Guattari: «Ho l'impressione che la discussione non stia andando avanti e che lei non tenga conto delle mie obiezioni al suo ragionamento. A ogni modo, cerchiamo di andare avanti. Io credo che, nella società coinvolta nel processo di produzione, la soggettività abbia cambiato natura: non si tratta più di quel genere di soggettività umana che si somma a quello che è il livello della soggettività delle classi sociali, ma attiene anche al livello dei processi soggettivi che sono legati alla produzione stessa o alla scienza o all'arte. Si assiste così a uno spostamento della soggettività, la quale è sempre meno umana e sempre più, meccanica, automatica; il che non significa più alienante, ma al contrario più liberante. Pertanto, sono anche convinto che una delle determinazioni fondamentali della situazione attuale, una forza motrice - come dice Bifo -, sia il rifiuto del lavoro; solo che questo elemento non mi sembra caratterizzare affatto la classe operaia in quanto classe sociale, ma mi sembra piuttosto caratterizzare l'emergere di un nuovo tipo di socialità, un nuovo tipo di organizzazione che non passa più attraverso il vecchio tipo di opposizione di classe.
Non accetto il discorso di Bifo quando parla di lavoro, perché trovo francamente assurdo che una funzione sociale si determini in relazione al lavoro in quanto tale. Vorrei che Bifo ripensasse a ciò che ha detto tenendo presente questa mia domanda: di che tipo di lavoro si tratta? Io distinguerei quattro tipi di lavoro, ma ce ne sono altri. In primo luogo, esiste il lavoro del desiderio, il lavoro del sogno, nel senso inteso da Freud quando parlava del lavoro del sogno: un lavoro che non rappresenta alcuna finalità sociale, evidente e immediata. È, ad esempio, il lavoro di un bambino che fa la cacca da solo. Si tratta comunque di qualcosa che ha un valore, qualcosa che è un lavoro perché, in un certo senso, il fatto che il bambino accetti o meno di seguire le regole materne e le regole dell'educazione sfinterica è un lavoro come un altro. In secondo luogo, abbiamo un altro tipo di lavoro, quello che produce valori d'uso, ossia chi fa da mangiare, pela le patate, ecc. Non si tratta certo di un gioco: lavora per sfamare sè stesso e i suoi amici. Qui c'è un altro tipo di attività che è un lavoro. Non c'è alcun motivo di credere che questo tipo di lavoro non debba rientrare in una definizione generale di lavoro, in una definizione che direi fisica. Un altro tipo di lavoro è poi quello che determina la produzione di merci, vale a dire di qualcosa che poi entrerà in un sistema di scambio, uno scambio con equivalenti di qualsiasi natura, con una prestazione di servizi oppure con un salario che viene corrisposto alla forza lavoro, e che implica l'organizzazione di sistemi che permettano l'estrazione di plusvalore. Sono stati proposti dei criteri per l'analisi del valore che si legano a un tasso medio di sfruttamento, o a una proporzionalità rispetto al tempo medio di lavoro sociale... Insomma, esiste tutta una serie di criteri che possono ovviamente essere discussi. Si può cercare di formulare un criterio di valutazione della produzione di valori d'uso in relazione al dispendio di energia, e in questo modo si può avere un'altra valutazione del tempo di lavoro in relazione al sistema di scambio relativo ad altre merci. Poi, proporrei un quarto tipo di lavoro: è il lavoro di normalizzazione, quello che con gli amici del Centre d'Etudes, de Recherches et de Formation Institutionnelles abbiamo chiamato anti-produzione. Il lavoro dell'anti-produzione, che è comunque un lavoro: il lavoro della polizia, il lavoro delle guardie carcerarie, gran parte del lavoro degli insegnanti. Si tratta di un lavoro il cui scopo non è la produzione di merci, bensì la produzione di un ordine sociale, di una ridondanza sociale. Va da sé che quando esamino questi quattro tipi di lavoro, sicuramente nessuno di essi si trova a essere completamente separato dagli altri. C'è di certo una comunicazione tra i valori di desiderio, i valori d'uso, i valori di scambio e i valori di normalizzazione: bisogna che un poliziotto tragga piacere da qualcosa, è necessario che questo qualcosa abbia un uso immediato, che poi è un uso all'interno della circolazione, cioè un valore di scambio... e tutto questo forma un rizoma molto complicato.
Detto questo, è fondamentale notare come nel suo rapporto antagonista con la borghesia, la classe operaia si sia costituita essenzialmente sul valore di scambio e sulla produzione di valori di scambio. In tal modo, e a partire da questo, tutto un intero settore di altri lavoratori è stato lasciato fuori da questa definizione della classe operaia; anzi del movimento operaio come classe operaia, e questo avviene essenzialmente in due forme: da un lato, per quel che riguarda i valori del desiderio (che sono ripresi dai movimenti utopici e dal movimento anarchico) e, dall'altro, per quanto attiene ai valori dell'uso (che costituisce la frattura tra la classe operaia e le persone che si occupano della vita quotidiana, della militanza quotidiana). Pertanto, la classe operaia, il motore della storia, si definisce a partire dal suo rapporto con la macchina di produzione capitalistica, e si trova anche separata dal valore della normalizzazione, ed è in relazione con un certo tipo di produzione, e non a un altro: infatti le persone che partecipano al valore della normalizzazione, della regolamentazione, della pianificazione e dell'organizzazione del lavoro non fanno parte della classe operaia.
Questa scelta, dunque, questa classificazione di una classe sulla base di un certo tipo di produzione, di un certo tipo di valore, non è solo una scelta economica o tecnologica, ma anche una scelta sociale: significa che la lotta è interamente concepita nei termini di un certo modello di produzione, di una certa crescita di questa produzione e di un certo tipo di società. Voglio sottolineare che ritengo che negli ultimi anni la classe operaia sia stata il vero motore della capacità della società capitalista di continuare il proprio progresso. Ed è stato grazie al fatto che le burocrazie operaie hanno sostituito i vecchi sistemi di organizzazione a livello di produzione, di differenziali salariali, di formazione della forza lavoro e di sicurezza sociale, che il capitalismo è riuscito a sopravvivere. È nella misura in cui le burocrazie dei lavoratori si sono unite alle burocrazie statali che sono stati resi possibili esperimenti politici come il new deal, utilizzando la capacità dello Stato di intervenire per normalizzare i processi economici e superare la crisi.
In queste condizioni, quindi, l'opposizione classe operaia/borghesia è fondamentale, e continua a esserlo nel quadro di una società data che ha una sua logica la quale porta alla regolazione dei suoi processi. Bifo sottolinea la passività dei lavoratori in URSS. È vero, e questo non ha prodotto un movimento rivoluzionario, ma una società burocratica repressiva e reazionaria che si è comportata in modo tale da far sì che non c'è stata alcuna grande rivolta rivoluzionaria contro la repressione e il Gulag.
Detto questo, è giusto sottolineare che le lotte operaie in Inghilterra, in Francia, in Italia, in Germania raggiungono un equilibrio, una regolamentazione, ma non impediscono in alcun modo a queste società di essere reazionarie; al contrario: abbiamo un conformismo simmetrico, identico - e forse ancora più marcato - da parte delle aristocrazie operaie nei confronti della borghesia.
Per questo dico che oggi ci troviamo di fronte a una società di classe e a un'opposizione di classe interamente incentrata su alcuni tipi di merci e valori, che forma un continuum con la borghesia capitalista commerciale dominante e con la borghesia di Stato; un continuum in cui tutte le burocrazie si sono installate sul movimento politico sindacale dei lavoratori e sugli operatori sociali della stessa classe operaia. In realtà, quello che c'è è un continuum, non c'è più un fronte di classe, c'è una polarità, molto importante, che è fondamentale per l'evoluzione stessa del capitalismo: è chiaro che l'arretratezza del capitalismo spagnolo dipende in gran parte dal fatto che abbiamo un arretramento nella promozione delle avanguardie burocratiche del movimento operaio.
Un Paese capitalista sviluppato ha bisogno di una burocrazia operaia sviluppata. Altrimenti, c'è un certo ritardo a livello di organizzazione, formazione, ma anche a livello di promozione del mercato interno. È importante che ci sia una classe operaia assertiva, che partecipi al ciclo delle gerarchie interne, che consumi più automobili, più frigoriferi e che abbia anche più formazione professionale, perché questo è un fattore di accelerazione della circolazione del capitale all'interno del Paese e, allo stesso tempo, della sua competitività su scala internazionale. Avere il petrolio, è altrettanto importante che avere un Partito Comunista e un forte sindacato comunista: tutto questo è indispensabile per un'economia capitalista sviluppata. Penso che Bifo risponderà: "Va bene, ma tutto ciò di cui sta parlando non è la classe operaia". Ecco, è questo il problema principale. Se questa non è la classe operaia, allora non so quale sarebbe la classe operaia. Perché, e vi propongo una distinzione, io parlo della classe operaia vera e propria, cioè parlo di quella che in un modo o nell'altro si riconosce nel movimento operaio, quella che ha la sua soggettività nel Partito Comunista e nel sindacato comunista, nella previdenza sociale e in tutti questi organismi; mentre quella di cui parla Bifo non è la classe operaia, ma una sorta di insieme di tutti gli insiemi di persone che lavorano.
Forse Bifo vuole dirmi che nella classe operaia ci sono anche i bambini e che il loro lavoro è sfruttato, perché bisogna rendersi conto che i bambini lavorano perché partecipano alla formazione collettiva della forza lavoro: i bambini che giocano, che fanno gli esami, che guardano la televisione, che vanno a scuola sono strumenti fondamentali del processo di produzione, come le persone che trasportano la terra e fanno un edificio. Non si può concepire una classe operaia se non si mettono i bambini al lavoro, se non li si forma al processo semiotico della società moderna. Inoltre, oltre ai bambini, si includono anche le donne nella classe operaia. È infatti impossibile concepire una società che non riproduca i lavoratori a livello di sessualità, di formazione e creazione di un ambiente familiare. Non c'è società che non riunisca i lavoratori, anche in cellule di consumo, dal momento che è sempre fondamentale la riproduzione e la continuità di ogni cellula di consumo e l'unità delle economie familiari, come dice l'economia politica. Possiamo dire, quindi, che anche le donne lavorano. Se si dice che la classe operaia è costituita dai bambini, dagli adolescenti, dalle donne, allora penso che vada bene definire la classe operaia in questo modo, ma dobbiamo ricordare che non stiamo parlando della classe operaia di cui il marxismo parla da cento anni.»
Bifo: Marx nella prima parte del Capitale distingue tra lavoro e lavoro, lavoro e attività; credo che questa sia una distinzione importante. Nel capitolo dell'Anti-Edipo dedicato all'anti-produzione c'è un'ambiguità, non tanto concettuale quanto linguistica: quando si parla di lavoro e si pone la questione delle macchine desideranti in relazione al problema del lavoro. Forse in italiano, come in francese, non esiste questa distinzione tra attività e lavoro, ma in inglese è possibile distinguerle, e voglio sottolinearlo.
Guattari: No, non lo è [una distinzione importante], dal momento che il capitalismo non lo fa, non c'è attività che oggi non sia stata sovracodificata dal capitalismo: guardare la televisione, pisciare, scopare non sono "attività": tutto viene completamente codificato nelle griglie del capitalismo... Tutto è lavoro!
(estratto da Félix Guattari, "Deseo y Revolución". Dialogo con Paolo Bertetto e Franco Bifo Berardi - 1977, Tinta Limón, 2021).
fonte: Delirio Místico: "A mon seul désir" (Según mi solo deseo)
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