Quale funzione culturale ha svolto la critica cinematografica negli anni d’oro della produzione e del consumo di film in Italia? Quali sono stati i luoghi principali da cui si è saputo costruire un discorso critico capace di muoversi dentro il più ampio dibattito culturale nazionale? Quali forme ha saputo prendere questo discorso e quali comunità di lettori è riuscito a raccogliere? Il volume delinea una mappatura geografica e ideologica delle riviste di settore, studia la pervasività dei temi cinematografici nei periodici di ambito letterario, teatrale, artistico, nei quotidiani e in alcuni rotocalchi, si interroga sull’autorevolezza e sul potere della figura del critico e sui processi di istituzionalizzazione della pratica critica, individua l’importante ruolo delle donne, studia la funzione delle immagini e il confronto con la sempre più complessa idea di cultura popolare. Mette a fuoco, attraverso traiettorie di ricerca ad ampio raggio, le azioni che hanno contribuito a formare una cultura cinematografica nel nostro paese.
(da risvolto di copertina di: "Culture del film. La critica cinematografica e la società italiana", a cura di M.Guerra e S. Martin. Il Mulino, 308 pagg. €24.)
Vale la pena vedere questo film?
- di Michele Guerra -
Walter Benjamin diceva che «recensire è un'arte sociale», riconoscendo non solo al critico l'esercizio di una pratica a suo modo artistica - e dunque contrastando l'idea del recensore come artista fallito e inacidito -, ma anche la necessaria capacità di farsi interprete dei bisogni della società, in ogni sua articolazione. La critica cinematografica, nel corso del secolo passato, ha vissuto intensamente questa vocazione sociale. Anzitutto ha dovuto darsi un lessico nuovo per poter parlare al più alto numero di persone possibile di un'arte che stava nascendo, lì, sotto gli occhi di milioni di spettatori in tutto il mondo e tra le mani di tecnici e di artisti guardati, in pari misura, con interesse e sospetto.
Capire cosa significa "cinema" presupponeva non soltanto comprendere i film e il loro modo di comunicare, ma afferrare in profondità le forze che spingono infine sullo schermo le immagini, forze economiche, politiche e sociali che da sempre incrociano, con intensità variabile, il destino della più potente macchina per narrare che il Novecento abbia conosciuto.
In secondo luogo, la critica cinematografica ha dovuto accettare di essere, fin dall'inizio, luogo di contaminazione, spazio di scrittura capace di ospitare letterati, poeti, avanguardisti di diversa provenienza, perfino politici appassionati che hanno trovato nel cinema il luogo in cui rinnovare certune convinzioni, affondare colpi interpretativi maturati altrove, attrarre i film nell'orbita delle loro personali poetiche o nei loro specifici campi di ricerca. La figura del critico cinematografico "puro" non è - forse per fortuna - mai esistita e anche nel momento in cui il cinema è stato riconosciuto come disciplina e sono nati articolati percorsi di studio e formazione ad esso dedicati, la vocazione all'incrocio dei temi e degli stili non è venuta meno, figlia di una preziosa "a-specificità" che la settima arte ha saputo con naturalezza conservare.
In terzo luogo, la critica cinematografica ha dovuto fare i conti da subito con la complessità e la trasversalità dei suoi lettori. Al cinema, si sa, ci vanno tutti e il fine intellettuale può facilmente ritrovarsi seduto accanto a chi non ha mani letto nulla e godere del medesimo prodotto artistico. Una situazione piuttosto unica, che non ha giovato alla reputazione del cinema e che invece porta il segno della rilevanza e della centralità di quest'arte. Di cinema si scriveva pertanto ovunque, dai rotocalchi più popolari alle riviste di edilizia (è così, non scherzo) e spesso erano gli stessi critici che occupavano posizioni di prestigio nei periodici di settore a trasferire la loro firma e la loro scrittura a un livello diverso, dialogando con un pubblico nuovo e sforzandosi di interpretare l'atto critico come veicolo di una nuova socialità.
A più voci, "Culture del film. La critica cinematografica e la società italiana" riprende le fila di questi discorsi, concentrandosi sul periodo di maggior consapevolezza ed impegno critico - che va dagli anni Trenta alla fine degli anni Settanta -, ma non precludendosi incursioni in un prima e soprattutto in un dopo che restituiscono la modularità e la capacità di aderire ai contesti del pensiero critico italiano.
Si torna sui luoghi e sulle funzioni della critica, ricostruendo la complessa geografia delle riviste, le loro politiche editoriali, le apparenti ambiguità, per esempio, tra la natura del rotocalco, la sua patina, il richiamo divistico e, sulle stesse colonne, la severità ideologica, i modelli filosofici, l'elaborazione di una nuova estetica del film. Si lavora sul consolidamento di un discorso critico italiano e sulle sue peculiarità, inseguendo il formarsi di questo discorso sia nell'esperienza dei singoli critici sia nella disseminazione di riviste di maggiore e minor respiro, fino al moltiplicarsi delle esperienze "provinciali", che vedevano fiorire in molti angoli del Paese vere e proprie scuole di pensiero e fucine di scrittura sul cinema.
Allo stesso tempo, si mettono in luce le continuità e le rotture tra la critica ritenuta "alta" e quella "popolare", interrogando il mancato incontro tra queste dimensioni e tra le loro esigenze, un incontro che se si fosse cercato con più consapevolezza, se si fosse costruito facendo leva sulla trasversalità del cinema forse avrebbe prodotto quell'allargamento della base che alla cultura cinematografica è infine mancato e che oggi rende più difficile capire chi sia e soprattutto dove sia il lettore medio che ha voglia di impegnarsi su testi di storia, di critica o di teoria del film.
Il volume dà conto anche delle scritture critiche femminili, della stratificazione di una cultura visuale innovativa e necessaria per un pensiero completo sul cinema, non ché della ricezione dei film sui periodici non di settore (dalle riviste storico-politiche a quelle tecnico-industriali, fino alle testate più legate al costume e al gossip).
Mentre i fili tornano a tendersi o a riannodarsi, nuovi orizzonti di ricerca si aprono e la crisi del pensiero critico investe il lettore in tutta la sua ampiezza: non abbiamo oggi critici meno bravi o preparati di un tempo, abbiamo comunità di lettori più frammentarie sia dal punto di vista mediale che sociale ed è questa instabilità dello spazio critico - di cui anche i lettori sono evidentemente parte - che ci rimanda ancora a Benjamin e ad un'arte sociale sempre più difficile da esercitare.
- Michele Guerra - pubblicato sul Sole del 28/3/2021 -
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