Il tombino è uno dei prodotti più diffusi, ma anche meno approfonditi negli studi di design.
Tombini d’Italia attraverso una descrizione completa e una corposa documentazione grafica, si rivolge a un ampio pubblico di lettori, dagli addetti ai lavori agli appassionati di design, con approfondimenti sugli aspetti storici, grafici e progettuali.
Una prima parte racconta il ruolo del tombino all’interno delle dinamiche di trasformazioni urbane seguite alla rivoluzione industriale e il rapporto con la cultura progettuale sino ai giorni nostri.
La seconda parte presenta un catalogo “numismatico” di 248 pezzi accuratamente ridisegnati, in un’inedita collezione di segni grafici e marchi.
Il libro raccoglie infine le immagini di alcuni tra i più importanti fotografi e artisti del Novecento, che hanno utilizzato i tombini per le loro ricerche espressive.
(dal risvolto di copertina di: Tombini d’Italia. Dal progetto grafico al design del prodotto, di Alfonso Morone. LetteraVentidue, pagg. 320, € 35)
SUA altezza, IL TOMBINO
- Arredo urbano - Sparsi a migliaia nelle città, conservano iscrizioni e immagini araldiche che sopravvivono al tempo e che sono oggi diventati elementi di design. Il più noto è la «Bocca della Verità»
- di Gabriele Neri -
«L'uomo che cammina con gli occhi fissi sulle stelle potrebbe perdersi le stelle che stanno ai suoi piedi», avvertiva il designer italiano Roberto Mango negli anni Cinquanta cantando la bellezza - udite, udite! - dei tombini, manufatti che stanno sotto gli occhi (e i piedi) di tutti senza ricevere la giusta attenzione. Eppure di qualità ne posseggono parecchie, come spiega il curioso volume di Alfonso Morone edito da LetteraVentidue: sparsi a migliaia in ogni città, pressoché indistruttibili, difficilmente migliorabili, hanno spesso decenni (o addirittura secoli) alle spalle, testimoniati da iscrizioni corrispondenti a una peculiare araldica che sopravvive ai cambiamenti circostanti. Continuava Mango: «i tombini interrati, sotto l’andirivieni del traffico, sono come gigantesche monete antiche, della remota epoca delle prime decorazioni a macchina». Mango non fu il primo cantore del tombino. Già nel 1863, bighellonando per Londra, lo studente di medicina Stepherd Thomas Taylor riportava nel suo taccuino le grafiche di circa 150 modelli, di solito utili ad accedere ai depositi di carbone sotterranei. In modo aulico, il giovane li definiva «opercula» (coperchio in latino); si possono tuttavia chiamare chiusini, caditorie, grate, botole o pozzetti; a Napoli saittelle; gàtoli in veneziano. All’estero, il pragmatismo inglese fonde concetto (un buco) e dimensione:manhole o handhole, a seconda di chi ci deve passare attraverso, mentre il francese bouche d’égout indica una bocca spalancata dalle fogne. Diminutivo di tomba, nell’italiano tombino si affaccia il ruolo simbolico di separazione tra due mondi: il regno della vita e quello sotterraneo, che tale vita agevola con chilometri di oscuri condotti, cavi e cablaggi. È una specie di orifizio, o meglio un poro capace di far respirare, sudare o nutrire la pelle delle nostre città, che dalla rivoluzione industriale in avanti si dotano di servizi inediti o perfezionati (scarichi, linee elettriche, acqua, gas, telegrafo, telefono, vapore e fibra ottica), tutti sottoterra per convenienza e decoro.
Ne esiste però anche una storia preindustriale. Celebre è diventato il chiusino circolare da cloaca in marmo paonazzetto raffigurante il volto barbuto di una divinità fluviale, murato nella parete del pronao della chiesa di Santa Maria in Cosmedin di Roma nel 1632 e meglio noto come Bocca della Verità. Più tardi, oltre ai già citati Taylor e Mango, sedotti dal tombino furono molti flâneur del Novecento, attenti al loro ruolo grafico nel paesaggio urbano e agli inconsueti utilizzi. Nel 1967 la rivista «Life» metteva in copertina i tombini del Vietnam, trasformati in rifugi antiaerei improvvisati, con uomini e donne che fanno capolino dal sottosuolo sperando che la buriana sia passata. Il volume cita molti altri aspetti del tombino, materiali e simbolici. Sul primo fronte ricostruisce la filiera produttiva della ghisa (nota come «ferraccio») e soprattutto il suo peculiare ruolo nella storia industriale, in quanto prodotto «non soggetto ad alcuna notevole innovazione o evoluzione funzionale». Brevetti e cataloghi testimoniano comunque la continua ricerca per evitare lo scivolamento del passante, l’apertura accidentale (folte sono le cronache di pedoni cascati in tombini aperti) e il furto. Il fronte simbolico e comunicativo include invece aneddoti bizzarri, tra folklore ed estetica. Nella Londra Vittoriana si diffuse la leggenda di Jack il Saltatore (SpringHeeled Jack), malfattore che, coi suoi tacchi a molla, sbucava dai tombini per aggredire il malcapitato. Di tutt’altro tipo, ma sempre attraverso il tombino, sono le gesta di tante «bande del buco», come quella di Dino Risi in Operazione San Gennaro nella Napoli degli anni Sessanta, alla caccia del tesoro del Santo. Nella Vienna delle Secessione divenne celebre una caricatura in cui si vede l’architetto Adolf Loos chinato su un tombino molto simile all’edificio da lui costruito di fronte al palazzo imperiale, osteggiato da molti per l’eccessiva semplicità. Indicando ironicamente in quel banale oggetto - e nella sua disarmante astrazione geometrica - il vero riferimento dell’opera di Loos, il vignettista sbeffeggiava l’assonanza tra il mondo industriale e l’architettura moderna, tema che stimolerà il dibattito estetico nei decenni a venire.
Nella seconda parte del volume, l’autore procede infine alla stesura di un catalogo «numismatico» di 248 tombini rintracciati in tutta Italia, analizzati e ridisegnati per svelare motivi ricorrenti (cerchi, quadrati, loghi, flora e fauna, pittogrammi), simboli politici (il fascio littorio) e dinamiche commerciali. Il volume si inserisce così in quella - ormai gremita - schiera di studi sul design «anonimo», che ebbe in Sigfried Giedion un pioniere con l’ormai mitico libro Mechanization Takes Command. A Contribution to Anonymous History (1948), in cui il celebre storico ricostruiva l’origine di prodotti quali serrature, lavatrici, aspirapolveri, sedie da barbiere, e tanti altri oggetti industriali della nostra quotidianità. Un universo progettuale a lungo fuori dagli studi accademici, così come dai riflettori del riconoscimento autoriale (specie nel campo dell’arredo urbano), che invece ai nostri giorni marchia qualsiasi creazione. Oggi infatti anche i tombini sono griffati e valorizzati: i designer Giulio Iacchetti e Matteo Ragni, autori dell’introduzione al volume, ne hanno firmati diversi modelli, decorati con zampette d’uccellino o tracce di pneumatici, premiati addirittura con il Compasso d’Oro.
- Gabriele Neri - Pubblicato su Domenica del 6/11/2022 -
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