A partire dal Settecento, i più diversi campi del sapere sembrano esprimere un rinnovato interesse, animato da una nuova volontà di controllo e disciplinamento, verso sessualità e identità di genere: chi e cosa è “normale”? E perché? La storia di queste domande è intrecciata a quella delle risposte, individuali e collettive, resistenti e creative, prodotte dalla comunità LGBT+: una storia che abbraccia ben più dei destini di una minoranza e parla al nostro presente nella sua interezza. L’obiettivo di questo libro è di interrogare storicamente il processo che conduce all’individuazione di un gruppo della popolazione accomunato da alcuni tratti che sfuggono alle norme su genere e sessualità dell’età contemporanea, messe a punto teoricamente nell’Occidente europeo e nordamericano tra il XVIII e il XIX secolo e contestualmente tradotte in pratiche concrete che ancora oggi regolano le nostre vite. La comunità così individuata non è qui considerata come un gruppo omogeneo: al centro di questo volume si trovano, al contrario, proprio le differenze – e i conflitti – tra le varie soggettività ed esperienze che animano un insieme eterogeneo, dislocato su scenari culturali e geografici profondamente diversificati. Una trama discorsiva comune, tuttavia, innerva il campo dei saperi e delle pratiche relative a generi e sessualità informando l’intero spazio sociale e culturale: è la tessitura di questa trama che il libro si propone di restituire a chi legge.
(dal risvolto di copertina di: Maya De Leo, «Queer». Einaudi, pp. 272, € 19)
Arrestate quei due lacchè che dormono insieme, turbano i parigini con i loro atti ignobili
- Dai verbali della polizia francese del settecento ai Pride, dai moti di Stonewall alla peste dell’Aids: la storia culturale delle comunità LGBT+ in Occidente e delle battaglie per il riconoscimento dei loro diritti -
di Pasquale Quaranta
Nel 2017 si diffuse la notizia che Maya De Leo avrebbe insegnato Storia dell’omosessualità all’università di Torino. Tra le reazioni ci fu quella di Forza Nuova che appese uno striscione davanti ai cancelli di Palazzo Nuovo: «La storia è una cosa seria, l’omosessualità no». Non mancarono polemiche, dalla potente «lobby gay» alla «dittatura gender» che si estenderebbe dalle scuole al mondo accademico.
«Un vero e proprio indottrinamento del pensiero unico», «perché non fanno un corso sull’eterosessualità?». Quello della professoressa De Leo, annunciato dai giornali come «prima cattedra gay d’Italia», era un corso al Dams tenuto da una docente a contratto per sei crediti formativi. Nessun obbligo per gli studenti che erano liberi di inserirlo nel piano di studi. Eppure, fu una piccola rivoluzione nel panorama accademico italiano.
Romana, un dottorato a Pisa con una tesi sulle rappresentazioni dell’omosessualità tra Ottocento e Novecento, Maya De Leo ricorda oggi la solidarietà del Rettore, della Prorettrice, degli studenti: «Ero tranquilla, gli allievi mi hanno sostenuta durante i miei quattro anni di insegnamento dal 2018 ad oggi, un centinaio di esami all’anno. Tuttavia, mi sono resa conto del livello di ostilità che questi studi sono in grado di suscitare». Prima dell’università di Torino, pochi in Italia avevano osato proporre i «gay and lesbian studies» (gli studi che negli Stati Uniti avevano già cattedre dedicate): Marco Pustianaz all’università del Piemonte Orientale, Domenico Rizzo all’Orientale di Napoli, Lorenzo Bernini a Verona. Uno dei pionieri è stato Francesco Gnerre, professore a contratto a Roma Tor Vergata, che dal 2001 al 2009 ha tenuto corsi di «Studi culturali e studi gay» all’interno della cattedra di Teoria della letteratura di Raul Mordenti. Quello di De Leo si annovera tra i pochi insegnamenti che hanno avuto il coraggio di chiamarsi con il proprio nome, di scrivere nero su bianco le parole gay, lesbica, omosessualità. «In realtà il titolo del corso non l’ho scelto io - confessa - ma l’università. Però serpeggia sempre questa preoccupazione, da parte di alcuni accademici, che chi fa storia lgbt non abbia il necessario rigore scientifico, o che si tratti di una storia molto settoriale. Invece a me interessa sottolineare come la storia lgbt aiuti a comprendere meglio alcuni discorsi più generali di storia contemporanea, come ad esempio il ruolo della sessualità nella formazione degli Stati-nazione, o delle guerre mondiali, dei totalitarismi e successivamente del consumismo. Queste cose sono legate. Fare storia lgbt può arricchire la narrazione storica. Qualcuno ha chiesto ai miei studenti “Perché segui il corso sulla Storia dell’omosessualità se sei eterosessuale?”. Spero che questo libro risponda anche a questa domanda». I contenuti delle lezioni che De Leo ha portato a Torino, dopo l’insegnamento di Storia di genere all’università di Genova, sono raccolti ora in un volume di 260 pagine dal titolo Queer. Storia culturale della comunità LGBT+.
Si occupa del periodo che va dal XVIII secolo ad oggi e analizza il contesto nordoccidentale, muovendosi tra Europa e Stati Uniti, «poiché è qui che vengono messe a punto le concettualizzazioni attorno a generi e sessualità queer divenute egemoniche nel contesto globale in cui ci muoviamo oggi». Il testo attraversa le guerre mondiali, la repressione del dopoguerra, la fierezza dei moti di Stonewall e le tante «Stonewall» europee, le prime associazioni e i percorsi di liberazione, gli anni bui dell’Aids, quella «peste gay» che cancellò un’intera generazione, l’attivismo di Act Up e ancora i Gay Pride, la rivoluzione fluida delle persone transgender oltre il binarismo maschile/femminile.
Partiamo dalla parola «comunità». L’esperienza di marginalità subita a causa dei pregiudizi sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere non basta, si dirà, a unire le persone, a farne automaticamente comunità. Ma l’autrice ne è consapevole: «Non è un gruppo omogeneo, al centro del libro si trovano, al contrario, proprio le differenze, i conflitti tra le varie soggettività dislocate su scenari culturali e geografici diversi. Viste dall’esterno le persone sono però accomunate dal fatto di non rientrare nelle norme relative al genere e all’orientamento sessuale del proprio tempo: ecco il tratto comune. Viste dall’interno, esse elaborano narrazioni, strategie, pratiche di resistenza, fanno rete. E alla fine si trovano, malgrado tutto, a compiere percorsi personali e politici comuni, a occupare spazi fisici per ritrovarsi: tutto questo è comunità».
Come fanno a stare nello stesso titolo «queer» e l’acronimo lgbt+? Se essere lesbica, gay, bisessuale e transessuale sono identità ben definite e strutturate quanto l’essere eterosessuale, cosa c’entra il concetto di queer? «Lgbt+ è una sigla aperta che tiene insieme diversi profili che sfuggono alla cis-etero-normatività, sfuggono cioè alla norma che ci vuole tutti eterosessuali, fino a prova contraria, e che siamo maschi e femmine secondo il genere assegnato alla nascita (l’opposto è appunto transgender). Il queer del titolo, in questo senso, è rivolto collettivamente a tutte le soggettività protagoniste di questo libro, situate in diversi contesti storici, che sfuggono anche, in molti casi, alle nostre categorizzazioni».
Possiamo dire che in questo libro ci sono le radici del movimento omosessuale e transessuale? «Radici è un concetto problematico: implica che i soggetti che ho raccontato, dal Settecento in poi, siano i nostri avi». Perché non lo sono? «A mio avviso - spiega De Leo - raccontare la storia lgbt+ in termini di genealogia rischia di non fare un buon servizio né al passato, che va rispettato nella sua alterità, né al presente che è portatore di istanze proprie. Possiamo certamente identificarci, provare un senso di affinità ed empatia, tuttavia resta fondamentale la consapevolezza dei rischi che l’appiattimento sul presente può comportare nella nostra lettura sul passato. Al di là dell’aspetto identitario, ho cercato di capire come un gruppo di persone è arrivato ad affermarsi come comunità. Il focus del libro non è su una delle identità dell’acronimo ma su quello che accomuna tutti gli scarti dalla norma cis-eterosessuale». Un’altra parola presente nel titolo è «storia». C’è un «desiderio queer di storia» che anima il libro e che, al tempo stesso, il libro appaga. Qual è l’origine di questo desiderio? «C’è una sete e una fame di storia nella comunità lgbt+ e queer che serve a validare orientamenti sessuali, identità ed espressioni di genere, che scartano la norma». Sono saperi e storie d’amore sempre esistiti ma spesso interdetti che forse per questo, ancora oggi, destano meraviglia. Come uno degli aneddoti presenti nel volume che riguarda un verbale di polizia del 1749 sulle abitudini di due lacchè parigini incappati negli agenti deputati alla repressione della pédérastie: «Duquesnel e Dumaine dormono insieme da due anni. Non erano capaci di addormentarsi senza essersi toccati a vicenda e aver commesso atti ignobili. Duquesnel aveva quasi sempre bisogno di stendere il braccio lungo la testiera sotto la testa di Dumaine. Altrimenti non riusciva a riposare».
Stupore che si ritrova anche nelle storie che riguardano la comunità lesbica, a cui la copertina del libro rende omaggio con una foto del Monocle, un famoso locale notturno «per donne». Siamo negli anni Venti, sempre a Parigi, e l’immagine mostra delle clienti abituali che conversano, ridono e si scambiano effusioni, sfoggiando anche abiti maschili, capelli corti pieni di brillantina e, appunto, monocoli. E arriviamo alla parola «cultura». Secondo De Leo è a partire dal XVIII secolo che i «sodomiti» cominciano a essere identificati come un gruppo, «un segmento della popolazione che non solo condivide un’inclinazione sessuale, ma anche un linguaggio e un insieme di comportamenti che lo identificano». Prima di allora una «sottocultura» lgbt+ era assente dal momento che la sodomia, per quanto punibile e punita, era integrata nella cultura maschile dominante: «Esisteva infatti un’unica cultura maschile che contemplava e integrava, pur stigmatizzandola, anche la possibilità di relazioni di tipo omosessuale». Cosa è successo dopo? «Dopo il crollo della società basata sul ceto, l’inizio dell’età contemporanea, con la sua nuova attenzione alle politiche demografiche, ha profondamente riconcettualizzato le differenze di genere e alcuni comportamenti sessuali hanno assunto nuove implicazioni politiche. Il binarismo di genere si è imposto come nuovo cardine attorno al quale costruire le identità di cittadini-soldati e cittadine-madri per i nuovi Stati-nazione. Così, ad esempio, chi prima agiva comportamenti “sodomitici” adesso diventa un “soggetto omosessuale”, in quanto tale minaccioso per l’intero corpo sociale della nazione. Reciprocamente, le strategie di resistenza della “nuova” comunità di devianti così individuata includono la creazione di un linguaggio specifico per sfuggire alla comprensione degli altri, una necessità di comunicare senza essere troppo letti dall’esterno. Nascono così, pian piano, certi riferimenti culturali comuni, luoghi di ritrovo, un pensiero e una politica comuni». Si può parlare in questo senso di storia e cultura omosessuale? «Certo. Metterei l’accento anche sulle interconnessioni tra la storia lgbt+ e tutto il resto dello spazio culturale, sociale, economico. La vita delle persone lgbt+ cambia perché cambia il modo di immaginare la differenza sessuale in generale». Un volume che Einaudi pubblica riconoscendo valore e dando dignità a un’intera comunità.
- Pasquale Quaranta - Pubblicato su Tuttolibri del 22 maggio 2021 -
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