Sul marxismo tradizionale nella sua variante leninista-trotskista
(Robert Kurz)
La base teorica e ideologica di questo modo di pensare, consiste di una comprensione specificamente sociologica sia della socialità che delle formazioni sociali. La decisiva critica formale del moderno sistema borghese, è stata rimossa dalla teoria di Marx, ed è stata volgarizzata in maniera unilaterale sotto forma di «marxismo», in modo che così quella che era l'analisi incisiva della forma merce, contenuta nella marxiana critica del feticismo, è stata eliminata, bandita in un aldilà teorico e storico, simultaneamente accusata di essere oscura, per meglio dire è stata degradata al rango di semplice fenomeno di coscienza. Anziché una concettualizzazione della forma del sistema produttivo di merci, insieme alla storia della sua progressiva instaurazione, si è pertanto imposto il concetto tronco di «classi in lotta», preteso come spiegazione finale della socialità: in tal modo il continuum diviene "costituens". Ed ecco che così, del fenomeno derivato delle classi sociali, ne viene fatta un essenza che non deve più essere messa in discussione.
In questo modo, ad essere criticato non era più il capitale stesso, ma piuttosto «i capitalisti», i quali dovevano essere rappresentati come i soggetti personali del rapporto sociale di mercato, in realtà senza soggetto.
Questi misteriosi meta-soggetti sociali mistificati, le «classi», acquistano in tal modo una carattere sorprendentemente familiare, simile a quello degli dei dell'Antichità, e come loro assumono un comportamento estremamente terreno. Abbiamo, pertanto, in questo modo, una categoria sociale analitica, la «classe operaia», che diviene un personaggio collettivo vivente, dotato di un'identità coerente, che si comporta quasi come se fosse una persona vivente, indipendentemente da quelli che sono i veri e propri individui empirici.
L'esistenza di questa classe, trovava le proprie basi in una falsa ontologia del lavoro, il quale non veniva più inteso come se fosse un momento e un aspetto del sistema feticistico della merce, ma piuttosto in una maniera quasi biblica («protestante», per la precisione), come se fosse l'essenza eterna dell'umanità, violentata da dei soggetti «sfruttatori» esterni: i «capitalisti».
Al contrario, la presunta emancipazione del rapporto capitalistico si basava sulla destituzione dei «capitalisti», oppure, nel peggiore dei casi, sulla loro eliminazione, alla maniera giacobina; la posizione assunta dai critici «di sinistra» di Lenin, è qui ancora più borghese-giacobina: nella loro innocenza, proponevano, come pretesa alternativa al «capitalismo di Stato», l'«eliminazione totale della borghesia».
Agli occhi del vecchio movimento operaio, le argomentazioni di Lenin dovevano apparire perfettamente plausibili. Al punto che il lavoro, amputato di ogni determinazione storico-sociale, veniva considerato come se fosse il fondamento positivo di ogni possibile, e concepibile, «socialismo»; e in ultima analisi la stessa cosa doveva valere anche per le categorie di base del sistema di produzione delle merci. In Lenin (e non solo in lui), la designazione del lavoro astratto come forma di capitale è del tutto assente. Al contrario, il lavoro ricompare come categoria positiva, in quella che è la sua concezione straordinariamente volgare, approssimativa e deprivata di qualsiasi concettualizzazione, sotto forma di una «contabilità economica» che viene associata all'«ultima parola della tecnologia del capitale» (!) e alla «scienza più moderna», e infine all'«organizzazione statale pianificata».
- Robert Kurz - da "Il collasso della modernizzazione. Dal crollo del socialismo da caserma alla crisi dell'economia mondiale". Mimesis 2017. -
Nessun commento:
Posta un commento