sabato 25 febbraio 2023

Il Tempo della Pazienza ?!??

Nella tradizione culturale europea, la pazienza è una virtù fondamentale, anche se minore, che i Greci accostavano al coraggio e il pensiero cristiano alla speranza e alla carità. Oggi, quello che già Georg Simmel chiamava il «ritmo impaziente della vita moderna» sembra farne una nozione del tutto inattuale. Tuttavia, essa può rivelarsi una risorsa quanto mai preziosa, come emerge dalla riflessione sul rapporto dell’essere umano con il tempo e con l’attesa che Andrea Tagliapietra conduce in queste pagine. La pazienza s’inscrive nel tempo del corpo, fatto di lentezza, vulnerabilità e mortalità. Essa fa emergere il significato del corpo come fondo biologico dell’uomo nel suo essere animale. Allora, accanto al discorso «umano, troppo umano» della filosofia, ecco l’urgenza di guardare allo specchio del mondo animale e di prendere in considerazione quelle «icone del pensiero» che, nell’arte, esprimono la metafora animale in continuità con il genere umano. Si scopre così che, nella pittura europea, l’immagine della pazienza è stata spesso affidata a una specie animale che da sempre accorda i propri passi a quelli dell’uomo. Nell’arte i cani fanno la loro comparsa come silenziosi dettagli. Di essi quasi non ci si accorge, tanto la loro presenza risulta consueta e comune. Eppure spesso sono proprio loro a scandire il tempo della scena. Fondendo l’analisi filosofica e l’osservazione di oltre cento opere d’arte, l’autore rivela l’attualità non antropocentrica della pazienza, intesa come strada per giungere a una piena responsabilità nei confronti del tempo vissuto, fondamento della relazione ospitale con gli altri esseri e presupposto indispensabile per abitare il mondo avendone finalmente cura. Da Dürer a Goya, da Bassano a Leonardo fino a Marc, Balla e Warhol, i cani del tempo ci conducono all’antidoto della più pura forma di pazienza, quella dell’attenzione per ciò che semplicemente accade, che è anche la più difficile da conservare nell’epoca impaziente e distratta in cui viviamo.

(dal risvolto di copertina di: Andrea Tagliapietra, I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza. Donzelli. € 34,00)

Impariamo dalla vita filosofica dei cani che la virtù più utile oggi è la pazienza
- di Simone Regazzoni -

Difficile pensare a un tema più distante dalla sovraeccitata sensibilità contemporanea, più inattuale, nell'epoca dell'Onlife - la nostra vita perennemente connessa -, della pazienza. D'altra parte è proprio a partire da una presa di distanza dalla postura esistenziale della pazienza, come capacità di attendere, capacità di misurarsi con dolore e fatica, capacità di ascolto verso l'altro, che si è costituita la soggettività moderna di cui l'individuo contemporaneo, che vive nella fretta del fare per fare e del voler avere sempre di più, è il figlio. Proprio per questo il libro di Andrea Tagliapietra, "I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza" , edito da Donzelli, è un libro filosoficamente contemporaneo, e non un semplice studio erudito sulla storia di una virtù minore ormai senza più interesse o utilità. Contemporaneo infatti, come ebbe a ricordare Giorgio Agamben, non è ciò che coincide semplicemente con il proprio tempo, ma ciò che è in grado di affrontarlo, di leggerlo a partire da uno scarto, da un'anacronia interna. È in questo scarto prezioso, vitale, che si colloca il lavoro di Tagliapietra che, a partire dalla storia e dall'iconografia dell'idea di pazienza, interroga il cuore delle nostre esistenze visto che, scrive Tagliapietra nell'introduzione, «l'impazienza può essere ritenuta la cifra contemporanea dell'esperienza soggettiva o, se si vuole, la causa della sua mancanza».

In questo senso il libro, che come altri dell'Autore sembra quasi, con pudore, nascondersi dietro la forma della storia delle idee, è un libro genuinamente filosofico, guidato da un'idea greca di filosofia di cui oggi più che mai, come aveva ben compreso Foucault nell'ultimo periodo della sua vita, abbiamo bisogno: «La filosofia stessa, quando è degna della vocazione inscritta nel suo bel nome greco, non mira a nient'altro che a restituirci, per abitarlo, questo inesausto luogo dove l'esperienza del senso delle cose è tutt'uno con la grazia del moto dei corpi e con l'ebrezza appagata del referto dei sensi». La tesi del libro è originale e forte. Non si tratta di fare l'elogio nostalgico di un'antica virtù perduta, ma di interrogare una dimensione essenziale della nostra vita di cui facciamo esperienza nell'unità di mente e corpo, nell'animale che dunque siamo per riprendere una formula derridiana che riecheggia tra le pagine del libro. Il percorso di Tagliapietra attraversa costrutti culturali, ma guarda al corpo vivente che siamo. Qui si radica la nostra potenza di patire, stare, persistere. Qui insiste la nostra pazienza, nonostante tutto. Per giungere fin qui, al di là dei discorsi umani troppo umani di filosofia e teologia, occorre misurarsi con quelle forme di pensiero in cui l'uomo, esplorando la metafora animale, ha provato a comprendersi in uno spazio di indistinzione con l'animale, nell'immanenza della sua nuda vita al di là dei limiti dell'«io penso». Così una filosofia della pazienza come interrogazione della profondità della nostra vita volge necessariamente la propria attenzione verso la rappresentazione pittorica dei cani come icone del tempo della vita, di quella «temporalità che sembra essere il dato immediato della nostra intimità vivente», lì dove non misuriamo la durata ma la sentiamo, per usare le parole di Bergson.  Questo tempo è il tempo della pazienza.

Tagliapietra ne indaga le molteplici forme e declinazioni partendo dal dipinto "Due cani da caccia legati a un ceppo" (1548-50) di Jacopo Bassano, fino ad arrivare ai cani di Franz Marc, Francis Bacon, passando per Albrecht Durer e Francisco Goya. Ma più ci si immerge nella lettura più ci si accorge come l'indagine sulla pazienza sia un'interrogazione sul tempo della vita che vive, quella vita che Heidegger, citato da Tagliapietra, ritrovava nell'antico etimo del verbo essere. D'altra parte la parola tempus, scrive Tagliapietra, al plurale, tempora, significa  anche «tempie», il luogo in cui si sentiva nell'antichità il battito del cuore. E al cuore si rivolgeva Ulisse, eroe della pazienza mitica, per indurlo a sopportare, pazientare: «Sopporta, cuore!» Guardando al mondo greco, emerge chiaramente come la pazienza non abbia nulla della passività o della rassegnazione, ma sia davvero la virtù dei forti, di chi ha la capacità di restare saldo, tenere la posizione, attendere nonostante tutto. E la pazienza come karterìa, che si lega alla forza d'animo e al coraggio e che fa il paio con l'hypomoné, l'altro nome greco di pazienza come forza di mantenere la posizione di cui il guerriero della falange oplitica è un'incarnazione. È la pazienza di Argo, il cane di Ulisse raffigurato in "Penelope al telaio" (1764) di Angelica Kauffmann: sdraiato ai piedi di Penelope che sta disfacendo la tela, il muso poggiato sull'arco di Ulisse, Argo, il manto pezzato bianco e marrone, attende paziente il ritorno del suo padrone, o meglio, è questa «attesa che non si fa distrarre o ammansire dalle condizioni avverse».

Ora, questa pazienza animale, ci mostra Tagliapietra, fa corpo e carne con l'esperienza stessa del pensare, che si sottrae così agli angusti limiti di un io sovrano, per farsi potenza di ricevere, potenza di accogliere ciò che accade a un corpo che vive, vero cuore pulsante del libro. Per questo Argo può diventare il riferimento di quella corrente filosofica il cui nome fa corpo con il corpo stesso del cane: i cinici. Antistene, il caposcuola, era soprannominato «il puro cane», mentre Diogene di Sinope era detto semplicemente «il cane». Qui la filosofia si libera da ogni astratto fardello teorico, abbandona la speculazione per farsi modo di vivere, arte della vita, esercizio quotidiano di esistenza. Filosofo e cane si incontrano materialmente nella dimensione di una forma di vita altra. L'animalità non è più ciò da cui occorre distinguersi, rivendicando il possesso della ragione o del linguaggio, ma un compito etico da perseguire. Con le parole di Foucault: «L'animalità è un esercizio. È un compito per sé stessi e al contempo uno scandalo per gli altri».

- Simone Regazzoni - Pubblicato su TuttoLibri del 12/11/2022 -

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