Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz
SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della praxis ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica
"I brevi lampi delle 'Tesi su Feuerbach' illuminano con la loro luce tutti i filosofi che ad esse si avvicinano, ma alcuni sanno che un breve lampo offusca, più di quanto schiarisca, e che non c'è niente di più difficile che individuare una luce lampeggiante nello spazio notturno che essa rompe. Un giorno certamente sarà necessario chiarire l'enigma delle undici tesi."
- Louis Althusser, Per Marx -
1 - Il malessere nella teoria
Nella crisi mondiale della Terza Rivoluzione Industriale, la critica radicale del capitalismo si trova ad affrontare una sfida senza precedenti. Per poter continuare essa stessa ad esistere, per rendere giustizia al proprio nome, essa deve dire addio alla sua forma conosciuta, distanziarsene, deve superarsi ed andare oltre sé stessa. Poiché, come avviene per il capitalismo che si scontra realmente con un limite interno assoluto, anche per la critica arriva il tempo in cui diventa obsoleta e si rivela parte integrante del suo stesso oggetto.
In risposta a questa nuova situazione storica, si è sviluppato a partire dal decennio del 1980, come si sa, un approccio teorico alla trasformazione della teoria di Marx che ha preso il nome di "critica del valore". Dal suo punto di vista, tanto il movimento operaio occidentale quanto gli stessi socialismi dell'Est e del Sud del mondo facevano ancora parte della storia dell'ascesa e dell'imposizione del capitalismo. Sia la riflessione teorica che l'azione pratica si muovevano sotto la cappa del moderno sistema produttore di merci, sotto la forma feticista del valore. Il marxismo del movimento operaio aveva assunto un'ontologizzazione di questo contesto della forma della modernità a partire dalla filosofia illuminista borghese. In particolare il "lavoro" ("lavoro astratto" in Marx), come sostanza della forma valore, aveva assunto nel corso di questo processo uno statuto trans-storico. Nella crisi mondiale della terza rivoluzione industriale, il "modo di produzione basato sul valore" (Marx) si scontra con il suo limite interno assoluto, proprio per il fatto di minare la sua sostanza, il "lavoro", rendendolo obsoleto. Le determinazioni suppostamente ontologiche si rivelano così storicamente limitate, e decrepite.
Prendendo come punto di partenza questa teoria critica radicale, la nuova riflessione trasformatrice genera una critica della forma del valore e della merce, una critica che deve necessariamente includere l'ontologia marxista del lavoro. Questo fatto è necessariamente associato con una profonda rottura sul terreno dell'azione trasformatrice della società: in questa evoluzione, la critica del valore come critica del lavoro, benché abbisogni di svilupparsi a partire dall'immanenza capitalista, non può assumere più alcun criterio ontologico di identità, né alcun criterio positivo di interesse. Come Ontologia Negativa, come critica dell'ontologia capitalista, il suo obiettivo è una "rottura ontologica". Tanto le idee che le azioni della nuova critica sono essenzialmente negatrici della digestione dell'esperienza di sofferenza nel capitalismo di crisi, in quanto le determinazioni positive possono essere sviluppate a partire da tale negazione, per mezzo di un movimento storico di mediazione, ma non come una stipula a priori.
Tuttavia, la nuova elaborazione teorica della critica del valore si riferisce principalmente alle determinazioni della forma generale del moderno sistema produttore di merci, senza riflettere sulla sua connotazione sessuale. Nondimeno, il marxismo del movimento operaio "aveva ereditato" dal protestantesimo e dall'illuminismo non solo la metafisica moderna del lavoro e "l'etica del lavoro", ma anche la relazione fra i sessi ad essa associata del patriarcato oggettivato sotto tale forma, nella quale vengono dissociati i momenti di riproduzione sociale che non danno certamente alcun valore, e che sono stati determinati su grande scala come "femminili" e attribuiti alle donne.
Questo ha due conseguenze. Da una parte, si apre una nuova dimensione epistemologica, perché tutta la storia della teoria a partire dall'illuminismo, compreso il marxismo, viene confinata nel quadro di una falsa universalità che rimane assente nella relazione offuscata di scissione. Il linguaggio moderno della teoria, col suo apparato concettuale, rimane collegato a questo quadro, ossia, si muove in un orizzonte di concettualizzazione androcentricamente universalista. L'ampliamento della critica del valore alla critica della scissione determina, pertanto, il compito di far scoppiare il quadro concettuale moderno. Questo solleva enormi problemi di esposizione, ancora lontani dall'essere risolti. La difficoltà si riflette anche nella doppia nomenclatura usata dalla nuova elaborazione teorica a partire da allora, espressa come critica della scissione-valore [Wert-Abspaltungkritik].
Dall'altra parte, questa teoria della scissione-valore implica anche un allargamento analogo della critica al di là del femminismo praticato fino ad oggi che, a somiglianza del movimento operaio, si è limitato al campo dell'azione della relazione feticista moderna. Per le ragioni suesposte, qui si applica, alla base dell'azione trasformatrice, la medesima rottura fondamentale che si applica nella critica del lavoro: la critica della scissione-valore non è già più un mero punto di vista di identità sessuale o di interesse, l'involucro della forma data, ma mira a rompere quest'involucro e, per conseguenza, a soppiantare il patriarcato della modernità oggettivamente inscritto nelle forme generali e astratte della società.
Emerge, nell'elaborazione teorica e nella determinazione dell'azione trasformatrice, una relazione tesa fra la critica del valore, universalista-androcentrica (pertanto limitata, incompleta), e la critica della scissione-valore, una relazione che dev'essere ancora risolta. Questa differenziazione tesa, anche nella stessa elaborazione teorica della scissione-valore, è accompagnata dal desiderio di auto-affermazione delle teorie sociali di sinistra già anacronistiche. E' stato così che si è formato un campo complesso di confronto teorico. Nondimeno, a tale confronto si sovrappone la collocazione del problema riferito alla dimensione dell'azione, che non è meramente interna alla teoria. Ci si augura che la critica teorica diventi critica pratica. Questo desiderio immanente a tutta la teoria critica, si applica anche alla critica della scissione-valore, ma ha bisogno di essere nuovamente determinato dal punto di vista della "rottura ontologica". Indipendentemente da questo, la questione della dimensione dell'azione viene presentata esternamente anche come "esigenza di prassi" categorica. Non è tanto il fatto che la nuova teoria critica sia rivolta contro la prassi sociale dominante, ma piuttosto il postulato indeterminato per cui si richiama ad una relazione fra teoria e prassi, che "si estrae da dentro" questa teoria, in modo del tutto vecchio e senza riflessione. Il desiderio di prassi imbeve l'elaborazione teorica, e diventa essa stessa teoria quando approccia la teoria, distorcendola e rendendola quasi irriconoscibile.
Questo postulato torna sempre ad emergere; esso caratterizza tanto il marxismo tradizionale nelle sue attuali rimanenti forme, quanto, sotto altra forma, le attuali teorie postmoderne. Per molto tempo, l'elaborazione della teoria critica della scissione-valore, a sua volta, ha risparmiato a sé stessa il "problema della prassi", o il livello dell'azione; non per mancanza di senso di un qualsiasi "attivismo", ma per mancanza di un approccio al tema dentro la propria riflessione teorica che si era stancata di ridefinire la sua relazione con la portata dell'azione sotto delle condizioni modificate. Poiché la "prassi" non è puramente e semplicemente l'agire, ma è, allo stesso tempo, anche un concetto teorico su cui ci si deve riflettere storicamente e criticamente. Per questo, si richiede una determinazione teorica che si distanzi coerentemente dalla comprensione tradizionale della "relazione tra teoria e prassi", che è stata adattata all'esigenza dell'azione nella camicia stretta della forma capitalista. In primo luogo, sarebbe necessario evidenziare teoricamente ciò che questo realmente significa, così come la rottura che per mezzo di questo può essere realizzata, una rottura con l'ontologia del lavoro, con la forma della merce e con la relazione di scissione sessuale, anche in rapporto a questa problematica.
Sotto la pressione della pretesa di una prassi irriflessiva che viene trasmessa insieme al nuovo contenuto della critica, tutte le questioni ed i confronti interni alla teoria smettono di essere colte nel loro proprio significato; il "problema della prassi" si sovrappone all'elaborazione teorica e ne fissa l'orizzonte, senza che accada il contrario. Si corre il rischio di non passare dalle parole all'affermazione che la teoria, in quanto teoria, è un momento imprescindibile proprio in relazione ad una trasformazione storica pratica, che possa realmente toccare le basi dell'ordine dominante e che non riduca la "rottura ontologica" ad una semplice frase.
La necessità di alleviarsi "in qualche modo" nella pratica e in un attivismo che non vuole ricevere e non vuole continuare ad esercitare la teoria in quanto tale, ma che la vuole "realizzare" in forma immediatamente pratica, e che apprende, in generale a priori, un "orizzonte di applicazione", pare sia tanto forte quanto la necessità di urinare. Perciò detenere "una" teoria provoca un malessere somigliante ad una vescica piena, anche quando non si è intrapreso né si è appreso molto dal punto di vista teorico. Prima di passare ad una nuova problematica di riflessione, prima di sviluppare un pensiero teorico in generale, già non è possibile trattenersi, e si vuole passare alle "vie di fatto", cosa che di solito finisce con lo sporcarsi i vestiti. L'importante è che sia "pratico". Una tale incontinenza, per quanto riguarda la tanto invocata relazione fra teoria e prassi, indica una comprensione tronca e radicata nel marxismo tradizionale, una comprensione che collega sempre la riflessione teorica ad una "capacità di azione" o ad una prassi già prestabilita. La teoria critica allora dovrebbe essere, da un lato, "un manuale d'istruzioni per l'azione", meritando, in tal senso, di godere di stima; ma, dall'altro lato, in quanto inferiore e non-autonoma rispetto alla minacciosa "prassi", essa si rivelerà valida soltanto in relazione all'applicazione.
Al fine della comprensione, si rende necessario ricorrere al celebre passaggio delle Tesi su Feuerbach del giovane Marx (undicesima tesi): "I filosofi finora si sono limitati ad interpretare il mondo in modi diversi; ora si tratta di trasformarlo" (Marx, scritto nel 1845). Ora si tratta di sapere quale importanza riveste la teoria critica come teoria in questa trasformazione, poiché lo stesso Marx era innanzitutto un teorico, e le sue opere sono tutto meno che un "manuale d'istruzione per l'azione" nel senso di una qualche "possibilità di realizzazione" diretta. L'undicesima tesi su Feuerbach viene frequentemente collocata nel contesto cui corrisponderebbe più un'interpretazione di filosofia di vita come la famosa sentenza del "Urfaust" di Goethe: "Grigia, caro amico, è ogni teoria, e verde è l'albero dorato della vita" (Goethe, 1828). Naturalmente, è proprio Mefistofele che, con tali parole, induce nell'inganno un ingenuo studente. Sotto tale ottica, si tratta solo di un agire capitalistico conosciuto da tutti, ma ciò che è ambiguo è se dev'essere usato proprio come criterio per un'eventuale "rottura ontologica".
Se oggi partiamo da un limite interno assoluto del capitalismo, o del patriarcato produttore di merci, allora, al contrario, si può dire con le parole di Hegel che è "una forma di vita invecchiata" e che ha smesso di essere "verde". Quest'ultimo attributo si adatterebbe proprio alla nuova teoria critica da sviluppare, senza rispetto per la prassi dominante diventata grigia. Solo in apparenza, la passione irriflessa per la "prassi" costituisce una qualità del marxismo ontologico tradizionale o con una carica postmoderna, il quale tira fuori dal cappello risposte che si rivelano inutilizzabili, legittimando in tal modo un falso attivismo. Quanto più le contraddizioni sociali si accentuano nella nuova dimensione di crisi, tanto meno possono essere espresse nel vecchio campo concettuale. In questa situazione è del tutto inutile, invocando l'urgenza dei problemi della crisi ("Non abbiamo più tempo"), tornare a cercare una frase del "Urfaust" di Goethe: "Sono già state scambiate abbastanza parole, lasciami ora, finalmente, vedere anche gli atti". Qui, sintomaticamente, chi parla è il direttore del teatro, e proprio oggi, dopo la fine del movimento di modernizzazione, la pretesa della prassi ridotta e la necessità di atti di sinistra sta sfociando, a vista d'occhio, solamente in una esibizione performativa. Così non è più possibile affrontare criticamente la dura realtà di crisi dell'inizio del XXI secolo. Le piroette pretenziose della prassi tradizionale sono semplicemente strazianti. Nella situazione mondiale modificata si rende necessario tirare in ballo il concetto di prassi finora vigente, riconsiderare l'undicesima tesi su Feuerbach alla luce della critica della scissione-valore, e sottomettere la sua interpretazione ad una critica dell'ideologia.
1 – segue -
Robert Kurz
fonte: EXIT!
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