lunedì 18 maggio 2020

Un debito con l'Homo sacer

Nel contesto di quella che è la discussione intorno alle considerazioni fatte da Agamben sulla crisi del coronavirus, riportiamo qui di seguito un estratto dal libro di Robert Kurz, "Imperialismo di esclusione e stato di eccezione", in cui vengono criticati alcuni aspetti dell'opera di Agamben. Qui, per mettere in discussione tutta quanta la sua problematica e la critica contenuta nella sua argomentazione, si fa uso di alcuni punti deboli del libro di Agamben. A renderlo suscettibile di essere attaccato, infatti, è una sua propensione all'ontologizzazione, quale la si può trovare, sotto altri aspetti, anche altrove - ad esempio in Hardt-Negri - e come, in maniera più generale, lo è tutta l'elaborazione teorica postmoderna, contaminata da Heidegger, e sulla quale si basa Agamben. Come dire, Agamben viene beccato nel mentre che mette in atto un modo anti-storico di vedere, laddove pone su un unico e medesimo piano quelle che sono differenti epoche della storia della modernizzazione e della storia (occidentale) in generale, facendo sì che in questo modo la struttura sociale specificamente moderna che egli intende trattare nella sostanza, venga ad essere occultata [*1].

«Liberare il nucleo della logica sviluppata da Agamben»
- Agamben, Foucault e la Critica del Valore -
di Robert Kurz

(...) Ciò riguarda, innanzi tutto «Un'oscura figura del diritto romano arcaico», secondo quelle che sono le parole dello stesso Agamben, l'«Homo sacer» che ha dato il titolo al suo libro. L'homo sacer poteva essere impunemente messo a morte, ma non poteva essere sacrificato. Per Agamben, egli simboleggia quindi la «nuda vita», gli esseri umani in quanto biomassa sottomessa, disponibile e sacrificabile, la tappa propedeutica alla «capacità giuridica» in cui la minaccia di poter essere uccisi impunemente - la minaccia dell'«esclusione inclusiva» - esiste allo stato latente, dal momento che è entrata a far parte del costituirsi della forma di legge. Ma, bisognerebbe mettere in evidenza che, tutt'al più, la figura dell'homo sacer può essere presa solo come metafora della costituzione moderna. Invece, Agamben mette letteralmente sullo stesso piano sia il problema di questa «oscura figura» sia quello della cittadinanza moderna, tracciando in questo modo una linea non-storica, in termini sia concettuali che socio-reali, che parte dai rapporti religiosi della prima antichità arcaica e arriva allo Stato costituzionale moderno. Alla riduzione non-storica operata dal pensiero postmoderno, corrisponde una riduzione fenomenologica, poiché in nessun momento esistono fatti storici - né fenomeni attuali - collegati ad una determinata forma storica della società; ed in tal senso anche Agamben rimane prigioniero del discorso postmoderno. Basandosi - ed affidandosi - sul concetto foucaultiano della «biopolitica», rispetto al quale, in qualche modo intende pensare la logica filosofica, ricade in qualche modo anche nel diffuso concetto positivista di «potere» di Foucault, il quale non consente più alcuna chiara analisi strutturale delle aree sociali e delle relazioni logiche che esse intrattengono [*2]. Ragion per cui, Agamben deve sviluppare quindi il carattere di sovranità, e quello di stato di eccezione, immediatamente a partire dalla sfera politica, senza riflettere sul rapporto politico-economico complessivo dell'era moderna [*3].
La sua esposizione scivola perciò in una mistificazione delle categorie politiche, e in questo senso questa antica figura «oscura» dell'homo sacer è adatta ad occupare un campo semantico altrettanto confuso. In questa nebulosa indeterminatezza, anche il carattere specifico dell'antisemitismo e dello sterminio degli ebrei svanisce in un concetto generale di «campo» nell'epoca moderna: un topos, questo, che per molti versi indica dei tratti apologetici (e banalizzanti del nazismo). Agamben ricade quindi nell'errore inverso rispetto a quello commesso dagli apologeti democratici e borghesi di sinistra, i quali non sottolineano quello che è il carattere specifico e singolare di Auschwitz, e lo fanno unicamente per eludere deliberatamente sia la logica della modernità capitalistica sul cui suolo non poteva crescere altro che Auschwitz, sia la forma coercitiva del «campo», che, nelle sue molteplici forme, è inerente a questa logica. L'unicità di Auschwitz può essere pensata solo insieme all'universalità del "campo di concentramento" nella modernità, e viceversa.
Anche così, l'incursione di Agamben finisce per non essere néapologetica, né minimizzatrice; al contrario, colpisce con precisione chirurgica il nervo dell'apologetica democratica, andando così molto al di là di tutte le costrizioni postmoderne e, non da ultimo, la falsa «immanenza» di Hardt/Negri (che, per questo, gli si riferiscono solo di sfuggita e con una certa riluttanza). Agamben evidenzia la medusa nascosta diete le frasi democratiche, dietro la promessa eternamente ruminata della «aspirazione alla felicità», della «salute e della soddisfazione dei bisogni», dal diritto umano alla «inviolabilità del corpo», ecc., che è una maniera in cui la «nuda vita» del bandito e dell'abbandonato viene rinchiusa nella presunta «vita qualificata» del cittadino dello Stato democratico. Tuttavia, per liberare il nucleo della logica sviluppata da Agamben dal postmodernismo fenomenologico non-storico è necessario rimetterla sui piedi solidi di una critica allargata dell'economia politica. Solamente dal punto di vista della macchina della valorizzazione capitalista «senza soggetto», dal punto di vista dell'irrazionale «soggetto automatico» (Marx) della modernità - il cui concetto in Agamben si trova sorprendentemente oscurato - la logica della sovranità e dello stato di eccezione, della «nuda vita», della messa al bando e dell'esclusione inclusiva comincia ad acquistare un senso discernibile.
Ciò che in un certo qual modo, «animalizza» gli esseri umani e li riduce a dei «semplici corpi viventi» - prima che venga loro permesso di qualificare la propria vita in una forma secondaria - non è la falsa ontologia foucaultiana del «potere» (astorico) del dominio in quanto tale, bensì la costituzione polare specificamente moderna della politica e dell'economia, del lavoro astratto e della macchina dello Stato..
La forma del valore o la relazione di valore, incarnata nella forma del denaro che si nutre di sé stesso attraverso il processo di valorizzazione, in fondo ha costituito fondamentalmente questo vuoto metafisico, l'assurda «mera forma di una legislazione universale», questa forma kantiana assurda e deprivata di qualsiasi contenuto, che in Agamben, appare come «validità senza significato» o  come «vuoto principio». Quest'essenza divina secolarizzata di quella che è un'inaudita forma vuota, un vuoto di contenuto che domina l'intero processo vitale, fa della modernità la più mostruosa relazione di dominio di tutta la storia umana. La sovranità, la corrispondente volontà generale vuota, non è altro che la relazione coercitiva politica di questa mostruosa forma vuota. E questo insieme globale di valorizzazione astratta e di sovranità, che ha alla sua origine nell'economia delle armi da fuoco dei primordi della modernità e del dispotismo militare cui si è accompagnato, rappresenta già in sé uno stato di eccezione permanente che, per così dire, si è insediato ed è rimasto incorporato nella società.
Stato d'eccezione non significa, in realtà, altro che la soggezione esacerbata - portata al di là della misura normale (comunque essa venga definita) - dei membri della società fino a delle misure che non dipendono dalla loro propria decisione. Sotto il dominio delle forme feticistiche interiorizzate, che trovano la loro espressione anche nelle istituzioni, nelle amministrazioni di persone, nelle relazioni compulsive di potere, ecc., evidentemente non esiste qualcosa che assomigli a delle "decisioni libere" da parte dei membri della società. Ma lo stato di eccezione significa proprio un intensificarsi, un indurimento ed un'acuta esacerbazione del dominio, al di là di una misura «abituale», divenuta «normale».

- Robert Kurz -

fonteCritique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

NOTE:

[*1] - Per approfondire la critica del riduzionismo a-storico di Agamben, fatta da Kurz, si può fare riferimento al I capitolo (« Absoluité et relativité dans l'histoire. Remarques critiques sur la réduction phénoménologique de la théorie sociale ») [qui tradotto, col titolo " L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale" ] dal suo libro "La Substance du capital" (L'Echappée, 2019) ["La sostanza del capitale", qui interamente tradotto]. Kurz attua una critica generale e dettagliata di questo problema e, implicitamente, insieme ad alcuni autori e correnti di pensiero, anche Agamben è oggetto di questa critica.

[*2] - Si veda qui, la critica dell'opera di Michel Foucault fatta da Robert Kurz, in « Grau ist des Lebens goldner Baum und grün die Theorie. Das Praxis-Problem als Evergreen verkürzter Gesellschaftskritik und die Geschichte der Linken » (Exit !, n°4, Horlemann Verlag, 2007) [« Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde » qui tradotto], in particolare la sezione 11, dal titolo  «Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento» [ sempre qui tradotto].

[*3] - Su questo si veda, Robert Kurz, «La fine della politica».

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