martedì 8 giugno 2021

Dalle finestre, forse …

In questi saggi, scritti da Debord fra il 1955 e il 1988, ritroviamo a più di trent'anni di distanza un'altra delle sue geniali intuizioni, ossia la prefigurazione di una società in cui la pur necessaria lotta contro l'inquinamento avrebbe presto assunto un carattere statuale e regolamentare buono solo a creare nuove specializzazioni, nuovi dicasteri, nuove burocrazie… Così, sullo sfondo della celebre critica situazionista alla società dello spettacolo, se ne delinea un'altra altrettanto implacabile: quella a un certo ecologismo mistificatorio, molto alla moda, che non a caso si è con il tempo trasformato nell'immancabile complice della green economy. Per contrastare un simile appiattimento dell'ambiente e il conseguente addomesticamento comportamentale dei suoi abitanti, bisogna piuttosto ripartire dagli spazi della vita quotidiana, da quella pratica psicogeografica che consente di sperimentare un uso ludico del territorio e dunque realizzare possibilità inedite, persino fantascientifiche. E sta qui il senso che attraversa gli scritti di Debord: in una situazione come quella in cui ci troviamo a vivere, non ci resta che «considerare il peggio e combattere per il meglio».

(dal risvolto di copertina di: "Ecologia e psicogeografia", di Guy Debord, a cura di Gianfranco Marelli. Elèuthera, 17€)

Guy Debord, l'autore da (ri)scoprire
- È triste vedere l'ecologia ridotta a "green economy" alla moda -
di Raffaele Alberto Ventura

Celebre per la sua "Società dello spettacolo", libro inverosimilmente ostico, il francese Guy Debord è uno degli autori più fraintesi della seconda metà del Novecento  - cosa che non gli ha impedito di diventare un simbolo delle occupazioni del Sessantotto e un libro di culto. Chi volesse capire perché il suo pensiero è oggi più attuale che mai farà meglio a entrare dalle porte secondarie o magari dalle finestre: una recente antologia di saggi editi e inediti ne fornisce in abbondanza. Curato da Gianfranco Marelli, già autore di due libri sull'Internazionale Situazionista fondata da Debord, questo "Ecologia e Psicogeografia" spazia da contributi giovanili ancora legati alla sensibilità delle avanguardie artistiche  e a commenti più inattesi sull'attualità politica. A dare coerenza alla raccolta è il tema dell'ecologia, che potrebbe sembrare anacronistico ma anzi mostra sia la coerenza del percorso intellettuale dell'autore francese che la sua dimensione precorritrice.
Se l'ecologia politica per come la conosciamo oggi nasce davvero negli anni 1970 anche grazie al primo allarmante rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo, trai suoi numerosi affluenti c'è la critica della società dei consumi che occupa gli intellettuali a partire dal Dopoguerra. Tra questi un giovane artista impegnato in un progetto di «superamento dell'arte» attraverso il lettrismo, il cinema sperimentale, la psicogeografia e la costruzione di situazioni. Poiché la cultura di massa non era in grado di offrire altro che spettacoli da contemplare passivamente nei cinema e nei musei, Guy Debord immaginava un'arte rivoluzionaria che fosse in grado di riappropriarsi della vita stessa. La psicogeografia, per esempio, consisteva nel trasformare lo stesso rapporto con lo spazio urbano in un'esperienza estetica, esplorando la città seguendo la propria ispirazione e disegnando mappe immaginifiche. Nelle parole dei situazionisti, si tratta dello «studio delle leggi esatte e degli effetti precisi dell'ambiente geografico, coscientemente strutturato o meno, che agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui». Questo è già di per sé un approccio «ecologico», nel senso originario di studio del rapporto tra i soggetti e il loro ambiente. Non a caso, nella sua Teoria della deriva del 1956 Debord cita vari sociologi interessati alla dimensione simbolica, e non soltanto funzionale, della città tra cui un teorico della scuola dell'ecologia sociale urbana di Chicago. Il gioco situazionista era indissolubile dalla denuncia della condizione anti-ecologica, e quindi anti-umana, del moderno parco immobiliare nel quale venivano stipate le classi operaie.
Tra la sua fondazione nel 1957 e la sua dissoluzione ne 1972, l'Internazionale Situazionista sviluppa in maniera sempre più esplicita la sua dimensione politica rivoluzionaria, in parallelo all'evoluzione del pensiero di Debord dalla polis alla politica in senso pieno. Così alle derive psicogeografiche faranno seguito l'urbanismo unitario, progetto di «composizione integrale dell'ambiente», e naturalmente le situazioni, come rivoluzione permanente e apocalisse di ogni attimo. Negli anni Sessanta, compiuti i trent'anni, lo psicogeografo muoverà verso riflessioni più teoriche che culmineranno nella Società dello spettacolo, un oracolare trattato di filosofia politica che denuncia le contraddizioni della modernità, prima tra tutte la separazione istituita dalla divisione del lavoro; separazioni dei soggetti dal prodotto del loro lavoro, come per primo aveva denunciato Hegel; separazione dei soggetti dall'esperienza della propria esistenza oramai mediata dal consumismo; separazione dei soggetti tra loro.
Come sottolinea la densa prefazione di Marelli, il giovane psicogeografo si era avvicinato all'ultrasinistra del gruppo Socialisme ou Barbarie, che criticava l'Unione Sovietica tanto quanto il capitalismo occidentale, sviluppando una critica della società moderna sul piano morale, quello dell'alienazione. In aperta opposizione con la società borghese ma anche con la vulgata marxista, Debord rifiuta una visione della società centrata sulla sola razionalizzazione economica per sviluppare una vera e propria ecologia sociale capace di tenere assieme la totalità dell'esperienza umana.
Contrariamente agli intellettuali comunisti, Debord non credeva che il capitalismo fosse afflitto da una contraddizione di tipo economico. Al contrario, su quel piano esso aveva definitivamente trionfato. I punto debole del sistema era semmai il malessere che continua a produrre quella vita scissa: ad esempio il malessere dei neri americani, che pur materialmente sempre più ricchi continuavano a stare in basso alla gerarchia sociale, perciò costretti a vivere nella luce riflessa dei consumi della popolazione bianca. Sono dunque gli effetti collaterali che devono essere presi in considerazione, in un'ottica che sottomette l'economi a una più ampia ecologia sociale. Quanto all'ecologia vera e propria, essa fa la sua apparizione roboante in un  testo qui pubblicato, a lungo inedito e considerato di culto: Il pianeta malato, del 1971. Qui Debord nega, forse rivolto al sé stesso di quindici anni prima, che il problema della società dello spettacolo sia semplicemente estetico: si pone ormai la questione della «possibilità materiale dell'esistenza» del mondo. Inquinamento dell'aria e dell'acqua, prodotti chimici, radioattività, plastica ma anche il boom demografico, il rumore, la malattia mentale, i rischi di guerra atomica e batteriologica.
Conseguenze del consumismo sfrenato con cui la società dello spettacolo era riuscita a comprare il consenso delle popolazioni, risolvendo le contraddizioni del sottoconsumo per ritrovarsi in casa un nuovo e più drammatico ordine di contraddizioni. Le soluzioni della sinistra erano, per Debord, parte del problema, a partire dalla lotta burocratica contro l'inquinamento, concepita soltanto per creare nuovi posti di lavoro e nuovi rapporti di potere. Unica alternativa al collasso annunciato del capitalismo, la riappropriazione da parte dei lavoratori della propria vita, oltre lo spettacolo. Una speranza rivoluzionaria che il filosofo francese non avrebbe mai abbandonato, ma che oggi sembra essere più lontana.

- Raffaele Alberto Ventura - Pubblicato su Tuttolibri dell'8 maggio 2021 -

Nessun commento: