Scrittore, giornalista e corrispondente di guerra, Stephen Crane sembra davvero il protagonista di un romanzo. Povero e tormentato dai debiti, muore giovanissimo, ma fa in tempo a vivere situazioni estreme – perseguitato dalla polizia di New York, scampato a un naufragio al largo della Florida, accoltellato per errore a Cuba – e a scrivere testi straordinari. Citando da lettere e testimonianze, leggendo con cura appassionata i suoi lavori, Paul Auster ne ricostruisce la vita e le opere in un libro coinvolgente, che agli ammiratori confermerà il mito e agli altri svelerà uno dei segreti meglio custoditi della letteratura americana. «Che storia! Ragazzo in fiamme è piú di un romanzo, piú di una biografia, piú di un libro di critica. È un'opera letteraria di rilievo. E il piú grande omaggio fatto da uno scrittore a un altro che io abbia mai letto» (Russell Banks). Stephen Crane, autore del Segno rosso del coraggio, ha vissuto una vita breve ma intensa. Nato nel 1871 in una famiglia molto religiosa, perde il padre da bambino e cresce spostandosi da un luogo all'altro, un nomadismo che conserverà da adulto e che lo porterà in giro per gli Stati Uniti e per il mondo. A vent'anni, dopo aver abbandonato il college, si trasferisce a New York e comincia a muovere i primi passi come giornalista e scrittore. Affascinato dai luoghi malfamati e dalle persone tormentate che li frequentano, conduce un'esistenza bohémien dividendo l'alloggio con altri artisti e ritrovandosi spesso a saltare i pasti e a dormire su una cassa portacarbone. I soldi sono un cruccio costante, ma per un salto in uno dei tanti bordelli della città ne ha sempre abbastanza. Difendendo una prostituta, finisce per mettersi in grossi guai con la polizia, al punto da trovarsi costretto a lasciare New York in tutta fretta. Poco male, però. Altre avventure lo attendono, in particolare come corrispondente di guerra in Grecia, a Cuba e a Portorico. Intanto, nel 1897, si trasferisce in Inghilterra (in una casa che ovviamente non si può permettere) e lí stringe amicizia con scrittori del calibro di Joseph Conrad e Henry James. Ma chi ha dentro un fuoco spesso brucia in fretta. Crane non fa eccezione. Da sempre magro e giallognolo, si spegne a ventotto anni in un sanatorio della Foresta nera. Al suo fianco fino all'ultimo faticoso respiro c'è Cora, l'ex proprietaria di un bordello che, pur non avendo mai divorziato dal secondo marito, per un lustro è stata la sua fedele compagna di follie. Partendo dalla grande ammirazione per il Crane scrittore, Paul Auster ne ricostruisce con cura e sensibilità la vita da spirito libero e l'opera originale, cosí avanti rispetto ai tempi da essere stata spesso oggetto di feroci critiche.
(dal risvolto di copertina di: Paul Auster, "Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane". Einaudi, Traduzione di Cristiana Mennella, pagg. 1016. € 24)
Crane. Gioventù bruciata
- Paul Auster dedica un corposo libro a uno degli autori di culto della letteratura americana. Morto ad appena 29 anni -
di Michele Mari
Stephen Crane appartiene a quella non folta famiglia di scrittori che suscitano la devozione di altri scrittori: nel suo caso i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Conrad, che gli fu amico e gli dedicò molti ritratti affettuosi, e di Hemingway, che in Verdi colline d’Africa lo cita insieme a Henry James e a Mark Twain come maestro di stile. A loro si aggiunge adesso Paul Auster, autore della monumentale biografia "Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane" appena uscita presso Einaudi nella traduzione di Cristiana Mennella. La vita di Crane fu così breve (1871-1900) e così schiva che quando nel 1923 apparve la biografia di Thomas Beer, Conrad commentò: «E dunque alla fine è successa, questa cosa che non mi aspettavo di vedere! Mai, infatti, avevo pensato che la biografia di Stephen Crane potesse apparire nell’arco della mia vita». Cosa direbbe ora, un secolo dopo, di fronte alle quasi mille pagine del libro di Auster? Il fatto è che in Crane tutto è smilzo e defilato, la sua figura, la sua presenza nella società letteraria, la brevità dei suoi testi, l’estemporaneità dei suoi reportage di guerra: al punto che, con l’eccezione del Segno rosso del coraggio, nelle storie letterarie la sua opera si compendia di norma in un solo racconto “esemplare”, The Open Boat. Contro questo cliché si è mosso Paul Auster, che pur accettando fin dal titolo la vulgata della vita che si brucia in un attimo, ha raccontato e montato a modo suo (cioè da scrittore prima che da studioso) un’immensa mole di documenti, con il passo lento e analitico che siamo abituati ad associare a biografie di autori come Voltaire, Puškin, Proust, Tolstoj. Indignato dal fatto che «Crane sia ormai nelle mani degli specialisti», Auster gli erige un monumento in cui la filologia è sempre al servizio dell’interpretazione, interpretazione che a sua volta punta dritta a fare di Crane il primo autore veramente moderno della letteratura americana: «Ragazzo in fiamme di rara precocità a cui fu impedito di entrare nella pienezza dell’età adulta, Crane è la risposta americana a Keats e Shelley, a Schubert e Mozart, e se continua a vivere come loro, è perché le sue opere non sono mai invecchiate».
Ma la mole del libro di Auster non è dovuta solo alla meticolosità investigativa con cui la vita di Crane è ricostruita quasi giorno per giorno: in gran parte dipende invece dalla scala 1:1 con cui sono presentati i romanzi e i racconti di Crane, con lunghe citazioni e lunghe parafrasi e chiose e commenti che ci restituiscono, nella forma tipicamente anglosassone del companion, un Crane riscritto da Auster. E poiché questo avviene anche al riguardo dei reportage di guerra (Messico, Grecia, Cuba), ne risulta un superamento della dicotomia (che invece Crane viveva in prima persona come una vera e propria lacerazione) fra il narratore e il giornalista, anche perché come un prestigiatore Auster passa senza transizioni dagli articoli di giornale ai racconti che quasi sistematicamente ne venivano ricavati dopo breve tempo (tanto che alla fine, prendendo atto della propria operazione di montaggio, si vede costretto a un’affermazione impegnativa: «Poco importa qual è la forma in cui lavora Crane, narrativa, non narrativa o altro»). In ogni caso l’enfasi sulla consustanziale adolescenzialità del suo autore porta Auster ad alcune esagerazioni, come quando, interrogandosi sui possibili capolavori che Crane non ebbe il tempo di scrivere (e dimenticandosi di casi come quello di Rimbaud, che sopravvisse a se stesso per diventare un mercante di zanne d’elefante), si azzarda ad affermare che «avrebbe potuto produrre meraviglie in stile parlato simili a Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline», o quando vede nel Segno rosso del coraggio l’annuncio di tutto il Novecento, in particolare di cattedrali dell’«interiorità appassionata» come l’Ulisse e la Ricerca del tempo perduto. È indubbio che Il segno rosso sia un libro bellissimo per il ritmo, la concentrazione, l’energia delle frequentissime metafore (soprattutto in ambito cromatico), e naturalmente per il filtro emotivo e psicologico che fa della mente del protagonista il vero campo di battaglia (lo stesso autore definì il romanzo «un ritratto psicologico della paura»): ma questo non può dirsi, per differenti motivi, di romanzi fra loro diversissimi come Lord Jim o Il richiamo della foresta? In altre parole, non credo che novecentizzare Crane sia rendergli un gran servigio, soprattutto se per sorreggere la tesi gli si sovrappone il mentalismo di autori come Henry James o Virginia Woolf. Minuzie, comunque, di fronte alla passione e all’acribia di un’impresa d’altri tempi che da un lato fa giustizia del «guazzabuglio macchiettistico semiromanzato» di Thomas Beer, dall’altro ha l’umiltà di presentarsi come un «sottoprodotto» (così sempre Auster) delle fatiche dei due massimi studiosi di Crane, Stanley Wertheim e Paul Sorrentino.
Michele Mari - Pubblicato su Robinson del 12/11/2022 -
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