In una celebre allegoria, Lisippo raffigura il Kairós – il dio del tempo debito – come un fanciullo alato che si posa su una sfera, mentre regge un rasoio su cui oscilla una bilancia. La sua contrazione muscolare tradisce lo sforzo di un equilibrio precario, prima di ripartire in volo. Kairós è infatti la contingenza propizia, il momento giusto eppure volatile, da cui origina ogni identità e fenomeno, inclusa la Mente e la Coscienza. Tale immagine introduce alla necessità non solo di ripensare il tempo, ma di accogliere nella nostra quotidianità una pluralità di tempi. Questo saggio ormai classico, pubblicato per la prima volta nel 1992, vanta numerose edizioni, anche in inglese e spagnolo, e viene ora presentato in una veste ampliata. Giacomo Marramao interroga un’intera tradizione di pensiero, dal tempo «icona dell’eternità» in Platone alla relatività di Einstein, dall’indeterminazione quantistica alla temporalità heideggeriana. Argomentazioni sofisticate ma cristalline criticano il gergo filosofico che oppone «autentico» a «inautentico», l’incommensurabilità della durata interiore alle misure standard del tempo spazializzato. La nuova domanda ontologica non è più quella dell’essere dell’ente, ma: come si situa il nostro tempo di vita nell’eternità di uno «straniante» cosmologico in cui, come affermano gli stessi fisici, «il tempo non esiste»? Una delle tesi dirompenti qui presentate è che il corrispettivo greco di Tempus è proprio Kairós, e non Chronos: il che comporta conseguenze filosofiche che si riflettono anche nel nostro vivere quotidiano. Questo pamphlet aiuta a comprendere i paradossi del tempo e la sindrome della fretta che funesta la nostra epoca, indicandoci possibili vie d’uscita. Non da ultimo esorta a metterci alla ricerca di una tempestività senza esitazione né precipitazione, che ci faccia cogliere e vivere appieno l’attimo.
(su risvolto di copertina di: KAIRÓS. Apologia del Tempo Debito. di Giacomo Marramao. Bollati Boringhieri, Torino.)
Il senso del tempo in tempo di pandemia
- di Gaspare Polizzi -
In attesa di un prossimo volume che toccherà questioni teologiche e riflessioni sulle più recenti indagini scientifiche, Kairós (prima edizione nel 1992) è l’ultimo prodotto di una trilogia filosofica - avviata al principio degli anni Ottanta del secolo scorso con Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo (1983) e proseguita con Minima temporalia. Tempo, spazio, esperienza (1990) - focalizzata su un tema che ha assillato la cultura filosofica occidentale, ma anche quella scientifica e letteraria, almeno a partire dal frammento 16 di Empedocle («Come infatti prima era anche sarà, né mai, cred’io, di entrambe queste vuoto sarà l’evo [aión] infinito»), individuato da André-Jean Festugière come «il turning point della storia filosofica del termine». La divaricazione tra aión e chrónos, rappresentazione del tempo e suo sentimento, assilla da allora la filosofia occidentale.
A pagina 102 Marramao svela la chiave di lettura che sorregge la sua riflessione sul kairós, insieme filologica e filosofica, o meglio filosofica in quanto sostanziata di filologia, nel segno del più solido magistero vichiano o di una ricerca genealogica à la Nietzsche. E che contribuisce a dissolvere i perduranti dilemmi intorno al concetto di tempo: «Indagando sul mistero dell’origine del latino tempus mi sono così imbattuto in un saggio di Émile Benveniste, nel quale mi è sembrato di scorgere una possibile chiave di soluzione. La tesi di Benveniste (prospettata nel lontano 1940), ma quasi mai presa in considerazione dai "filosofi professionali" è la seguente: la difficoltà di scoprire l’etimologia di tempus deriva dal fatto che i composti di questo termine sono in realtà più antichi della parola "tempo" e recano dunque in sé tracce molto più arcaiche dello stesso sostantivo. Il sostantivo tempus nasce pertanto dall’astrattizzazione di termini come tempestus, tempestas, temperare, e dunque temperatura, temperatio, ecc... ». Una miscela «che fa del tempus qualcosa di assai prossimo a quello che i greci chiamavano kairós – il tempo debito, il tempo opportuno». Nella prefazione alla questa nuova edizione ampliata Marramao esplicita meglio il «quasi mai»: «con la sola significativa eccezione del compianto amico e maestro Michel Serres, con il quale ho avuto più volte occasione di confrontarmi». E dedica a Serres la nuova edizione. Quando nel 1992, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, fui felice spettatore del primo dialogo tra Marramao e Serres, mi accorsi di quanto profonda fosse la sintonia di tale riflessione, che scioglieva le ambiguità impressionistiche addensate intorno alla visione bergsoniana del tempo vissuto e della opposizione heideggeriana tra tempo autentico e inautentico, e annullava la separatezza fittizia tra temporalità e spazialità nella visione spaziotemporale della miscela del tempo opportuno.
Lo spunto filologico permette a Marramao di riunificare lo studio delle moltitudini temporali intorno al concetto di kairós e prende corpo in una indagine di largo respiro, insieme teoretica e pratico-politica, che si distende lungo tre assi. L’analisi del sentimento interno del tempo, articolata intorno ai quattro fattori di stimoli, età, ansia e «tempo delle donne». L’indagine sul «tempo del mondo», che oggi si presenta nella sindrome della fretta («la fretta, dunque – non la velocità – racchiude in sé la cifra della “riflessione spirituale” del nostro tempo»). A mio avviso, anche se la fretta bene descrive le forme attuali di intempestività, sarebbe più opportuno usare il concetto fisico di accelerazione, pure presente nel volume, perché, mettendo in gioco una grandezza vettoriale che rappresenta la variazione della velocità nell’unità di tempo, esprime in forma meno impressionistica la dinamica patologica del nostro tempo. Il terzo asse è più propriamente pratico-politico e concerne il «che fare?». Qui Marramao fa tesoro dei suoi studi sulla globalizzazione ipermoderna, raccolti anche in Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione (2003, nuova ed. accresciuta 2009), che ha prodotto il singolare «fenomeno glo-cal, del cortocircuito globale e locale». E che di conseguenza richiede la comprensione delle «dinamiche di differenziazione e di ri-localizzazione identitaria che esso [il mondo globalizzato] introduce con le nuove forme disseminate di conflittualità planetaria». La risposta la dà ancora il kairós, nel segno di «una politica del possibile e del contingente intrecciata a un’etica della finitudine», per tornare a comporre, nella dimensione kairologica, «dentro noi stessi il multiverso temporale che permea di sé la grammatica delle forme di vita: il tempo di lavoro e il tempo per l’amore, il tempo perduto e il tempo guadagnato». Soluzione ancora una volta in sintonia con la ricerca di Serres, che nella sua filosofia dei corpi miscelati ha rammentato il valore creativo e produttivo del tempo opportuno con il suo Grand Récit sulla miscela delle molteplicità irriducibili di natura e storia. Ma, mi pare, in sintonia anche con le preziose riflessioni sul limite del compianto Remo Bodei (Limite, 2016) e anche, su un versante più biologico, con il romanzo filosofico Finitudine (2020) di Telmo Pievani (ne ha scritto Vincenzo Barone sulla Domenica del 13 dicembre 2020), o nei termini di una filosofia della complessità ancora di recente richiamata da Mauro Ceruti e Francesco Bellusci in Abitare la complessità: La sfida di un destino comune (2020; cfr. la Domenica del 25 ottobre 2020). Il valore aggiunto della proposta pratico-politica di Marramao consiste in una conoscenza più attenta della nostra epoca di «passioni tristi», retta da una società «futurocentrica» nella quale alla «ipertrofia dell’aspettativa» corrisponde «un restringimento progressivo dello spazio di esperienza», tale che – con la frase di Amleto, tanto cara a Marramao – the time is out of joint.
Non si poteva trovare un tempo più opportuno per ripubblicare questo libro importante, ripensato nel tempo sospeso della pandemia, che ci ha posto dinanzi, in tutta la loro terribile grandiosità, le conseguenze fatali di un tempo umano «out of point », «fuori asse». E che richiede con tempestività epocale di «rimetterlo in sesto», di restituirci il senso del nostro ritaglio evolutivo in uno spazio-tempo della temperanza, iscritta nel nostro vivere mediterraneo, del mélange raro e straordinario che concerne la vita umana sulla Terra, da proteggere e da salvare insieme al pianeta che la ospita.
- Gaspare Polizzi - Pubblicato su la Domenica del 7/3/2021 -
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