Delio Cantimori (1904-1966) è noto soprattutto come lo storico degli eretici e degli esuli nell’Europa del Cinquecento, ai quali dedicò un libro fondamentale, Eretici italiani del Cinquecento, pubblicato nel 1939 e divenuto un classico della storiografia. Ma Cantimori scrisse pochi anni dopo, in piena guerra, un altro libro, meno noto e tuttavia destinato ad avere una duratura influenza sotterranea negli studi di storia: Utopisti e riformatori italiani, 1794-1847. Ricerche storiche. Era il 1943, un tornante drammatico per la storia d’Italia e per la stessa biografia dello storico, in gioventù mazziniano, poi fascista acceso, a quelle date già approdato al comunismo. Convinto che le idee camminano sulle gambe degli uomini, Cantimori sviluppava in quel libro le implicazioni politiche delle dottrine di tolleranza e spirito critico che aveva già ricostruito per il Cinquecento europeo, allargandone la ricezione al periodo immediatamente successivo all’Illuminismo: dalla Rivoluzione francese al 1848. A fare da protagonisti erano gli ideali e i programmi di coloro che, tra il Terrore giacobino e i primi passi del movimento operaio, intesero rifondare dalla base la società, portando alle estreme conseguenze – e tentando di realizzare – le aspirazioni che avevano animato gli spiriti errabondi dei perseguitati nell’Europa del Cinquecento. Mai più ripubblicato dal 1943, Utopisti e riformatori torna ora in una nuova edizione, corredata da altri scritti cantimoriani sullo stesso argomento e periodo, e arricchita da una prefazione di Adriano Prosperi e da un’introduzione di Lucio Biasiori e Francesco Torchiani, che aiutano a comprendere il contesto in cui questo libro vide la luce e a chiarirne l’influenza sulla cultura storiografica e politica del dopoguerra, evidenziando la capacità di Cantimori di aver saputo guardare a quella storia «in tutt’altra luce».
(dal risvolto di copertina di: Delio Cantimori, "Utopisti e riformatori italiani". Donzelli 2021, pp. 328 € 28,00)
Le ragioni e l'ingenuità degli utopisti italiani
- di Michaela Valente -
A quasi ottant'anni dalla prima edizione, Donzelli pubblica, arricchendolo di altri saggi, "Utopisti e riformatori italiani" di Delio Cantimori, con una premessa di Adriano Prosperi e un'introduzione di Lucio Biasiori e Francesco Torchiani. Quando fu pubblicato nel 1943, questo affresco corale rispondeva a un preciso orientamento; sotto le macerie della guerra, esplorava vie sotterranee per scovare utopie e idee di riforma di alcuni autori che, nell'arco della parentesi giacobinica alla stagione risorgimentale (1794-1847), pensarono a un'Italia unita e convintamente alla ricerca di libertà e uguaglianza. Si trattava di utopisti e riformatori pervasi da «ingenua fiducia», che avrebbero dovuto fare i conti con entusiasmi traditi e rassegnate delusioni.
Da sempre gli sconfitti piuttosto che i vincitori avevano attirato la curiosità di Cantimori, un interesse che il suo maestro Giovanni Gentile gli rimproverava bonariamente. Quanto fosse ancora pulsante in lui la vena di quelle aspettative e delle conseguenti disillusioni non è dato sapere, ma è significativo che sia più nota la sua parabola dal fascismo al comunismo delle importanti pagine di studi storici che ci ha lasciato. Grazie a questa iniziativa editoriale, ci incamminiamo in una galleria di figure, dipinte con passione e con una lettura, nel contempo, distaccata e partecipe. Vincenzo Russo, Filippo Buonarroti, l'abate Tocci, Enrico Michele L'Aurora, Andrea Luigi Mazzini, nomi che oggi dicono poco, espressione di un movimento che affiora e si inabissa. Le loro pagine contengono appelli alla riforma agraria e altre aspirazioni destinate a infrangersi nell'urto con la realtà. Cantimori restituisce loro la voce ed «evoca un'aura, una atmosfera» di audaci proposte, pur conoscendone l'esito fallimentare.
- Michaela Valente - Pubblicato sul Corriere del 4/5/2021 -
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