martedì 7 ottobre 2014

La metafisica della legalità

metafisica legalita

Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz

SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della prassi ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica *

6. Teoria della struttura e teoria dell'azione

Per avvicinarci di più al concetto di critica categoriale, bisogna per prima cosa esaminare con maggiori dettagli come il problema della costituzione feticistica si pone indirettamente nella "prassi teorica". Fondamentalmente, si presenta come la classica opposizione fra teoria della struttura e teoria dell'azione, un'opposizione che si estende lungo tutto il processo di elaborazione teorica a partire dall'illuminismo e che brilla anche in Marx e nella concettualizzazione della "lotta di classe" nel senso indicato. In un senso molto più ampio, intendo questi due concetti della teoria come i modelli principali di riflessione della forma della teoria borghese, che possono essere espressi in configurazioni del tutto distinte. Nell'opposizione fra questi due modelli di teoria insorgono le contraddizioni polari insolubili della moderna costituzione feticistica: la contraddizione, e la simultanea identità negativa fra "libero arbitrio" e determinazione. ovvero tra soggetto ed oggetto, o anche tra "prassi teorica" e "prassi pratica", e la mediazione fra queste due identità polari.
Gli approcci della teoria della struttura vengono qui assunti affermativamente come punto di partenza o carattere oggettivato della matrice a priori, ovvero della "seconda natura", spiegando l'azione come derivata e determinata, in quanto i modelli della teoria dell'azione assumono, inversamente, come punto di partenza, il carattere soggettivo dell'azione, intendendo le strutture sociali come mera espressione di tale azione, o come "azione coagulata". Entrambi gli approcci sono corretti, ma con alla base una scorrettezza che è ad essi comune, ossia l'offuscamento della costituzione feticistica e del contesto della sua forma. Si potrebbe anche dire che si tratta, in entrambi i casi, di astrarre dalla formazione storicamente specifica "nella" quale si pensa e si agisce, al fine di prendere come punto di partenza, a-storicamente, da un lato, la "struttura", o "l'oggettività" in sé stessa, e, dall'altro lato, "l'azione", o la "soggettività" in sé stessa. In realtà, le categorie di soggetto e  di oggetto appartengono strettamente, come si è visto, proprio al moderno patriarcato produttore di merci; in questi concetti, si riflette il paradosso della costituzione feticistica, secondo la quale tutte le azioni devono passare per la coscienza e conseguentemente anche per la determinazione della volontà. Ma tale volontà, e per conseguenza anche l'agire, si vengono a trovare simultaneamente in una forma a priori che incontriamo sempre. Questa forma, o matrice a priori, da parte sua, torna sempre di fatto a sorgere dall'azione umana, ma i suoi risultati si autonomizzano inconsciamente in una  struttura autonoma impenetrabile agli agenti.
L'opposizione fra teoria della struttura e teoria dell'azione rimane insolubile nel carattere interpretativo dell'elaborazione teorica, ossia nell'identità della forma a priori dell'agire e del pensare, poiché il livello di critica rispetto alla stessa costituzione della forma - che solo allora genera la contraddizione interna - non può essere raggiunto nella forma della teoria in quanto "forma di coscienza reificata". Secondo il modo in cui questa contraddizione centrale viene elaborata teoricamente dal punto di vista interpretativo, si sviluppano, a partire da questo, diversi ideologemi, i quali, a loro volta, si ripercuotono sulla "prassi pratica" e co-determinano la forma reale del percorso della contraddizione reale in processo. La "prassi pratica" è in sé stessa piena di ideologia, e lo è tanto più quanto più forte viene ad essere l'effetto della "prassi teorica" su di essa, come elaborazione teorica dell'ideologia, o elaborazione ideologica della teoria, nel senso della teoria della struttura o della teoria dell'azione.
Come "scienza interpretativa", la teoria sociale borghese è di per sé ideologica, perché di per sé può solo essere affermazione scientifica teorica o critica affermativa, come riproduzione teorica dell'ontologia capitalistica presupposta, e del trattamento della contraddizione di questa. E' vero che Marx ha fatto una distinzione fra ideologia e "scientificità" (intesa come riflessione "imparziale"). Tuttavia, anche tale differenza si riferisce al "doppio Marx", e si deve ai residui della stessa parzialità di Marx nei confronti del pensiero illuminista. Non è il Marx critico del feticismo a fare questa distinzione, ma il Marx teorico della modernizzazione, il quale voleva comprendere il capitalismo come "progresso" che non ha ancora sviluppato la maturità della crisi, secondo la metafisica della storia ereditata da Hegel. Quello che non si riflette in questa distinzione di Marx, è il carattere fondamentalmente ideologico di ogni riflessione interpretativa, che deriva dall'insolubile opposizione immanente fra teoria della struttura e teoria dell'azione. In fin dei conti, anche le scienze naturali sono soggette ad un simile carattere, per il loro integrarsi nella costituzione feticistica e il loro rivelarsi, perciò, altrettanto poco "imparziali" quanto lo è la teoria sociale.
E' proprio il modello delle scienze naturali che entra in un certo qual modo nella riflessione della teoria della struttura. Per analogia con la natura, la società e la storia devono essere determinate. secondo il concetto moderno delle "leggi naturali", come processo che è soggetto a "leggi" oggettive le quali possono essere "applicate", ma non negate né soppiantate. L'azione umana viene degradata ad "esecuzione" di "leggi" ineludibili. La "gabbia di ferro" (Max Weber) di matrice feticistica, a priori, pre-formatrice dell'azione. La teoria della struttura in senso più ampio, dinamizzata come teoria dello sviluppo, varia dalla metafisica della storia illuminista, sistematizzata da Hegel, fino allo strutturalismo e alla teoria dei sistemi. Essa implica sempre una "spiegazione" della società e della storia secondo modelli (fisici o biologici) delle scienze naturali.
D'altra parte, la riflessione della teoria dell'azione fa valere l'indipendenza della coscienza umana e la "dimensione della volontà" soggettiva (intenzionalità). Le persone fanno, esse stesse, le loro relazioni, perciò queste devono essere convertibili in una connessione di azioni di volontà, o di "intenzioni". E' a partire da Giambattista Vico che si proclama la comprensibilità e la disponibilità del carattere "autopoietico" della società e della storia, in opposizione alla natura esterna non-antropica. La teoria dell'azione, nel senso più ampio, va dallo stesso illuminismo, quando ancora non era differenziata dalla riflessione della teoria della struttura, passando attraverso il periodo romantico, attraverso la filosofia della vita, attraverso la fenomenologia di Husserl, attraverso il pragmatismo e gli approcci sociologici a questo affini (interazionismo simbolico, ecc.), fino all'esistenzialismo ed ai suoi derivati postmoderni. Essa implica sempre un "comprendere" la società e la storia nel senso soggettivo dell'intenzionalità, a differenza di quello "spiegare" caratterizzato da una determinazione quasi da scienze naturali, a partire dalle legalità sovrastanti. Per questa ragione, la riflessione della teoria dell'azione emerge sempre come ermeneutica sociale e storica, che nello storicismo tedesco (Dilthey, fra gli altri), nel contesto dell'Ideologia Tedesca, è stata delimitata dalla metafisica della legalità hegeliana, e che doveva marcare l'opposizione fra teoria delle scienze naturali, da una parte, e teoria sociale e storica, dall'altra (le "due culture").
Poiché non possono essere altro che una teoria affermativa ed interpretativa - sempre nel contesto della forma capitalistica e della scissione, come presupposto ontologico - tanto la teoria della struttura quanto la teoria dell'azione rimangono incollati, in una forma altrettanto unilateralizzante, alle contraddizioni della costituzione feticistica.
O il livello di azione viene privato della sua autonomia, e l'azione trasformata positivamente in mera "funzione" di un processo strutturale autonomizzato o quasi naturale; oppure, inversamente, il livello strutturale della matrice a priori viene eliminato, e l'azione trasformata in una somma di tti di volontà, di intenzionalità e di interazioni. Entrambe le forme di approccio sono completamente, ed altrettanto, ideologiche, e conseguentemente affermative. Nel processo di trattamento permanente della contraddizione (anche teorico), esse emergono come "oggettivismo" interpretativo e come "soggettivismo" interpretativo o quasi, con la medesima costanza, sempre pronte a trasformarsi l'una nell'altra, senza poter arrivare a colpire la costituzione feticistica che sta alla base.
Questa reciproca trasformazione di entrambi i modelli riflette inconsciamente l'esistenza della matrice a priori offuscata e ontologizzata. Per cui, il modello oggettivista della teoria della struttura ha bisogno, come fine, di avere come appendice l'azione intenzionale dei soggetti, giacché il processo sociale non avviene, in nessun modo, come avviene la reazione fisico-chimica, gli spostamenti geologici delle placche tettoniche, le metamorfosi biologiche, o perfino l'azione animale istintiva come quella dell'ape. Ma rimane inspiegabile il motivo per cui sia in qualche modo necessaria "l'esecuzione intenzionale", la quale smentisce, nei fatti, la nuda "legalità". Nella realtà, l'attivazione della volontà si verifica soprattutto come una sorta di "impurità", come fonte permanente di errore e di equivoco, nel corso del funzionamento oggettivo e "conforme alle leggi della natura" (apiaria) delle cose sociali. La coscienza umana tende ad essere degradata ad una sorta di "fattore di disturbo" del suo proprio contesto sociale. Inversamente, il modello soggettivista della teoria dell'azione non può ignorare del tutto che lo stesso agire si oggettivizza nelle "strutture". Ciò nonostante, tale oggettivazione è a sua volta "presa in carico come appendice" dell'intenzionalità, come quella "azione coagulata" che si manifesta nelle istituzioni sociali. Ma rimane inspiegabile il motivo per cui tale oggettivazione autonomizzata si verifichi in generale, e neghi in realtà la mera "intenzionalità". E' il semplice riferimento, il quale rimane implicito, a quello che opera ancora di più, ossia una costituzione storica della forma che risiede in un'area più profonda della semplice istituzionalizzazione delle azioni intenzionali.
Il problema si mostra anche in Adorno, nella sua ultima lezione sull'introduzione alla sociologia, datata 1968, in cui si schiera contro l'ipostatizzazione della teoria dell'azione: "Se avete esaminato un po' di sociologia..., intanto vi sarà chiaro che non tutto quello che fa la sociologia abbia a che fare on l'agire sociale, ma che l'analisi sociologica si riferisce, in gran parte, a forme reali, oggettività, che non possono essere direttamente trasformate in agire, pertanto, a tutto quello che può essere designato, nel senso più lato possibile, come istituzioni; e qui non c'è nessuna differenza fra l'analisi marxiana della forma di merce oggettiva e, per esempio, il concetto di istituzione sociale... o tutto quello che Marx chiama relazioni di produzione; la differenza consiste precisamente nel fatto che qui non si tratta di un agire diretto, ma semmai, se vi piace, di azione coagulata, di lavoro in qualche modo coagulato; e si tratta anche di qualcosa che si è autonomizzato rispetto all'agire diretto... Ma, subito, è necessario dire... che questo agire è molto più dipendente da queste istituzioni e può essere adeguatamente spiegato solo a partire da queste istituzioni, rispetto alle quali abbiamo guardato questo agire come l'ultimo substrato diretto e abbiamo pensato di poter spiegare il sociale in generale a parte dall'agire sociale". Secondo Adorno, una forma di approccio di questo tipo comporterebbe una "versione soggettivistica straordinaria" della comprensione.
Sebbene Adorno qui tessa una critica della riduzione del problema nella teoria dell'azione, egli tratta anche il concetto di "agire coagulato" e della sua "istituzionalizzazione", senza considerare i differenti livelli profondo di questo "coagulare", nella relazione fra costituzione feticistica e sviluppo istituzionale continuato. In ogni caso, questo non è mai possibile a livello sociologico. L'analisi marxiana della costituzione genetica della forma è qualcosa di qualitativamente diverso dall'analisi e dalla concettualità più superficiale dell'istituzionalizzazione, la quale avviene e si trasforma continuamente nel processo dello sviluppo capitalistico, del trattamento della contraddizione e dell'interpretazione reale. I riferimenti al livello più profondo del problema della costituzione, in Adorno sono solo sparsi, dal momento che non ha mai affrontato sistematicamente questo problema. Comunque, nella riflessione citata, rimane possibile e fatta salva un'apertura verso questo livello. Tuttavia, poiché la riflessione critica non avanza esplicitamente fino a quel punto, non è possibile superare la trasformazione reciproca fra riduzionismo della teoria della struttura e riduzionismo della teoria dell'azione.
In questo modo, è possibile uno "strutturalismo" di entrambe le parti, solo con punti di partenza distinti e con connotazioni ideologiche differenti. Quel che porta il nome di "strutturalismo" nella seconda metà del XX secolo, in parte è strutturato sulla teoria dell'azione, solo che con il passaggio verso la determinazione ontologizzante di quell'agire intenzionale viene a sua volta determinato "sempre" "in conformità con le leggi" per le strutture oggettivate (che normalmente vengono equiparate alle istituzioni). E' proprio nello strutturalismo che entrambi gli approcci cominciano a confondersi. Sarà che la struttura oggettivata viene presupposta, in conformità ai modelli fisici o biologici a priori, e l'azione intenzionale viene derivata da essa, o sarà che, proprio al contrario, l'azione intenzionale viene presupposta a priori, nel senso di un modo di essere specificamente umano, e la struttura oggettivata è, a sua volta, derivata da questa? In entrambi i casi, la costituzione storica della forma della modernità capitalistica rimane avvolta nell'oscurità ontologica, e sfugge alla critica.
Questo meccanismo di offuscamento ed ontologizzazione fa di entrambe le correnti, delle teorie della forma borghese della matrice della "prassi ideologica" , tanto nella loro contraddizione polare quanto nella loro trasformazione reciproca. L'ideologia liberale, con le sue origini nell'illuminismo e nella base illuminista dell'economia politica, insiste per principio, e proprio durante la crisi, sulle "leggi naturali" della forma capitalista e, per conseguenza, della storia (da esse risultanti) dell'interpretazione reale del capitalismo e della trasformazione del mondo come "processo sociale naturale" inarrestabile, a cui bisogna adattarsi a qualsiasi prezzo, sotto pena della rovina. Il trattamento della contraddizione, in tal senso, a partire dall'interpretazione basata sulla biologia e sulle scienze naturali, sfocia nel darwinismo sociale, come "legge" della lotta per la sopravvivenza (sopravvivenza del più adatto). che viene anche proclamata dalle ideologie conservatrici e fasciste, e messa in relazione con i meta-soggetti razzisti nazionalisti. Ne risulta un momento comune del liberalismo e del fascismo/nazionalsocialismo, profondamente aggrappato alla metafisica della legalità, basata sulla teoria della struttura. D'altra parte, l'ideologia della teoria dell'azione, basta sulle correnti della fenomenologia, della filosofia della vita e dell'esistenzialismo, insiste, a partire dalla visione del soggetto intenzionale irriflesso, sulla critica delle "leggi", senza registrarne il loro condizionamento costitutivo. Così si proclama una "intenzionalità "eroica" o perfino una intenzionalità "quotidiana", il cui trattamento della contraddizione sfocia nella "ricerca dei colpevoli" (intenzionalità negativa, ostile). L'antisemitismo ed il nazionalsocialismo, possono essere così intesi proprio come amalgama ideologico irrazionale della metafisica della legalità e della metafisica dell'intenzionalità.
Nella misura in cui Marx, dalla Tesi su Feuerbach, ha cominciato a negare la forma moderna della teoria, come riproduzione interpretativa della connessione capitalistica della forma e del suo carattere contraddittorio, l'autore del Capitale ha aperto la strada verso la critica categoriale. Ciò nonostante, tale critica non è stata in nessun modo portata a conclusione. Così come l'argomentazione marxiana, nel Capitale, oscilla fra teoria della modernizzazione e teoria del feticcio, anch'essa oscilla tra una metafisica della legalità, interpretativa della teoria della struttura, nella quale si trova avvinghiata alla "lotta di classe" come azione intenzionale, ed una meta-teoria dell'azione che ha come obiettivo la critica categoriale verso questa stessa legalità, la cui rilevanza pratica è stata più volte definita da Marx, come "enorme coscienza". Nella prefazione al Capitale si può già leggere, nel senso positivista di una riflessione della teoria della struttura, il riferimento alla "necessità bronzea" delle "leggi naturali della produzione capitalista" che vengono comparate alle leggi fisiche, e che corrisponde anche alla metafisica della storia di Hegel, virata al materialismo.
Nella stessa misura in cui il marxismo del movimento operaio e della lotta di classe continua a mantenere l'offuscamento più completo riguardo alla dimensione della critica del feticismo della teoria marxiana (anche nella comprensione tronca della Tesi su Feuerbach), si rende anche necessario riprodurre in esso l'unilateralità interpretativa borghese della teoria della struttura e della teoria dell'azione, notando che la prima mantiene la superiorità per molto tempo. Nella socialdemocrazia marxista, la trasformazione oltre il capitalismo viene ogni volta oggettivata come "legge." La stessa critica appare oggettivata, appare "esecuzione della storia": l'agire stesso, l'intento di emancipazione sociale vale per quel che ha "come obiettivo", e non come rottura della falsa oggettività della "seconda natura". Anche l'intento di elaborazione ideologica viene così ridotto ad una "funzione" degli interessi "oggettivi", con caratteristiche quasi di leggi naturali, che devono semplicemente essere riconosciuti come corretti; una riduzione che avrebbe promosso una terribile vendetta con la vittoria del nazionalsocialismo antisemita sul movimento operaio tedesco.

6 – segue -

Robert Kurz

fonte: EXIT!

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