Karl Marx, discepolo di Aristotele
- Valore d'uso e valore di scambio. Il ruolo del denaro. Le basi della nozione di plusvalore. Parte delle idee economiche e filosofiche marxiane affondano le loro radici nel pensatore greco. Entrambi sapevano che non è possibile quantificare alcune qualità -
di Marcos Barbosa de Oliveira
«Come valori di uso, le merci sono prima di tutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, e quindi non contengono nemmeno un atomo di valore di uso.» (Marx)
Nelle sue "Considerations on western marxism" (tradotto in Italia da Laterza e pubblicato nel 1977 col titolo: "Il dibattito nel marxismo occidentale"), Perry Anderson illumina uno degli aspetti che accomuna i pensatori di quell'orientamento, vale a dire il ricorso a «filosofie pre-marxiste al fine di legittimare, spiegare o integrare la filosofia di Marx». Il primo significativo esempio di questo genere, è stato lo studio di Hegel, da parte di Lukács, in "Storia e coscienza di classe". Nella medesima prospettiva, a grandi linee, Anderson cita le seguenti coppie autore-filosofo: Colletti/Kant, Althusser/Spinoza, Goldmann/Pascal, Lefebvre/Schelling, Marcuse/Schiller, Gramsci/Machiavelli (Anderson, 2004, p. 79 ss.). In nessuna di queste coppie il posto del filosofo viene preso da Aristotele. La tesi principale di questo modesto saggio invece è che - se il tema è quello dei precursori filosofici di Marx - il più importante è, di fatto, il filosofo greco nativo di Stagira. Un contributo secondario in tal senso, lo troviamo nelle osservazioni sulla polarità quantitativo/qualitativo: in genere, in economia, questo in particolare lo si trova in relazione al valore d'uso. Il polo quantitativo richiede un chiarimento dei significati con cui verranno utilizzati i termini «quantificazione», «misurazione» (o «misurabilità»; qui tratteremo i due termini come sinonimi) e matematizzazione. Assumendo la quantità come concetto primitivo, definiamo la quantificazione come il processo di sviluppo della visione della realtà in termini di quantità. La quantificazione è un processo cognitivo che si situa nella sfera delle idee, nella mente degli esseri umani. La misurazione si trova situata nella sfera della pratica, ed è una forma di interazione con la realtà che rende più definiti, più precisi, tutti gli aspetti della visione quantitativa. La quantificazione può esistere anche senza la misurazione. Un buon esempio di questa possibilità è la geometria euclidea. Il teorema di Pitagora si riferisce ovviamente alla quantità: le dimensioni dei lati di un triangolo rettangolo. Non c'è nulla di assurdo nel pensarlo come una legge empirica, che può essere verificata misurando i lati di triangoli reali, cioè di entità materiali vicine all'idea di triangolo rettangolo. Ma tale operazione è esterna all'universo concettuale della geometria euclidea. La misurazione, invece, presuppone la quantificazione: affinché qualcosa possa essere misurato, deve prima essere quantificato. Il termine matematizzazione, infine, designa le due operazioni insieme (matematizzazione = quantificazione + misurazione).[*1]
Un'altra osservazione preliminare riguarda l'importanza di Aristotele nella storia dell'economia. Come dice Scott Meikle (1995, p. 1): « L'influenza dovuta agli scritti economici di Aristotele è stata enorme, per quanto essi occupino solo meno di mezza dozzina di pagine dell'Etica e della Politica Nicomachea nell'edizione di Bekker. Essi hanno costituito tuttavia la spina dorsale del pensiero medievale relativo al comportamento commerciale, e su tutti gli argomenti che noi chiamiamo "economici". [...] Usualmente, vengono considerate come il primo contributo analitico all'economia, e le storie del pensiero economico le assumono come punto di partenza.» [*2]
Ancora oggi, alcune delle idee economiche di Aristotele vengono grossomodo considerate valide; come i concetti di valore d'uso e di valore di scambio, così come la sua concezione del denaro avente tre funzioni: mezzo di scambio, misura del valore e riserva di valore. Sulla base di una libera interpretazione, sostengo che al fine della comprensione di queste e di altre idee economiche, è indispensabile tenere conto del fatto che esse nascono motivate da questioni etiche. Naturalmente, il fatto che i passaggi "economici" compaiano nell'Etica Nicomachea e nella Politica depone a favore di questa interpretazione. Malgrado l'importanza storica delle idee economiche di Aristotele, secondo l'opinione di diversi commentatori i passi in questione non eccellono per chiarezza. «Una delle poche proposizioni accettabili per tutti i commentatori moderni del Libro V dell'Etica, è quella secondo cui, per quanto le intuizioni in esso contenute siano notevoli, il testo in sé è disorganizzato e assai spesso oscuro» (Kaye, 2004, p. 53), dando così luogo a diverse interpretazioni. Schumpeter, ad esempio, rifiuta l'interpretazione qui adottata, e sostiene che la motivazione etica passa in secondo piano, ed è preceduta da quella analitica (Schumpeter, 1994, p. 54).
In tutta evidenza, il sistema economico dell'antica Grecia non era il capitalismo, tuttavia esistevano merci, mercanti e mercati, artigiani che vendevano i loro prodotti e fornitori di servizi a pagamento (ad esempio, consulenze mediche, lezioni tenute dai sofisti). Da un tale contesto, emerge il concetto di prezzo equo, il quale non ha perso la sua attualità. Per quanto il termine non sia usato spesso, il concetto viene presupposto nel senso comune allorché si commenta che un supermercato è caro, oppure quando ci si lamenta delle case editrici che chiedono prezzi esorbitanti per l'accesso agli articoli scientifici. Le idee di Aristotele sull'argomento, compaiono nella sezione dell'Etica dedicata alla giustizia (EN, 1129a-1138b). Il carattere etico dell'approccio di Aristotele alle questioni economiche, si manifesta nella condanna di alcune pratiche, molte delle quali possono essere interpretate come deviazioni dalla norma del giusto prezzo. Un esempio è quello che riguarda la possibilità che un venditore, grazie al monopolio, possa praticare prezzi superiori al giusto - anche in quell'epoca! In un noto passo, a proposito di Talete di Mileto, egli dice:
«A causa della sua povertà, attribuita all'inutilità della filosofia, Talete era disprezzato, ma grazie alle sue conoscenze di astronomia predisse, anche in pieno inverno, che ci sarebbe stato un abbondante raccolto di olive; si procurò perciò un po' di denaro e acquistò il diritto d'uso di tutti i mulini di Mileto e Chio, pagando poco perché nessuno gli faceva concorrenza; quando arrivò la stagione dell'estrazione dell'olio, ci fu un'improvvisa richiesta di numerosi frantoi contemporaneamente, e subaffittandoli alle condizioni che desiderava fece molti soldi, dimostrando che per il filosofo è facile fare profitti quando vuole, ma non è di questo che si occupa.» (Pol, 1259a9)
Un'altra dimostrazione della disposizione etica si trova nella condanna dell'usura: « L'usura è detestata a ragione, dal momento che il suo guadagno proviene dal denaro stesso, e non da ciò che ha portato alla sua introduzione. Infatti, lo scopo originario del denaro era quello di facilitare gli scambi, ma l'interesse portò ad aumentare la quantità del denaro in sé, [...] pertanto questa forma di guadagno è tra tutte la più contraria alla natura.» (Pol., 1258a).
Se ora si passa alle concezioni di Marx, come è noto, sappiamo che egli nutriva grande stima per Aristotele, e non mancava di esprimere la propria ammirazione, definendolo come «il grande studioso che per la prima volta ha analizzato la forma del valore, così come tante altre forme del pensiero, della società e della natura» (Capitale, vol. I, p. 135). Nell'interpretazione che proponiamo, il primo aspetto delle concezioni aristoteliche incorporate da Marx è l'approccio etico, da cui emerge la norma del giusto prezzo. Il Capitale è una critica dell'economia politica, ma lo è anche, naturalmente, del capitalismo stesso. Il capo d'accusa critico più centrale, formulato da Marx contro il sistema capitalistico, è senza dubbio quello relativo al plusvalore, la cui appropriazione, da parte del capitalista, egli condanna come furto (Capitale, vol. I, pp. 308 e 498). È facile capire come tale condanna non sia altro che l'applicazione della norma del giusto prezzo al caso particolare del prezzo della forza lavoro [*3] Per i neoliberisti, il giusto prezzo è quello di mercato. Come si fa a sapere qual è il giusto prezzo di un bene? Inizialmente, Aristotele non considera le transazioni di compravendita, bensì lo scambio semplice, o baratto, nel quale nessuno dei beni scambiati corrisponde al denaro. A titolo di esempio, egli discute di quante paia di scarpe dovrebbero essere scambiate per una casa [*4]. Si tratta - si potrebbe dire - di una teoria dello scambio equo, secondo la quale, per fa sì che uno scambio sia equo, i due beni scambiati devono avere qualcosa in comune, qualcosa che sia uguale in entrambi; e questo qualcosa è il valore. In uno scambio equo, i beni scambiati devono avere lo stesso valore. Successivamente, in un secondo momento, Aristotele introduce il denaro come mezzo di scambio, un dispositivo ovviamente di grande utilità come facilitatore delle transazioni in una società che ha un certo grado di divisione del lavoro. E insieme al denaro, viene introdotto anche il concetto di prezzo onesto. Affinché una transazione di compravendita sia equa, il valore della merce acquistata deve essere uguale alla somma di denaro pagata. Ciò implica che i valori delle merci devono essere commensurabili (e prima ancora quantificabili). Nelle parole di Aristotele: «In questo modo, il denaro, fungendo da misura, rende i beni commensurabili e li equipara gli uni agli altri; infatti non avremmo associazione se non ci fosse scambio, né avremmo scambio se non ci fosse uguaglianza, né uguaglianza se non ci fosse commensurabilità. Ci deve essere dunque un'unità di misura, ed essa è un'unità stabilita a partire da un accordo comune [...], di modo che è questo ciò che rende tutte le cose commensurabili, a partire dal fatto che tutte quante sono misurate dal denaro» (EN, 1133a) [*5]. Questo principio di uguaglianza, o equivalenza, viene incorporato da Marx come uno dei pilastri della sua teoria del capitalismo. Come dice Harvey (2010, p. 36), «nel sistema di mercato, questo attributo di uguaglianza è terribilmente importante; Marx lo concepisce come fondamentale ai fini del funzionamento teorico del capitalismo.» [*6]
Essendo il denaro un'entità essenzialmente quantitativa, ed essendo il valore un elemento fondamentale della teoria economica, tutto ciò deve essere quantificato. Fin qui tutto bene. Ma come può essere misurato tale valore quantificato? All'inizio, si presentano due alternative, ossia quelle che lo identificano o con il valore di scambio o con il valore d'uso. La prima è chiaramente inadeguata, visto che il valore di scambio si manifesta come prezzo, e il prezzo consiste in ciò che, da un punto di vista analitico, ha bisogno di essere spiegato; oppure, da un punto di vista etico, nella sua forma di prezzo giusto, è ciò che deve essere giustificato. Anche la seconda alternativa, cioè quella del valore che viene identificato con il valore d'uso, non funziona, dal momento che per Aristotele i valori d'uso sono delle qualità e pertanto - secondo quella che è la sua teoria delle categorie (esposta nell'Organon) - le qualità non possono essere né quantificate né misurate. In mancanza di un'alternativa, Aristotele è incapace di formulare una teoria del valore. Oltre che al principio di equivalenza, Marx si avvale di altre riflessioni economiche, diverse da quelle di Aristotele, seguendo assai da vicino le orme del maestro fino ad arrivare all'introduzione della teoria del valore, spingendosi su questo ad approfondire grazie alla sua Teoria del Valore-Lavoro. A partire da un approccio esternalista, egli spiega - sulla base delle condizioni sociali dell'epoca, in particolare della schiavitù - l'incapacità di Aristotele a formulare una teoria del valore basata sul lavoro. «Il genio di Aristotele risplende proprio nel fatto che egli scopre un rapporto di uguaglianza nell’espressione di valore delle merci. Soltanto il limite storico della società in cui viveva gli impedisce di scoprire in che cosa consista, “in verità”, {il contenuto reale di} tale rapporto di uguaglianza.» (Capitale, vol. I, p. 136). Il carattere etico dell'approccio aristotelico, si manifesta anche in quello che è un altro aspetto delle sue idee economiche, vale a dire, quello relativo alle varie forme di transazione. Ciascuna di esse è rivolta un determinato fine, da cui dipende la sua approvazione o la sua condanna. Per analizzarle, Meikle adotta la notazione dove le lettere M e D stanno per merce e denaro. [*7] La prima forma di transazione è il baratto (M-M'), la seconda è la compravendita (M-M) insieme alla vendita (M-M-D), la terza invece è la crematistica ovvero l'«arte di fare denaro» (M-M/MD') o, in breve, (M-M-M-D'), infine, la quarta è l'usura (M-D') (Meikle, 1994, pp. 27-8). Da un punto di vista assiologico, appare fondamentale la distinzione aristotelica tra due tipi di crematisca: quello naturale, accettabile da un punto di vista etico, il cui fine, per definizione, è il soddisfacimento dei bisogni materiali della vita umana, e quello innaturale, condannabile da un punto di vista etico, nel quale il fine è l'accrescimento del denaro posseduto, fine a sé stesso e senza limiti. [*8] Il concetto di limite (peras) svolge un ruolo essenziale nel pensiero di Aristotele, non solo per quel che riguarda l'Economia, ma anche per la Metafisica (Meikle, 2000, p. 257). In disaccordo con Solone, allorché quest'ultimo afferma «Per l'uomo, non è stato fissato alcun limite alle ricchezze», il filosofo invece afferma: «Le cose passibili di venire accumulate, necessarie e utili alla comunità composta dalla famiglia o dalla città [...] sembrano costituire la vera ricchezza, dal momento che il bisogno di questi beni, necessari di per sé a consentire una vita piacevole, non è infinito.» (Pol. 1256a14).
Un aspetto sul quale concordano tanto i sostenitori quanto i critici, è quello secondo cui il capitalismo valorizzerebbe essenzialmente la crescita illimitata dei profitti, dell'efficienza, dell'accumulo di capitale, ecc. [*9] Come dice Weber, «fare soldi e sempre più soldi» è il summum bonum dell'etica dello spirito del capitalismo, il quale corrisponde chiaramente a una crematisca innaturale. [*10] In un altro scritto, che tratta di Marx, Meikle afferma:«La notazione che utilizza M e D per indicare i circuiti delle merci e del denaro, è dovuta a Marx. Si veda il Capitale, vol. I, capitoli 3 e 4, e il suo precedente "Contributo alla critica dell'economia politica". L'analisi marxiana di questi circuiti segue da vicino quella di Aristotele. Ci sono molte indicazioni, in special modo nel "Contributo", il precursore del Capitale, ma anche nel Capitale stesso, del fatto che Marx abbia tratto da Aristotele gli elementi più basilari della sua analisi, e quindi non sorprende che la notazione sia così ben adeguata alle concezioni aristoteliche. [...] L'intera critica marxiana dell'economia politica [...] si basa sulla stretta osservanza della distinzione categorica tra valore d'uso e valore di scambio, rispettivamente come qualità e quantità. Nella visione di Marx, le imprese capitalistiche e l'economia capitalistica, viste come una totalità, sono essenzialmente imprese finalizzate a D-M-D', e non a M-D-M'. Anche Keynes era dello stesso parere, a differenza di molti economisti» (Meikle, 1995, p. 52). Nel ragionamento del percorso che porta alla Teoria del Valore-Lavoro, Marx segue Aristotele, affermando che il motivo per cui il valore d'uso non può essere assunto come sostrato del valore risiede nel fatto che, da un lato, il valore deve essere quantitativo, mentre dall'altro essendo i valori d'uso qualità, come tali, non possono essere quantificati o misurati. Per approfondire l'analisi di tale tesi, è opportuno tornare alla storia, ora non più a quella dell'Antichità, ma al Basso Medioevo, periodo in cui fiorì la Scolastica. Un'altra giustificazione per questo percorso risiede nel fatto che l'influenza di Aristotele su Marx è avvenuta non solo direttamente, ma anche attraverso i contributi della Scolastica [*11]. L'interesse che gli Scolastici nutrivano per la vita economica - in particolare per il denaro - viene testimoniato dagli scritti che essi hanno lasciato sull'argomento. Dato che si dedicavano anche alla Filosofia della Natura, ciò consentiva loro di avere influenze reciproche nei due campi del sapere. Tali scritti consistevano nei commenti alle idee economiche di Aristotele che, da un lato, le incorporavano e, dall'altro, se ne discostavano, aprendo così la strada alla visione del mondo propria della modernità. Tra i commenti più importanti ci sono quelli di Alberto Magno (1193-1280), di Tommaso d'Aquino (1225-1274) e di Nicole Oresme (1323-1382) [*12]. L'aspetto più rilevante che essi condividevano con Aristotele era l'approccio etico, cosa che dava origine a giudizi morali sui vari tipi di transazione, una buona parte dei quali aveva come fondamento proprio la norma del giusto prezzo, a sua volta basata sul principio di equivalenza. Un'altra nozione di Aristotele, anch'essa molto importante, la quale non venne solo adottata, ma fu anche sviluppata dagli scolastici, è quella della seconda funzione del denaro, quella del denaro come misura del valore, e in particolare la proposizione secondo cui il denaro è la misura di tutte le cose (o, più precisamente, di tutto ciò che può essere oggetto di scambio). L'introduzione delle idee economiche in altri ambiti di pensiero, può essere interpretata come originata dalla seguente linea di ragionamento, la cui conclusione consiste in un aspetto in cui gli scolastici si discostano dagli insegnamenti di Aristotele. Detta molto schematicamente: 1) tutto ciò che è scambiabile è misurabile con il denaro; 2) l'insieme delle cose scambiabili comprende un'immensa varietà di elementi, i quali si distinguono gli uni dagli altri per le loro qualità; 3) stando così le cose, il denaro misura le qualità; il che dimostrerebbe che, contrariamente alla teoria aristotelica delle categorie, esse sono misurabili. [*13]
La possibilità di quantificare le qualità, aveva rappresentato una liberazione dalla visione qualitativa del mondo del sistema aristotelico, dando origine a quello che oggi noi chiameremmo un vasto programma di ricerca finalizzato alla quantificazione delle qualità. Kaye lo descrive come un «frenetico tentativo di estendere la misurazione e la quantificazione alle qualità più varie e più soggettive» (Kaye, 1988, p. 256). I progressi ottenuti dal programma, stimolarono gli scolastici spingendoli a introdurre la visione quantificante anche nella Teologia stessa:
«Ben presto, non solo le entità che non erano mai state misurate prima, ma anche quelle che non erano mai state misurate dopo, vennero sottoposte a una sorta di analisi quantitativa. Le questioni teologiche riguardanti le qualità più soggettive e apparentemente incommensurabili, come la forza della carità cristiana, o il confronto tra l'amore umano e l'amore di Cristo, o i mezzi con cui la qualità della grazia aumenta nell'anima, venivano abitualmente trattate come se fossero dei problemi di quantificazione e venivano sottoposte ad analisi secondo gli ultimi sviluppi della logica e della matematica della misurazione» (Kaye, 2004, p. 3). Su un piano più concreto, Kaye cita la tariffazione delle indulgenze:
«All'inizio del XIV secolo (1308), la monetizzazione e la misurazione razionalizzata del prezzo invasero a tal punto il dominio della teologia ufficiale che la proporzione del pagamento. rispetto alla retribuzione sotto forma di indulgenza. poté essere fissata ufficialmente da Papa Clemente V al valore di un soldo di Tours per ogni anno di indulgenza concesso» (Kaye, 2004, p. 168). Per contro, un aspetto della massima importanza nella linea quantificatrice degli scolastici è l'assenza di misurazione. Come dice Anneliese Maier:
«Più volte, i filosofi del Trecento si accontentarono di comprendere il modo di conoscere, senza tuttavia cercare la conoscenza stessa. Questo atteggiamento produsse - o forse era derivato da - un'insolita insufficienza nella "nuova fisica" del XIV secolo: nessuno misurava più nulla. Non solo i filosofi si rifiutarono, anche nei casi più semplici, di cercare modi e mezzi per effettuare misure indirette, ma ignorarono anche l'opportunità di effettuare delle misure dirette, quando ciò era invece chiaramente fattibile» (Maier, 1982, p. 168-9).
Avendo bene in mente la distinzione tra quantificazione, misurazione e matematizzazione descritta sopra, si potrebbe dire che gli scolastici quantificarono tutto ma non misurarono nulla, e quindi non matematizzarono nulla. La matematizzazione ebbe inizio solo quasi due secoli dopo, ad opera dei pionieri della Rivoluzione Scientifica, Galileo, Keplero, Cartesio, ecc. Questo ritardo si spiega in parte con il fatto che il compito di effettuare misurazioni non è né semplice né ovvio. Al contrario, oltre alle conoscenze teoriche, l'operazione richiede al ricercatore una grande dose di ingegno, la capacità di inventare espedienti per risolvere problemi pratici; tutti attributi di cui Galileo era notevolmente dotato (Mariconda & Vasconcelos, 2020).
A partire dalla Fisica, il programma matematico della Rivoluzione Scientifica conquistò successivamente la Chimica, la Biologia, la Geologia, ecc., e poi - nel campo delle scienze umane, rafforzate dal positivismo - la Sociologia e la Psicologia. Pertanto, non c'è alcun dubbio che il programma ebbe un grande successo, al punto da permettere, alla fine del XIX secolo, all'eminente Lord Kelvin di radicalizzarsi, dichiarando:
«Quando possiamo misurare ciò di cui parliamo ed esprimerlo in cifre, sappiamo qualcosa su di esso; quando non possiamo esprimerlo in cifre, la nostra conoscenza è scarsa e insoddisfacente; può essere l'inizio della conoscenza, ma nel nostro pensiero siamo a malapena avanzati verso lo stadio della scienza, qualunque sia la questione» (Thomson (Lord Kelvin), 1891, p. 73).
L'aspetto determinante del programma di matematizzazione della scienza moderna, nella linea di ragionamento ora in corso, consiste nel fatto che i suoi progressi hanno incluso molti casi in cui la quantità matematizzata è stata considerata una qualità, come il colore, il suono, il gusto e altro. Ciò confuta il principio aristotelico dell'incommensurabilità delle qualità. Applicato al valore d'uso, tale cambiamento annulla l'incommensurabilità considerata come motivazione secondo cui esso non può svolgere il ruolo di valore, o di sostrato del valore, come avviene nelle concezioni di Aristotele; cui a tal proposito si accompagna anche Marx. Ma se la ragione non è questa, allora quale sarebbe? Il valore d'uso potrebbe essere misurabile? Scartando una simile possibilità, la risposta che proponiamo è quella secondo cui, semplicemente, nella natura così come nella vita sociale, per motivi che variano da caso a caso, esiste un'infinità di entità incommensurabili. Tra queste, ce ne sono molte che un autore o un programma di ricerca vorrebbe misurare, dando in tal modo origine a una tensione. Per fare un esempio rilevante nel contesto attuale, W. S. Jevons, uno dei pionieri del filone neoclassico dell'economia, avrebbe voluto poter misurare il valore d'uso. Nonostante i suoi strenui sforzi, non ci riuscì, poiché il concetto di utilità, da lui proposto come sostituto, mancava degli attributi del valore d'uso, come tradizionalmente viene concepito. Secondo Meikle (2000, p. 250): «W. S. Jevons sposta in maniera decisa l'attenzione, dall'utilità nel consumo all'utilità nella compravendita, con la conseguenza che si perde completamente una nozione indipendente di valore d'uso. Jevons era convinto che quasi tutto ciò che nell'economia del suo tempo era errato, fosse dovuto alla presenza di nozioni qualitative, e il suo obiettivo era quello di sostituirle con nozioni quantitative ogni volta che sembrava possibile. L'utilità, ciò che in precedenza era stato chiamato "valore d'uso", si trovava in cima alla sua lista. [...] La sua nozione di utilità era quella di un servizio che non è discriminato secondo la specie, e che può essere presente indistintamente in qualsiasi tipo.»
Gli economisti potranno correggermi, ma a mio avviso la nozione di valore d'uso, nel senso in cui appare in Aristotele, negli scolastici e nell'Economia Politica classica, è stata esclusa dal filone ortodosso dell'Economia, a partire dai neoclassici. Lo stesso si può dire dell'economia marxista, come possiamo vedere nel Capitale, allorché Marx relega i valori d'uso in una «disciplina specifica, la merceologia» [*14] . Uno studio delle ragioni per cui alcune entità possono, mentre altre non possono, essere misurate richiederebbe un'analisi rigorosa delle idee di Aristotele sulle categorie; un compito questo che va ben oltre i limiti di questo saggio. Nelle considerazioni finali che seguono, tenendo conto che la valutazione quantitativa non è altro che una forma di misurazione, mi occuperò di un caso particolare: quello della valutazione accademica in quanto misurazione della produttività delle attività di ricerca. In altri testi (Oliveira, 2015, 2019 e 2022), difendo la tesi dell'esistenza, nella vita sociale, di due forze quantificatrici. Una è la scienza moderna, la cui forza quantificatrice diventa tanto più intensa quanto più la scienza stessa si matematizza [*15]. L'altra forza è quella del capitalismo, tanto più intensa quanto più si radicalizzano i suoi principi; come avviene nel neoliberismo. Le due forze si rafforzano a vicenda, e la loro azione congiunta sostiene il valore del principio di Kelvin, che continua a funzionare a manetta. Tale constatazione, di fatto apre la strada a una tesi critica, ossia che le pressioni quantificatorie in tempi di neoliberismo spingono a tentare di misurare l'incommensurabile, generando in tal modo delle misurazioni estremamente precarie, piene di effetti deleteri sulla vita sociale. È quanto accade, ad esempio, con il PIL (pro capite), visto come misura della qualità della vita degli abitanti di un Paese. Un altro esempio è quello delle valutazioni quantitative che hanno un ruolo centrale nell'amministrazione dell'accademia, e che vengono viste come se fossero misurazioni della produttività dei ricercatori e della ricerca. In realtà, praticamente tutte le idee presentate in questo saggio sono il risultato di una riflessione, iniziata molti anni fa, sul binomio quantità/qualità nella valutazione accademica.
- Marcos Barbosa de Oliveira - Pubblicato il 18/2/2023 su OutrasPalavras -
NOTE:
[*1] - Un'interessante storia della misurazione si trova in The Measurement of Reality: Quantification and Western Society 1250-1600 (Crosby, 1997). Nel corso dei capitoli, Crosby studia la misurazione nelle varie dimensioni della vita umana: tempo, spazio, matematica, musica, pittura e contabilità. Per un'analisi rigorosa della misurazione nella scienza, si veda Tal (2020).
[*2] - Nei riferimenti ai passaggi di questi due libri, ne indicheremo la collocazione utilizzando le abbreviazioni EN e Pol. Le edizioni portoghesi utilizzate come fonte delle citazioni sono riportate nell'elenco di riferimento.
[*3] - Esiste un'immensa letteratura sul tema delle posizioni di Marx riguardo all'idea di giustizia. Si veda, ad esempio, Geras (1985).
[*4] - Gli esempi forniti da Aristotele sono quantitativamente piuttosto bizzarri. Riuscite a immaginare qualcuno che scambia una casa con qualche migliaio di paia di scarpe? In un altro esempio, il prezzo di una casa è dato pari a quello di cinque letti (EN, 1133b). O una casa era molto economica, e/o le paia di scarpe e i letti erano molto costosi.
[*5] - Una parte di questa frase è citata da Marx: «Lo scambio non può esserci senza uguaglianza, ma l'uguaglianza non può esserci senza commensurabilità» (Capitale, vol. I, p.135).
[*6] - La validità del principio viene contestata da Böhm-Bawerk (1949, p. 69). Nelle sue parole: «Vorrei osservare, en passant, che il primo presupposto, secondo cui una "uguaglianza" deve manifestarsi nello scambio di due cose, mi sembra molto antiquato, il che, tuttavia, non avrebbe importanza se non fosse anche molto irrealistico. In parole povere, mi sembra un'idea sbagliata. [...] E, in effetti, i moderni economisti politici concordano nel considerare insostenibile la vecchia teoria scolastico-teologica dell'"equivalenza" tra le merci da scambiare.»
[*7] - In inglese, al posto di M si trova C , per commodity; al posto di D, M per money.
[*8] - Marx tratta ampiamente il concetto di crematistica, citando ampiamente Aristotele, nella lunga nota a piè di pagina n. 6 del cap. 4 del Capitale, vol. I, pp. 228-9.
[*9] - Una voce isolata nello spazio pubblico delle posizioni relative al capitalismo, sia ai suoi tempi che ai giorni nostri, è quella di Stuart Mill, quando difende l'ideale di un'economia stazionaria, cioè senza crescita (che può essere sostenuta come condizione indispensabile per superare i problemi ambientali, a cominciare dal riscaldamento globale). Nelle sue parole: «Non posso quindi considerare la condizione stazionaria del capitale e della ricchezza con quell'impassibile avversione manifestata dagli economisti della vecchia scuola. Sono propenso a credere che questa condizione stazionaria sarebbe, nel complesso, un enorme miglioramento della nostra condizione attuale. Confesso di non essere affascinato dall'ideale di vita propugnato da coloro che pensano che lo stato normale degli esseri umani sia quello di lottare sempre per il progresso economico, i quali pensano che il calpestare e travolgere gli altri, il darsi di gomito e competere sempre (caratteristiche della vita sociale di oggi) siano il destino più desiderabile della specie umana, quando in realtà non sono altro che i sintomi sgradevoli di una delle fasi del progresso industriale». (Mill, 1983 [1948], vol. II, p. 252). Rimane la domanda: perché, sostanzialmente, un capitalismo senza crescita è impraticabile?
[*10] - A questo punto vale la pena fare un'osservazione terminologica. Secondo le definizioni del dizionario, massimizzare significa agire nel senso di aumentare una variabile fino a raggiungere un valore limite, il massimo. Pertanto, per massimizzare (e i suoi analoghi) è necessario avere un massimo. Ma il verbo viene usato per designare azioni che mirano anch'esse ad aumentare una variabile, ma senza un limite. Per trattare i casi in cui la differenza è rilevante (come accade nell'attuale contesto), per amore di precisione, sarebbe conveniente restringere il significato di 'massimizzare' al senso di aumentare con un massimo, e introdurre un altro verbo per la crescita illimitata. Quello che mi viene in mente è aumentare. Diventerebbe così, ad esempio: la condizione per il buon funzionamento del capitalismo non è la massimizzazione del PIL, ma il suo incremento.
[*11] - Sulla base di un confronto tra il pensiero di Tommaso d'Aquino e quello di Marx, lo storico inglese dell'economia Richard Tawney attribuisce a Marx l'appellativo di "ultimo degli scolastici" (Tawney, 1948, p. 36). Per un commento su questa attribuzione, si veda McCarthy (2015). Si potrebbe anche dire: Marx è figlio della Scolastica e nipote di Aristotele.
[*12] - Tra le condizioni sociali che contribuirono all'interesse degli Scolastici per l'economia, vi fu la monetizzazione della società europea, all'incirca dal 1260 al 1380 (Kaye (1988 e 2004)). Come dice Crosby (1999, p. 78), «nel vortice vertiginoso di un'economia monetaria, l'Occidente imparò le abitudini della quantificazione».
[*13] - Cfr. Sylla (1971): «Secondo la teoria aristotelica, quantità e qualità appartengono a categorie distinte. Si potrebbe quindi supporre che i teorici aristotelici non avrebbero tentato di quantificare le qualità. Nel Medioevo, tuttavia, i teorici che avevano un approccio fondamentalmente aristotelico tentarono di quantificare le qualità».
[*14] - Capitale, vol. I, p. 114. Nelle traduzioni inglesi del Capitale che ho consultato, «conoscenza commerciale delle merci» compare al posto di «merceologia». Nell'originale tedesco il termine è «Warenkunde».
[*15] - Il termine "scienza moderna" viene usato nel senso che include le scienze naturali e le scienze umane (specialmente quelle naturalizzate, che adottano il paradigma dei naturali come ideale).
Bibliografia
Anderson, Perry (2004). Considerações sobre o marxismo ocidental + Nas trilhas do materialismo histórico. São Paulo: Boitempo.
Aristóteles ([-] 1973). Ética aNicômaco. Tradução de Leonel Valandro e Gerd Bornheim. Coleção Os Pensadores. São Paulo: Abril Cultural.
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