venerdì 23 aprile 2021

Congedarsi dal proprio congedo !!

Hans-Jürgen Krahl, allievo, prima prediletto e poi ripudiato, di Adorno entra in aperta polemica con lui durante le mobilitazioni studentesche. Particolarmente significativa la sua azione con altri studenti il 31 gennaio 1969 in occasione dell’occupazione dell’Istituto per la Ricerca Sociale. Nella circostanza che viene descritta da Adorno in un interessante scambio epistolare con Marcuse, Adorno chiamò la polizia che arrestò insieme a Krahl altri 76 studenti che con lui occupavano un’aula. Krahl subirà, unico tra gli arrestati un processo. Adorno stesso ricorda: «Habermas ed io eravamo presenti quando è successo ed abbiamo potuto controllare che non venisse usata violenza. Adesso sono aumentate le proteste, sebbene Krahl abbia organizzato tutta questa impresa per essere arrestato e, in questo modo, per tenere insieme il gruppo dello SDS di Francoforte in fase di disgregazione- obiettivo che nel frattempo ha raggiunto» (si veda la lettera a Marcuse del 14 febbraio 1969 in H.Marcuse, T.W. Adorno, "Corrispondenza sul movimento studentesco" in H. Marcuse, "Scritti e interventi", a cura di R. Laudani, "vol.1, Oltre l’uomo a una dimensione", Manifestolibri, Roma, 2005, pp. 307-308). Dopo l’attentato subito da Dutschke (11 aprile 1968) Krahl eredita la leadership del movimento riprendendone in parte la linea antiautoritaria ed aspramente critica verso lo stalinismo. In particolare, propugna la centralità del lavoro immateriale e della produzione intellettuale di massa nel capitalismo maturo con la conseguente svalutazione del ruolo rivoluzionario della classe operaia di fabbrica. Nel febbraio del 1970 muore giovanissimo a causa di un incidente d’automobile.

Le contraddizioni politiche nella teoria di Adorno
- Hans-Jürgen Krahl - 1971 -

La biografia intellettuale di Adorno, perfino nelle sue astrazioni più estetiche, è segnata dall'esperienza del fascismo. Il modo in cui questa esperienza si riflette - decifrando dalle opere d'arte il rapporto indissolubile tra critica e sofferenza - costituisce la purezza della pretesa intransigente della negazione, ma simultaneamente ne sottolinea i limiti. Attraverso la riflessione sulla violenza fascista vista come generata dalle naturali catastrofi economiche del modo di produzione capitalista, la «vita mutilata» è consapevole del proprio invischiamento nelle contraddizioni ideologiche dell'individualismo borghese, di cui pure ha compreso l'irrevocabile decomposizione; e allo stesso tempo, non riesce a sottrarsene. Il terrore fascista non produce solo la comprensione dell'ermetica compulsività delle società altamente industrializzate, ma viola anche la soggettività del teorico e rafforza le barriere di classe contro la sua capacità cognitiva. Adorno esprime questa consapevolezza nella sua "Introduzione" ai Minima Moralia:
«La violenza che mi aveva cacciato, mi impediva anche di comprenderla appieno. Non ammettevo ancora a me stesso la complicità che coinvolge tutti coloro che, di fronte all'indicibile che sta accadendo a livello collettivo, parlano solo di questioni individuali».
Sembra che la critica tagliente di Adorno a proposito dell'esistenza ideologica dell'individuo borghese, lo abbia irresistibilmente intrappolato nella sua propria rovina. Ma ciò significherebbe che egli non era mai uscito veramente dall'isolamento che l'emigrazione gli imponeva. Il destino monadologico dell'individuo isolato dalle leggi di produzione del lavoro astratto, si rispecchia nel sua soggettività intellettuale. Per questo Adorno non riuscì a tradurre la sua compassione privata per i miserabili della terra in una partigianeria integrale della sua teoria per la liberazione degli oppressi.
L'intuizione socio-teorica di Adorno, secondo cui la rinascita del nazionalsocialismo sotto la democrazia avrebbe dovuto essere considerata come potenzialmente più pericolosa delle tendenze fasciste contro la democrazia, rovesciò la sua crescente paura di una stabilizzazione fascista del capitalismo monopolistico in un'ansia regressiva verso qualsiasi forma di resistenza attiva contro tali tendenze del sistema.
Egli condivide la coscienza politica ambivalente che hanno molti intellettuali critici tedeschi, i quali proiettano un'azione socialista di sinistra, che in realtà non farebbe altro che scatenare il potenziale del terrore fascista di destra che essa combatte. Ma in tal modo, avviene che ogni prassi viene perciò denunciata a priori come cieco attivismo, e si nega così la possibilità di una critica politica in quanto tale, cioè una critica che distinguerebbe tra una prassi prerivoluzionaria essenzialmente corretta e quelle che invece sono le sue espressioni infantili all'interno dei movimenti rivoluzionari emergenti.
A differenza del proletariato francese e dei suoi intellettuali politici, in Germania manca una tradizione ininterrotta di resistenza militante, e quindi i presupposti storici per una discussione razionale sulla legittimità storica della militanza. Il dominio esistente, che secondo la stessa analisi di Adorno, anche dopo Auschwitz, ha spinto verso nuove forme fasciste [Faschisierung], non sarebbe tale, se l'«arma della critica» del marxismo non avesse bisogno di una «critica delle armi» proletaria supplementare. Soltanto a quel punto la critica diventa la vita teorica della rivoluzione.
Questa contraddizione oggettiva della teoria di Adorno, spingeva verso un conflitto aperto e aveva convertito gli studenti socialisti in avversari politici del loro maestro di filosofia. A prescindere dal fatto che Adorno smascherasse l'ideologia borghese della ricerca disinteressata della verità, mettendola a nudo in quanto fenomeno di scambio di merci, egli diffidava anche delle tracce della lotta politica [Richtungskampf] nel dialogo scientifico.
Ma la sua opzione critica - secondo la quale, per partecipare alla verità, il pensiero dovrebbe orientarsi spontaneamente verso il cambiamento pratico della realtà sociale - perde il suo margine di vantaggio nel momento in cui non può definire sé stesso anche in termini di categorie organizzative. Il suo concetto dialettico di negazione finiva per allontanarsi sempre di più dalla necessità storica di una partigianeria oggettiva del pensiero, che tuttavia rimaneva presente nella determinazione specifica attuata da Horkheimer, circa la differenza tra teoria critica e teoria tradizionale, almeno nel suo sostenere l'«unità dinamica» tra teorico e classe dominata.
L'astrazione da questi criteri portò infine Adorno, nel suo conflitto con il movimento studentesco, a una fatale complicità - che nemmeno lui comprendeva - con i poteri dominanti. Il problema dell'astinenza privata dalla prassi non era affatto l'unica questione coinvolta nella controversia, ma l'incapacità, da parte di Adorno, di affrontare il problema dell'organizzazione indica un'inadeguatezza oggettiva nella sua teoria, che tuttavia assume la prassi sociale come categoria centrale dell'epistemologia e della teoria sociale.
Eppure, è stato il pensiero di Adorno a comunicare agli studenti politicamente coscienti quali erano le categorie emancipatorie che svelano il dominio e corrispondono inesprimibilmente [unausdrücklich] alle mutate condizioni storiche della rivoluzione nelle città; condizioni che non possono essere più determinate da esperienze pregiudiziali non mediate.
La forza di rappresentazione di Adorno ad un micro-livello, ha riportato alla luce, traendole dalla dialettica tra produzione di merci e valore di scambio, le perdute categorie emancipatorie sepolte della critica all'economia politica svolta da Marx, il cui potere in quanto teoria rivoluzionaria - vale a dire, una teoria che stabilisce la costruzione della società a partire dalla prospettiva del cambiamento radicale - è stato per lo più dimenticato dagli economisti marxisti contemporanei. Il pensiero di Adorno a proposito della logica essenziale delle categorie di reificazione e feticizzazione, di mistificazione e seconda natura ha portato avanti la coscienza emancipatrice del marxismo occidentale degli anni venti e trenta, di Korsch e Lukacs, Horkeimer e Marcuse, nella misura in cui esso si formava in opposizione al marxismo ufficiale sovietico.
Nella sua critica filosofica dell'ideologia dell'essere, fondamentale-ontologico e proprio del fattualismo positivista, Adorno decifrò «Origine» e «Identità» come categorie del dominio quali si esprimono nella sfera della circolazione, la cui dialettica liberale legittimante della morale borghese - l'apparenza dello scambio equo tra uguali proprietari di merci - si era dissolta da tempo.
Ma gli stessi strumenti teorici che hanno permesso ad Adorno questa visione della totalità sociale, gli hanno anche impedito di vedere le possibilità storiche di una prassi liberatrice.
Nella sua critica ideologica  di quello che era stato il fu individuo borghese, risuonano postumi di giustificata tristezza. Ma nel suo pensare, Adorno non riusciva a trascendere in maniera immanente (nel senso hegeliano del termine) questa ultima posizione borghese radicalizzata. Ne rimase fissato, con uno sguardo pauroso sul terribile passato: la coscienza che arriva sempre troppo tardi di qualcuno che  solo al crepuscolo comincia a capire.
La negazione di Adorno della società tardo-capitalista è rimasta astratta, chiudendosi alla necessità di determinare la negazione specifica; cioè la categoria dialettica alla quale si sapeva obbligato dalla tradizione di Hegel e Marx. Nella sua ultima opera, "Dialettica negativa", il concetto di prassi non viene più messo in discussione in termini di cambiamento sociale nelle sue forme storiche specifiche, cioè in quelle che sono le forme dei rapporti borghesi e dell'organizzazione proletaria. L'estinguersi della lotta di classe si rispecchia nella sua teoria critica come deperimento della concezione materialista della storia.
Anche così, è vero che un tempo era programmatico, per Horkheimer, che la teoria doveva entrare a far parte della prassi liberatrice del proletariato; ma già allora la forma organizzativa borghese della Teoria Critica non era riuscita a stabilire la congruenza tra il programma e la sua esecuzione. Il fatto è che il movimento operaio, prima distrutto dal fascismo, e poi apparentemente irrevocabilmente integrato dalla ricostruzione del capitalismo tedesco occidentale del dopoguerra, aveva cambiato il significato dei concetti della Teoria Critica. Ed essi dovettero necessariamente perdere specificità, ma questo processo di astrazione avvenne alla cieca.
Lo storicismo di Heidegger come «concetto astorico della storia», venne criticamente sfidato dalla storia concreta e materiale di Adorno, che, tuttavia, si allontanava sempre più dal suo concetto di prassi sociale; nella sua ultima opera, "Dialettica negativa", era evaporata al punto che appare assimilata nella povertà trascendentale della categoria di Heidegger.
Certo, nel suo discorso alla Società Sociologica Tedesca, Adorno ha insistito correttamente ed enfaticamente sull'attualità del marxismo ortodosso: le forze industriali della produzione sono ancora organizzate secondo i rapporti di produzione capitalisti, e il dominio politico, allora come oggi, si basa sullo sfruttamento economico dei lavoratori salariati. Ma a prescindere da quanto la sua ortodossia fosse in conflitto con la sociologia ufficiale della Germania occidentale, tutto ciò era irrilevante, poiché le forme categoriali non erano riferite alla storia materiale.
Questo progressivo processo di astrazione dal processo storico ha riconvertito la Teoria Critica di Adorno nelle forme contemplative, scarsamente legittimabili, della teoria tradizionale.
La tradizionalizzazione del suo pensiero fa della sua teoria la voce della ragione invecchiata nella storia. A livello del suo pensiero, la dialettica materialista delle forze produttive incatenate si riflette nel concetto di una teoria che incatena sé stessa, che è inesorabilmente invischiata nell'immanenza dei suoi concetti. «Se il tempo di interpretare il mondo è finito, e diventa necessario cambiarlo, allora è tempo che la filosofia si congedi... non è più il tempo della Prima Filosofia, ma dell'ultima». Questa Ultima filosofia di Adorno non è stata né disposta né capace di prendere congedo dal proprio congedo.

 Hans-Jürgen Krahl - 1971 - Originariamente pubblicato su “Costituzione e Lotta di classe”

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