sabato 4 ottobre 2014

Il ronzio delle api

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Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz

SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della prassi ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica *

3. "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo

Per trovare un orientamento riguardo al problema della teoria-prassi, un orientamento che soppianti il marxismo tradizionale e i suoi derivati postmoderni, è necessario innanzi tutto chiarire di nuovo la dialettica immanente nella relazione tra teoria e prassi all'interno della società capitalista. Non si può affrontare la rottura dell'ontologia capitalista a partire da un punto di vista esterno; c'è invece bisogno di elaborarla, e combatterla, a partire dall'immanenza, mediante la negazione. Nel capitalismo, la separazione tra riflessione teorica e azione pratica che, secondo la comprensione corrente, viene criticata nella Tesi su Feuerbach, non è in nessun modo una separazione assoluta ed esterna, ma una separazione che paradossalmente si presenta in un processo di prassi sovrastante [übergreifend] del "soggetto automatico" (Marx) e della scissione sessuale ad esso associata.
La riproduzione capitalista è la prassi sociale complessiva nella quale entra la riflessione teorica. Con ciò, l'elaborazione teorica nel capitalismo non è un "abbassare le braccia", ma un agire, ancorché sia un agire sui generis che può essere inteso come "prassi teorica". Questa constatazione, sorprendente e paradossale per il senso comune quotidiano capitalista ed anche per la sinistra, è già un topos nella riflessione della critica sociale, per esempio in teorici come Adorno e Althusser, i quali, per altri aspetti, sono antagonisti fra loro. Qui, il concetto di "prassi teorica" generalmente viene confuso con le esigenze stesse della critica sociale. Perché si possa elaborare la differenza distintiva fra critica ed affermazione, c'è bisogno in primo luogo di determinare lo statuto della "prassi teorica" nella sua immanenza capitalista. In questo senso, un aspetto essenziale è la comprensione del fatto che un'elaborazione teorica rappresenta un momento, o un campo specifico, della prassi sociale nel capitalismo.
Questo non dev'essere mal interpretato, come se la differenza e la tensione fra teoria e prassi dovesse essere eliminata con un colpo di magia da un imbroglione a buon mercato. La "prassi teorica" si confronta con la prassi nelle relazioni sociali e nel "processo di metabolismo della natura", ma lo fa come fattore differente e separato dalla vera e propria prassi sociale. Si potrebbe parlare di una prassi sociali di primordine (riproduzione materiale e sociale) e di una prassi sociale di second'ordine (riproduzione della riflessione teorica); o ancora, di una relazione tra "prassi pratica" e "prassi teorica", strutturalmente separate fra di loro. Anche questa formulazione può apparire paradossale per il senso comune quotidiano capitalistico, ma essa indica il paradosso reale della relazione sociale.
Perciò si pone la questione del motivo di tale separazione strutturale, di tale differenza e di tale tensione. Il motivo risiede nel fatto che la "prassi pratica" - l'azione sociale e l'azione della produzione - è fondamentalmente pre-formata per mezzo di modelli a priori della costituzione feticistica della Modernità, attraverso la relazione della scissione-valore, ossia, mediante il "soggetto automatico" della valorizzazione del valore, da una parte, e la scissione sessualmente connotata dei momenti di riproduzione che in esso non vengono assorbiti, dall'altra. Dunque, modelli di azione che appaiono auto-evidenti e che non si sottomettono di per sé a nessuna riflessione: i modelli di azione della valorizzazione del valore, e della sempre simultanea azione della scissione connotata sessualmente, sono modelli determinanti della quotidianità di "lavoro e vita". Si tratta di un'azione feticistica diretta, cioè, le persone "agiscono prima di pensare" (nella formulazione di Marx nel capitolo sul feticcio); esse agiscono in relazioni già costituite e prestabilite dalla famosa "seconda natura", ancorché questo agire in realtà ha bisogno di passare per le loro coscienze.
Pertanto, i modelli di azione sono già prestabiliti a priori, senza nessun lavoro intellettuale riflessivo e cosciente, e, di conseguenza, vengono assunti in maniera quasi ontologica come presupposti della riflessione. Cosa significa questo? Principalmente, in relazione a determinate cose o circostanze, il pensare, in quanto "concezione", ideazione, costruzione intellettuale, ecc., "in verità" precede l'agire ( o per lo meno così dovrebbe essere), come stabilisce Marx nel famoso esempio della differenza fra l'ape e l'architetto. Su questo punto, la relazione sociale feticistica della scissione-valore, però, richiede esattamente il contrario; relativamente al suo proprio contesto sociale e ai suoi "processi di metabolismo con la natura", le persone non sono architetti, ma praticamente sono "api". Per mezzo di quest'inversione, si fabbrica una struttura nella quale non c'è più unità fra "concezione" ed "esecuzione" nell'azione (neppure "sperimentale"), poiché quest'ultima viene presupposta a priori, in accordo con la sua forma, proprio come avviene nel caso delle api. Sotto queste condizioni, la riflessione (teorica) sorge forzatamente come sfera subordinata alla "prassi pratica", e conseguentemente come sfera separata. Per questo motivo, si rileva anche che le persone, pur se ancora in grado di riflettere, si disperano, con conseguenze ecologicamente distruttive, delle loro proprie azioni compulsive, e solo a posteriori suscettibili di venire riflesse e "lavorate".
D'altra parte, anche il pensare smette di essere un atto concettuale "libero", per legarsi alla forma presupposta dell'agire "apesco" della riproduzione sociale e materiale, secondo la sua propria forma condizionata da questa struttura. In questo modo, si ottiene un'identità fra forma dell'agire e forma del pensare specificamente, mediante "l'apriori tacito" della prima forma. Questo vale tanto per il pensiero di senso comune quotidiano capitalista, come per il pensiero di riflessione teorica. Nella misura in cui quest'ultimo avviene ugualmente sotto forma di pensiero costituito, si costituisce il concetto moderno di teoria in quanto "forma teoria", la quale così diventa parte integrante della socializzazione sotto la forma della merce e, per conseguenza, come afferma Adorno nella lezione citata, come "forma di coscienza reificata". A causa dell'identità fra forma di pensare e forma di agire, sorta attraverso quella inversione, si ripropone quindi nuovamente una "unità" fra teoria e prassi, "dietro le spalle" degli agenti pre-formati e, perciò, dietro le spalle dei pensanti preformati; si tratta, tuttavia, di un'unità paradossale e aggiustata in modo negativo proprio a causa della separazione strutturalmente condizionata.
Quest'unità paradossale condiziona un'oggettività incosciente, tanto dell'agire quanto del pensare (subordinato) che, in accordo con la sua forma, somiglia a quella delle api, in quanto le capacità di riflessione, di concezione - o di "architetto" - delle persone diventano delle mere appendici secondarie. Qui l'istanza mediatrice è la "forma soggetto", nella quale le persone ancora una volta riproducono, nella natura e in sé stessi, "l'apriori tacito" della sua forma di costituzione feticistica. Allo stesso tempo che essi, sotto questa forma di soggetti agenti, trasformano le cose del mondo in meri oggetti di movimento della forma presupposta, si trasformano in oggetti anche essi stessi. Per questo motivo, nell'identità negativa tra forma di pensare e forma di agire è inclusa l'identità negativa fra soggetto e oggetto. Non è a caso che il concetto di soggetto - che a noi pare ovvio - sia sorto nel contesto della moderna costituzione del feticcio. La forma feticista del valore e del suo movimento di valorizzazione, che va di pari passo con la costituzione del soggetto, non sorge in quanto tale, ma rimane, secondo Marx, "spettrale"; la forma appare sempre solo indirettamente nelle cose e nelle relazioni trasformate in merci, così come nelle istituzioni da esse derivate.
Ne consegue l'illusione per cui questo soggetto costituito in modo feticista, benché potrebbe modellare "liberamente" le condizioni del mondo, quando si muove nella sua matrice a priori mette in atto una digestione ideologicamente affermativa delle contraddizioni risultanti (questa è l'altra faccia del lavoro proprio del soggetto). La frequente evocazione "del soggetto" contro l'oggettivazione negativa, tanto nel pensiero borghese come in quello marxista, soccombe all'(auto)illusione ideologica. La critica della scissione-valore continua il suo sviluppo coerente contro ciò - critica della "forma soggetto" - che rappresenta quell'unità paradossale e negativa tra forma di pensare e forma di agire, tra teoria e prassi della costituzione feticistica.
Però, quest'unità negativa non può essere intesa in senso superficiale, come parte integrante della differenziazione delle diverse "sfere sociali" stabilite dalla moderna relazione feticista, dove il campo della prassi o della riproduzione della teoria sorgerebbe semplicemente "a lato" degli altri campi, come l'economia, la politica, la cultura, la privacy della famiglia, ecc.. L'unità negativa paradossale tra teoria e prassi, proprio nella sua separazione, consiste anche, più esattamente, nel fatto che la teoria contiene in sé, come suo oggetto, tutta la prassi di tutte le sfere e della totalità della riproduzione capitalista. In quanto riflessione separata "sopra" la totalità sociale mediata con sé stessa, così come sopra le parti ed i momenti di questa, essa è teoria della prassi e, effettivamente, di tutta la prassi dominante, inclusa di sé stessa (cioè, anche come meta-riflessione affermativa sul carattere della teoria in tali relazioni, della teoria in quanto momento separato della prassi sociale).
Poiché la "prassi teorica" è subordinata alla "prassi pratica" in quanto forma di pensare, essa riproduce in sé stessa i modi dell'azione feticisticamente costituiti dalle relazioni sociali e dalla produzione, in forma teorica o come espressione teorica di questi modi. Nella misura in cui la teoria riproduce il contesto categoriale della forma del capitalismo in sé, diversamente dal senso comune quotidiano capitalista non-riflessivo e a maggior ragione reificato, questo avviene anche con la relazione della scissione sessuale; ed anche indirettamente, nell'apparato concettuale della forma teoria in sé, il quale dimentica le rispettive strutture reali di base e "le rende invisibili" nel suo discorso, cosa che simultaneamente si ripercuote anche nella teoria della conoscenza. Nella classificazione superficiale donna=natura, la scissione è determinata di per sé come non concettuale, o come non-problema cui non si può o non si "deve" dare alcun concetto. A questo punto, la moderna forma della teoria è una "forma di coscienza reificata" non solo nel senso delle categorie reali teoricamente riprodotte dal lavoro, dalla merce, dal denaro, dal capitale o, da un altro lato, diretto, dallo Stato e dalla nazione, ma anche, allo stesso tempo, nel senso della relazione di scissione "co-originariamente" riprodotta nella teoria, dalla categoria "invisibile".
La moderna forma della teoria si costituisce come sviluppo continuato del protestantesimo e delle filosofie dei primordi della Modernità, del XVI e XVII secolo, principalmente nel pensiero del cosiddetto Illuminismo del XVIII e XIX secolo - parallelamente allo sviluppo del capitalismo "sulle sue proprie basi" (Marx), a partire dal periodo manifatturiero e dall'inizio dell'industrializzazione. In questo modo, come risulta da quanto detto fin qui, riesce sempre ad essere solo interpretazione del contesto sociale ontologicamente presupposto, come viene trattato da Marx nella Tesi su Feuerbach.
Ma questo non significa in alcun modo che la forma teoria, in quanto "forma di coscienza reificata" interpretativa, non sia di per sé rilevante come prassi. Al contrario, essa svolge una funzione eminentemente pratica, innanzitutto come legittimazione ideale della costituzione capitalista attraverso la sua ontologizzazione. Ma l'affermazione della matrice feticistica a priori come "necessità naturale", "ragione" ontologica o "essenza umana", non appare così semplicemente come argomentazione esterna giustificatrice - che potrebbe anche essere diversa - ma è già contenuta a priori nella forma di pensiero, nel modo di pensare e negli stessi concetti. Come legittimazione a priori, essa rientra sempre nell'agire pratico della "forma soggetto" capitalisticamente costruita. Così il capitalismo può essere inteso come comprensivo di un'interpretazione reale dell'esser-ci [Dasein], in cui la teoria interpretativa entra come parte integrante ed espressione riflessiva.
Qui non si tratta solo della legittimazione a priori del contesto della forma capitalista, come l'unica immaginabile per tutta l'eternità, che praticamente dev'essere sempre esistita (anche se in maniera incompleta, nel passato), e che deve rappresentare l'essere umano in generale; di più, la forma della teoria diventa allo stesso tempo "fornitrice" delle idee per la prassi capitalista di un'interpretazione reale permanente, non solo del mondo in generale, ma anche del capitalismo stesso nel suo sviluppo progressivo. Attraverso la sua costituzione, le scienze naturali e le scienze sociali forniscono modelli di interpretazione per la pratica modellatrice delle relazioni dominanti nel "processo di metabolismo" con la natura, così come nelle relazioni sociali, sulla base di una matrice riprodotta teoricamente a priori; sono sempre, simultaneamente, un modello di legittimazione fondamentale ed un modello di interpretazione in permanente sviluppo, della "prassi pratica" dell'interpretazione reale del capitalismo.
Qui avviene un dislocamento delle priorità nel processo storico: se all'inizio la riproduzione teorica leggittimatrice dell'ontologia capitalista occupava il centro, come sua "auto-certificazione" (spesso fraintesa come se fosse un'auto-riflessione critica, per esempio in Kant), con lo sviluppo progressivo del capitalismo sopra le sue stesse basi, la produzione teorica del modelli di interpretazione attraverso "l'azione" pratica passa ad occupare la posizione principale (non di rado fraintesa come superficialità meramente positivista, quando il positivismo in realtà rappresenta la conseguenza interna, pienamente coerente, dell'auto-certificazione ontologica originaria). In questa evoluzione, il momento leggittimatore della forma del pensare non si perde, ma solo si adatta alla produzione fornitrice di modelli di interpretazione.

3 – segue -

- Robert Kurz -

fonte: EXIT!

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