Formatesi politicamente e pubblicamente in un contesto storico che le negava in quanto donne, le Comunarde hanno lottato per un'idea di collettività nuova, seguendo percorsi inattesi, fuori dalle narrazioni misogine dell'epoca. Hanno immaginato una società radicata su altre basi, che permettesse uguaglianza e pieno esercizio della cittadinanza a stranieri e francesi, borghesi e proletari, uomini e donne. Nell'anno del 150° anniversario, questo saggio riconosce la voce delle donne che hanno dato vita alla Comune di Parigi e al radicale mutamento dell'immaginario politico mantenendo lo sguardo sui corpi, sulle esperienze materiali e sulle pratiche collettive. Alle generazioni successive ricordano che niente è mai acquisito quando si tratta di uguaglianza dei sessi, che il progetto politico deve orientarsi in modo plurale e che i rapporti di genere si danno sempre su piani intricati e stratificati. Tutto ciò comporta rileggere questa esperienza con una postura femminista per rintracciare parole e azioni che parlino alla nostra contemporaneità. Più di tutto, le Comunarde dimostrano che anche le donne hanno il diritto di essere rivoluzionarie.
(dal risvolto di copertina di: "Comunarde. Storie di donne sulle barricate" di Federica Castelli. Armillaria, 12€)
Le ribelli della Comune
La filosofa politica Federica Castelli spiega perché quella di Parigi fu anche una grande esperienza femminista
- di Clotilde Veltri -
La Comune di Parigi non è stata solo la più significativa esperienza di autogoverno e partecipazione dal basso della storia contemporanea, ma anche uno straordinario laboratorio femminista in un contesto permeato dalla cultura dei Lumi che assegnava l’esclusività della vita pubblica all’uomo, e nonostante le censure di un movimento, quello socialista proudhoniano, fortemente misogino.
"Comunarde. Storie di donne sulle barricate" della filosofa Federica Castelli (Armillaria) spiega tutto questo e come l’avventura civile e politica della Comune sia da considerarsi un passaggio cruciale nella storia dell’emancipazione femminile, avendo lasciato in eredità un agire plurale, una solidarietà di genere, ma anche innegabili contraddizioni che, a distanza di 150 anni, interrogano ancora le donne di oggi. L’approccio della studiosa non è storico, come lei stessa denuncia, è piuttosto il tentativo di incardinare il ruolo e l’azione delle comunarde nella più grande tela delle rivendicazioni di parità e di cittadinanza negate soprattutto dalle forze rivoluzionarie/progressiste.
Racconta Castelli come all’alba del 18 marzo 1871 siano state proprio le donne a dare l’allarme dell’arrivo dell’esercito: da una parte delle barricate, innalzate da Belleville a Montmartre, ci sono i parigini ribelli, dall’altra i militari che rispondono al governo ripudiato di Adolphe Thiers. Quella che va consumandosi è una guerra civile, francesi contro francesi, sullo sfondo di un’Europa a sua volta dilaniata. Le donne invece di tenersi fuori dal conflitto, di riparare nelle case, si frappongono tra i due schieramenti e disinnescano con le parole lo scontro frontale. I soldati solidarizzano con i parigini loro fratelli, il sangue per ora non scorrerà. Nasce la Comune. E nasce grazie al dialogo voluto dalle donne, sottolinea la studiosa.
Da quel mattino e fino al 28 maggio, quando la bandiera rossa issata sull’Hotel de Ville cadrà nel sangue di una repressione durissima, le comunarde avranno il compito di condurre una doppia battaglia: partecipare al progetto politico rivoluzionario e rivendicare la legittimità stessa di tale partecipazione. La loro discesa nell’arena pubblica, alla pari con i compagni ribelli e non solo nella veste di infermiere o approvvigionatrici di vettovaglie, non è affatto scontata, anzi è osteggiata dalla cultura dominante che le pretende suddite devote: all’uomo, allo Stato, alla Chiesa. Lo stesso codice napoleonico lo ha già ribadito, rifiutando loro un’esistenza sul piano giuridico e definendole solo in rapporto a mariti, padri, fratelli. D’altra parte illuminismo e positivismo, scrive Castelli, continuano a relegarle all’ambito privato, casalingo, di cura della famiglia: impensabile e al limite del mostruoso che le donne, “per loro natura instabili e emotive”, abbiano un ruolo pubblico e politico, peggio, partecipino allo scontro. Ecco perché la nascita di un’armata femminile, circa 10mila donne salirono sulle barricate, diventa una delle grandi conquiste di questa rivoluzione. Quando imbracciare le armi sarà l’unica possibilità di sopravvivenza contro l’oppressore anche le donne vorranno esserci. Come scriverà Louise Michel, una di loro: «E le armate della Comune contarono nelle loro compagnie donne cantiniere, infermiere, soldati, ovunque frammischiate, senza distinzione».
Se le forze della restaurazione useranno tutti i mezzi disponibili per annichilire le ribelli — che finita la stagione comunarda saranno deportate, condannate a morte, screditate — la fake news delle pétroleuses ancora aleggia nella storiografia e nella memoria — i più grandi detrattori saranno proprio i compagni di lotta, primi tra tutti i socialisti dell’Internazionale la cui adesione rivoluzionaria non contemplerà mai un diverso approccio alla questione di genere. Castelli non vuole tradurre la storia di queste donne nella storia di poche eroine, in qualità di femminista porre l’accento su una manciata di loro oscura la forza e l’azione di tutte le altre. Eppure è davvero difficile non far riferimento ai nomi di quante hanno lasciato testimonianza: la scrittrice anarchica Louise Michel, la giornalista André Léo, l’attivista Paule Mink, la marxista Élisabeth Dmitrieff, l’anonima Victorine B. Ognuna si è battuta in modo diverso e persino con diversi ideali, ma insiste Castelli, sempre avendo come fine ultimo il riscatto delle donne da una condizione di inferiorità che neppure i più illuminati mettevano in discussione. Da Rimbaud a Verlaine a Hugo, i grandi poeti, nelle loro liriche, le dipingeranno sempre come icone eteree e romantiche e mai come donne reali. Ne faranno delle dee impalpabili e solitarie mentre loro volevano essere cittadine.
La breve esperienza del 1871, grazie a loro, produrrà una serie di riforme importanti ma soprattutto una vivacità politica e un metodo di partecipazione diffusa nei club, nell’associazionismo di base, nei comitati di vigilanza, che sono il segno distintivo della Comune di Parigi. Le donne resteranno invece quasi completamente escluse dai meccanismi di autogoverno. D’altra parte, spiega Castelli, a molte di loro non interessavano i diritti politici, volevano solo essere parte attiva della società, non sentirsi diseguali, marginali, reiette.
- Clotilde Veltri - Pubblicato su Robinson dell'8 maggio 2021 -
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