giovedì 24 giugno 2021

Profezie per il nostro presente !!

«Rieccola, la dolce aria di Parigi, satura di sole pallido.»
Nel gennaio 1926, dopo un comodo viaggio in vagone letto, Thomas Mann approda a Parigi in compagnia della moglie. Accolto come un vero e proprio «emissario dello spirito tedesco», trascorre nove giorni nella capitale francese, durante i quali incontra grandi personalità, pronuncia discorsi, intesse relazioni. Sfrecciando in taxi da un appuntamento all’altro per una Parigi «scintillante di luci e pubblicità», Mann incrocia personaggi singolari – come la memorabile figura del conte Coudenhove, convinto di poter unificare l’Europa in capo a un paio d’anni –, ma soprattutto si confronta con scrittori, attivisti e intellettuali che stanno cercando di costruire un futuro di pace.
Fra un pranzo a base d’ostriche e un ricevimento di gala, Resoconto parigino affianca questioni epocali – quali la riconciliazione tra Francia e Germania e lo scontro tra democrazia e nazionalismi – a pagine di ciarliera e divertita mondanità. Con la sua penna prodigiosa, Mann evoca intere tradizioni culturali e interroga l’ambigua relazione tra letteratura e politica.

(dal risvolto di copertina di: Thomas Mann, "Resoconto parigino". L'Orma editore, 136 pagine € 16,00.)

Thomas Mann va a Parigi
di Rita Monaldi e Francesco Sorti

« Dopo essere andati a zonzo per un po’ ci fermammo a mangiare da Prunier, in rue Duphot. Il pranzo da Prunier è d’obbligo; nonostante il suo carattere è il locale del momento […]. Sui tavolini ciotole piene di splendidi gamberi à discretion. Ci si siede a semicerchio su ampi sgabelli intorno ad un buffet e ci si rimpinza a volontà, sempre esclusivamente di pescato. I granchi con il pane bianco sono un ottimo passatempo per ingannare l’attesa della bouillabaisse ».
In questo passo, il Resoconto parigino (Pariser Rechenschaft) del grande Thomas Mann pare quasi un diario turistico. Pubblicato in originale da S. Fischer nel 1926 e ora per la prima volta nella versione italiana di Marco Federici Solari (Edizioni L’orma), offre invece molto di più. Dal poliglotta Mann, che padroneggia perfettamente la lingua di Molière, arriva un documento storico prezioso, uno spaccato social-letterario dell’Europa tra le due guerre, e una lezione di acume e cultura per i roboanti Ahnungslose esaltati dalle moderne ribalte.
Il titolo originale è rivelatore: Rechenschaft vale «resoconto», ma anche «rendiconto» dopo un incarico. Una missione diplomatico-culturale in piena regola fu infatti il viaggio compiuto da Thomas Mann all’inizio del ’26. Partito da Magonza in vagone letto, approdò a Parigi la mattina del 20 gennaio con un fitto carnet di incontri: politici, intellettuali, giornalisti e autentici agitatori della scena europea come il chiacchieratissimo conte Coudenhove-Kalergi che — chiosa l’editore — contava di realizzare l’unione europea in un paio d’anni.
Bene ha fatto Federici Solari, che di L’orma è anche editore, a far conoscere questo testo affascinante ambientato nella «dolce aria di Parigi, satura di sole pallido». Le auto già rendono difficile attraversare i boulevard, la città trabocca di vita e di piaceri: «Le cose buone costano poco: i vini, i liquori, i saponi raffinati, l’acqua di colonia e i formaggi ricercati». Non a caso passarsela bene si dice «vivere come Dio in Francia».
L’autore di La morte a Venezia è al culmine della popolarità: tre anni dopo avrebbe ricevuto il Nobel, le sue conferenze vengono prese d’assalto. È uno scrittore-simbolo della coscienza morale collettiva. Un perfetto inviato, quindi, per sondare la temperatura politica in Francia, incontrando in modo informale grossi calibri come Painlevé (ministro della Guerra), Berthelot (segretario di Stato agli Esteri) o Daladier (ministro della pubblica istruzione). Il tutto sotto l’ombrello interessato della fondazione americana Carnegie, e dell’influente Union pour la Verité di Paul Desjardins, a cui afferirono nel tempo Gide, Saint-Exupéry, Mauriac, Sartre, Malraux, Paul Valéry e molti altri.
Nel 1914 lo stesso Thomas Mann in Gedanken im Kriege aveva definito la guerra contro la Francia una «liberazione» e una «purificazione», in cui la Germania poteva dispiegare «tutta la sua virtù e bellezza», una postura ideologica che poi si rimangerà. La sua presenza a Parigi, ancora cosparsa di macerie della Grande Guerra, avrebbe fatto da cartina di tornasole degli umori francesi. Scaltro, lo era a sufficienza («maestro sommo di ambiguità» per Italo A. Chiusano; «rettile» per Brecht).
La girandola di incontri è camuffata sotto un mondano entusiasmo filofrancese alla Stefan Zweig (Il mondo di ieri), o con un pizzico di compiacimento à la Malaparte (Diario di uno straniero a Parigi). Tra serio e faceto, Mann ritrae un’intera pittoresca galleria di esuli zaristi, fuorusciti italiani, fotografi ungheresi e reporter americani, ma anche figure commoventi come il grande scrittore russo in esilio Ivan Šmelëv.
Dopo le aragoste di Prunier ci sono i pranzi al Café d’Orsay a base d’ostriche e Bordeaux Graves Supérieurpieno di carattere»), i pomeriggi al Louvre contemplando Watteaudi tenero e perlaceo splendore») e i continui flash dei fotografi («l’ennesimo shock al magnesio a beneficio dei giornali»). Dopo il teatro si cena da Weber in rue Royale, «sorseggiando Heidsieck». Esibisce le sue tipiche formulazioni verschachtelt, sussiegose come Goethe e involute come scatole cinesi: «In imprese come queste, perfino le vanità più puerili esercitano una loro influenza sulla realtà, e quindi siffatte imprese non si devono considerare come una forma di obbedienza a un senso del dovere né tantomeno vanno appesantite con la pompa di una morale, benché sia innegabile che rimanga loro attaccata una certa violenza etica, un elemento innaturale».
Ma il gioco letterario è apparenza; conta la politica. Pochi mesi prima tra le potenze europee è stato siglato il patto di Locarno (tra i garanti c’è l’Italia fascista): per la nazione tedesca, umiliata dalla Grande Guerra, si spiana la strada alla Società delle Nazioni. Mann asseconda questa fase: ebbene sì, la Germania col suo miscuglio di «romanticismo e rozzo affarismo imperialista» suscita una «universale antipatia»; ma il popolo di Goethe non è un «nemico dell’umanità» (K.E. Franzos: «la nazione meglio odiata d’Europa»); con i francesi anzi «i tedeschi possono trovare un punto di contatto profondo e urgente». Il problema semmai è «il disgusto per la democrazia parlamentare e per la mala amministrazione dei partiti», che ormai «è divenuto un fenomeno internazionale». Sembrano profezie per il nostro presente.
La soluzione? Quella di Coudenhove-Kalergi: governo europeo a tutti costi. «Si parlò della democrazia, e dissi quel che pensano tutti, ossia che in un certo senso oggigiorno sia piuttosto un ostacolo (…). Quel che ci vorrebbe oggi in Europa è una dittatura illuminata». E l’ambasciatore tedesco lo appoggia. In fondo, votare non è everyone’s cup of tea: «Il popolo tedesco si comporta con la democrazia come gli antichi Germani con il cristianesimo: teme — forse a ragione — di venirne indebolito».
Già nelle Confessioni di un impolitico (Claudio Magris: «un manifesto reazionario»), Mann dichiarava il suo paese incompatibile con i principi democratici. Stefan Zweig gli darà ragione: della libertà i tedeschi «non sanno che farsene».
Coudenhove-Kalergi invece secondo Mann è «uno degli esseri umani più straordinari e, sia detto per inciso, più belli che io abbia mai incontrato». Non è pacifista: ha una «etica eroica». Davanti a Kalergi, austriaco ma di madre giapponese, «il tedesco medio è tenuto a sentirsi un assoluto provinciale». E il progetto di Europa è «solo un modo per preparare il terreno, la condizione preliminare di un’opera più alta, di natura estetico-morale».
La traduzione di Federici Solari è piacevole e ben curata; anche le apparenti imprecisioni (Tischchen reso con «tavolo» e non «tavolino») trovano giustificazioni stilistiche. Fruttò qualcosa, il viaggio parigino del grande scrittore? A lui forse no: mentre saliva sull’Orient Express per rientrare in Germania, racconta, lo attendevano «incomprensioni e infamie». E l’accusa di aver fatto il gioco dei francesi. Gli sceriffi descamisados, col loro corteggio di larve e lèmuri, non sono un’esclusiva dei nostri tempi.

- Rita Monaldi e Francesco Sorti - Pubblicato su Robinson il 15/5/2021 -

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