trattasse di un'ulteriore prova della megalomania dell'IS. Tuttavia, nel 1961 i situazionisti che si muovevano intorno a Debord, a Vaneigem e a Kotányi stavano cominciando a concepire le particolarità del loro progetto vedendolo come un momento di una contestazione rivoluzionaria più generale, disseminata e diffusa nel tempo e nello spazio. Vale a dire, come un momento delle dinamiche di rifiuto e di ribellione, le quali erano i prodotti reali della diffusione e dello sviluppo dell'alienazione capitalista. Contrariamente a Lenin e a Trotsky, per esempio, e anche a una buona parte della teoria anarchica, l'IS non si considerava portatrice di una teoria della rivoluzione per le classi lavoratrici. Piuttosto, come aveva fatto Marx, sosteneva l'idea che una simile teoria, e prassi emergessero dall'esperienza della natura alienata e conflittuale propria della vita proletaria. Il giovane Marx aveva argomentato, con parole poi riprese e approvate dall'IS, sostenendo che «la teoria può realizzarsi in un popolo, solo nella misura in cui essa è la realizzazione dei bisogni di quel popolo»; ragion per cui, «non basta che sia il pensiero, a sforzarsi di realizzarsi, ma è la realtà stessa che deve tendere al pensiero». [*15] Nella migliore delle ipotesi, l'IS considerava sé stessa come un momento particolarmente coerente della lotta per la teoria condotta dal basso, la cui verità pratica trovava posto non solo nei loro vacillanti esperimenti di urbanistica unitaria e di situazione costruita, ma ancor più negli scioperi selvaggi dei lavoratori e nelle controculture allora fiorenti della gioventù operaia alienata. Contrariamente a molti dei loro contemporanei intellettuali e di sinistra, i situazionisti non ritenevano che l'alienazione stesse venendo migliorata, o rivelata in quanto illusione idealista, ma piuttosto che si stesse ramificando e moltiplicando in tutto il mondo per mezzo dell'intensificazione e dell'estensione della produzione e del consumo capitalistici. La questione, pertanto, non era quella di educare il proletariato grazie all'eterno sacrificio del leader intellettuale, ma piuttosto era quella di partecipare a rendere chiara e coesa quella contestazione fratturata e dispersa che era già in atto. Ecco quindi il senso peculiare situazionista, e non così tanto peculiare situazionista, di "avanguardia". In termini artistici, politici e militari, "avanguardia" era arrivato a designare coloro che erano "in anticipo" rispetto al gruppo principale. Nel gergo leninista e stalinista, indicava il necessario gap esistente tra la coscienza meramente socialdemocratica dell'operaio e la coscienza d'avanguardia del rivoluzionario che avrebbe condotto il lavoratore fino alla terra promessa. Per i situazionisti, la nozione di avanguardia, nella misura in cui essa era arrivata a giustificare semplicemente una gerarchia incontrastata e asservita alla divisione capitalistica del lavoro, aveva cessato di essere di qualsiasi utilità. Come avrebbe detto Debord qualche anno dopo, ne "La società dello spettacolo", «La rivoluzione proletaria dipende interamente da questa necessità secondo cui, per la prima volta, è la teoria, in quanto intelligenza della pratica umana, che deve essere riconosciuta e vissuta dalle masse. Essa esige che gli operai divengano dialettici e mettano in pratica il loro pensiero; ragion per cui esige dagli uomini senza qualità molto di più di quanto la rivoluzione borghese esigeva dagli uomini qualificati che delegava ad attuarla»[16]

Il che non significava che l'IS stesse rifiutando il suo ruolo di avanguardia, ma piuttosto che rifiutava le concezioni dominanti allora che stabilivano che cosa costituisse un'avanguardia politica o artistica. Contro entrambe, Debord sosterrà che «adesso, la prima realizzazione di un'avanguardia è l'avanguardia stessa».[*17] Considerare sé stessa, come "realizzazione", anziché il feticcio dell'oggetto artistico o del manifesto teorico, significava semplicemente porre l'accento sul vero, finale e definitivo oggetto dell'avanguardia. Per l'IS ciò era esattamente la società comunista ,che veniva pertanto vista come la condizione necessaria per la realizzazione del progetto che si era delineato per la prima volta nell'ipotesi di situazione costruita nel 1957. Si trattava pertanto di realizzare il progetto del comunismo (o quanto meno la sua concezione situazionista) e perciò di abolire la necessità di un'avanguardia come l'IS - un'abolizione, oltretutto, che si sarebbe concretizzata nella realizzazione di un movimento rivoluzionario di massa. Come si legge nel n. 8 di IS, l'avanguardia situazionista sarebbe «un partito che si sostituisce a sé stesso, un partito la cui vittoria costituisce simultaneamente  anche la sua sparizione»[*18]. La risonanza e la corrispondenza con il concetto marxiano relativo alla realizzazione e all'abolizione della filosofia è palpabile; come ha sottolineato Debord nella sua nota del 1989 sulle Tesi. La concezione precoce di Marx in cui si parla dell'intersezione tra un progetto filosofico radicale, da una parte, e dall'altra di un proletariato che lotta per superare le rispettive alienazioni e separazioni di entrambi, sul terreno delle desolate lande commerciali di un nascente capitalismo industriale, per i situazionisti diverrà uno di punti centrali di riferimento. Debord riteneva infatti che nella nozione (di Marx) della congruenza tra l'auto-abolizione della filosofia e quella del proletariato, si potesse individuare un processo simile a quello delle varie avanguardie artistiche del XIX e XX secolo, le quali sembravano muoversi inesorabilmente verso la progressiva distruzione della verità estetica e artistica tradizionale. Ed è qui, nella linea artistica dell'IS, che si possono forse trovare le anticipazioni formali per le Tesi di Amburgo, il «culmine dell'avanguardismo» come le ha definite Debord. Allo stesso modo in cui il Comte de Lautréamont e Stéphane Mallarmé avevano annunciato e celebrato il naufragio del linguaggio e della poesia, rispettivamente in "Les Chants de Maldoror" e in "Un coup de dés jamais n'abolira le hasard", così come Kazimir Malevich si era soffermato sull'abisso rappresentativo della distruzione dell'oggetto artistico nel suo dipinto "Bianco su bianco", e come André Breton intravedeva il meraviglioso nel grigiore dell'arte quotidiana e dell'alienazione, anche Guy Debord, Raoul Vaneigem, Attila Kotányi e Alexander Trocchi nelle Tesi si spingevano ai limiti dell'espressione possibile nella prigione della merce e delle sue varie alienazioni. Manifestare l'anti-manifesto, e non lasciare ai posteri nient'altro che la memoria sbiadita e fallibile legata al passaggio di poche persone nel corso di un'unità di tempo piuttosto breve.

Da giovane lettrista, Debord si era proposto di distruggere il cinema, realizzando un film in cui l'eliminazione lettrista dell'immagine cinematografica veniva portata fino all'estremo. Nel suo film, "Hurlements en faveur de Sade" (1952), tutte le immagini erano state eliminate, in modo da lasciare durante la proiezione uno schermo vuoto, variamente bianco o nero a seconda dei dialoghi lasciati a scandire occasionalmente gli 80 minuti di durata del film. Qualche anno dopo, reagendo contro le tendenze nichiliste del tempo in cui era lettrista, nell'Internazionale Lettrista, Debord arrivò a sostenere che la futura Internazionale Situazionista avrebbe dovuto costituire «un passo indietro» rispetto a una tale «opposizione esterna» all'arte.[*19] Per Debord, il problema non era mai stato quello di rientrare nel campo artistico sotto la bandiera dell'IS, ma piuttosto di indagare sui possibili usi cui le pratiche artistiche avrebbero potuto essere destinate in modo da poter sviluppare l'ipotesi situazionista della situazione costruita. Avendo sbattuto sempre più spesso contro i limiti di un simile uso sperimentale tra il 1957 e il 1961, Debord e la sua cerchia forzarono la questione, allontanando l'IS dal pantano artistico in cui era caduto per meglio tracciare le nuove acque di una pratica d'avanguardia che doveva essere allo stesso tempo politica e artistica; e lo fece nella misura in cui si proponeva, contemporaneamente, di superarle entrambe. Tuttavia, non si trattava di un ritorno ai giorni inebrianti del nichilismo letterista. Di questo, le Tesi di Amburgo ne sono forse la prova più singolare. Quando Debord ne parlò come del «testo [più] misterioso e anche più formalmente sperimentale della storia dell'IS» [*20], il suo riferimento non era più all'impasse della distruzione formale che aveva affrontato nel suo film "Hurlements en faveur de Sade". Piuttosto, le Tesi di Amburgo, pur incarnando la distruzione della forma, ponevano la positività al centro del progetto situazionista: vale a dire, poneva la questione più urgente del modo migliore per un ordine sociale favorevole al libero gioco e alla costruzione di situazioni, come delineato alla fondazione della IS.

- Anthony Hayes - Maggio, 2022 - Pubblicato in Notes from the Sinister Quarter -

NOTE:

[1] Esistono due versioni leggermente diverse della nota di Debord del 1989. La prima, pubblicata nel 1997, ha eliminato dal testo della nota il nome del destinatario originario, Thomas Y. Levin. La seconda, pubblicata nel 2008, ha ripristinato il testo completo della nota così come era stato concepito originariamente: come lettera indirizzata a Thomas Y. Levin nel novembre 1989. Si veda, rispettivamente, Guy Debord, "Les thèses de Hambourg en septembre 1961 (Note pour servir à l'histoire de l'Internationale Situationniste) [1989]", in Internationale situationniste : Édition augmentée, Paris: Librairie Arthème Fayard, 1997; Guy Debord, "Lettre à Thomas Levin, novembre 1989-Les thèses de Hambourg en septembre 1961 (Note pour servir à l'histoire de l'Internationale Situationniste)," in Correspondance, volume 7, janvier 1988 - novembre 1994, ed. Patrick Mosconi, Librairie Arthème Fayard. Patrick Mosconi, Librairie Arthème Fayard, 2008.

[2] Internationale Situationniste, "La Cinquième Conférence de l'I.S. à Göteborg", Internationale Situationniste, n. 7 (aprile 1962).

[3] Debord, "Les thèses de Hambourg en septembre 1961 (Note pour servir à l'histoire de l'Internationale Situationniste) [1989]".

[4] Questo è un estratto della mia nuova traduzione della nota/lettera di Debord del 1989 sulle Tesi di Amburgo. Per i dettagli della versione originale francese, si veda la nota 1, sopra.

[5] Si vedano, rispettivamente, "Difesa incondizionata" e "Istruzioni per un'insurrezione", entrambi da IS n. 6 (agosto 1961). Per approfondire la breve relazione tra l'SI e Socialisme ou Barbarie, si veda Anthony Hayes, "The Situationist International and the Rediscovery of the Revolutionary Workers' Movement", in The Situationist International: A Critical Handbook, ed. Alastair Hemmens e Gabriel Zacarias, Londra: Pluto Press, 2020.

[6] Internazionale Situazionista, "Ora, l'SI", IS n. 9, agosto 1964.

[7] Internazionale Situazionista, "La campagna anti-situazionista in vari paesi (estratti)", IS n. 8 (gennaio 1963).

[8] Debord, "Les thèses de Hambourg en septembre 1961 (Note pour servir à l'histoire de l'Internationale Situationniste) [1989]".

[9] Ivi

[10] Come Debord notava in una lettera al suo vecchio compagno lettrista, Ivan Chtcheglov, anche se la pubblicazione della rivista poteva essere "faticosa" e soggetta a "inevitabili difetti", essa rimaneva "una delle nostre uniche armi", "una voce viva [...] per immaginare più precisamente le supersessioni". Guy Debord, "Lettre à Ivan Chtcheglov, 30 avril 1963", in Correspondance volume II septembre 1960 - dicembre 1964, ed. Patrick Mosconi, Parigi: Parigi. Patrick Mosconi, Parigi: Librairie Arthème Fayard, 2001.

[11] Guy Debord, "Lettre à Raoul Vaneigem, 15 février, 1962", in Correspondance volume II septembre 1960 - dicembre 1964, ed. Patrick Mosconi. Patrick Mosconi, Parigi: Librairie Arthème Fayard, 2001, p. 127. Corsivo nell'originale.

[12] Internazionale Situazionista, "Ora, l'IS", IS n. 9 (agosto 1964).

[13] Debord, "Les thèses de Hambourg en septembre 1961 (Note pour servir à l'histoire de l'Internationale Situationniste) [1989]".

[14] Internationale Situationniste, "Du rôle de l'I.S.", Internationale Situationniste no. 7 (aprile 1962).

[15] Karl Marx, "Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1844]", in Karl Marx & Frederich Engels Collected Works Vol. 3, Mosca: Progress Publishers, 1975, p. 183.

[16] Guy Debord, La società dello spettacolo, capitolo 4, tesi 123.

[17] G.-E. Debord, "L'avant-garde en 1963 et après", in Guy Debord Œuvres, Paris: Éditions Gallimard, 2006.

[18] Internazionale Situazionista, "Ideologie, classi e dominio della natura", IS n. 8 (gennaio 1963).

[19] Guy Debord, "Un passo indietro [1957]", in Guy Debord e l'Internazionale Situazionista: Texts and Documents, ed. Tom McDonough, Cambridge, Massachusetts: The MIT Press, 2004.

[20] Debord, "Lettre à Thomas Levin, 1 septembre 1989.

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