domenica 19 ottobre 2014

I sovranisti e il loro doppio

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L'avvenire di un'illusione: l'identità nazionale
di Gérard Briche

Le recenti elezioni europee e l'arroganza del Front National hanno reso più evidente fino a che punto l'estrema destra sia notevolmente visibile da qualche tempo a questa parte. Lo si può osservare in alcuni fenomeni, di cui certi, per quanto deplorevoli, rimangono aneddotici. Da parte mia, ne vorrei evidenziare un paio. Da un lato, un revival di antisemitismo, e dall'altro, una volontà di ritirarsi nella dimensione nazionale dell'esistenza collettiva, che si manifesta per mezzo di quello che viene chiamato "sovranismo".
Indubbiamente, queste manifestazioni non suscitano tutte lo stesso disgusto. Gli "euroscettici" di sinistra o di destra non hanno tutti la visibilità di provocatore negazionista come Dieudonné, o la dubbia notorietà di un Alain Soral il quale, in virtù degli approssimativi deliri del suo antisemitismo, riesce ad essere qualificato come un "saggista".
Tuttavia, mi sembra che l'antisemitismo ed il "sovranismo" fluiscano dalla medesima sorgente: la fede in un'identità nazionale, in uno Stato-nazione che sarebbe il territorio di un popolo. Ciò costituisce il fondamento, tanto di un "euroscetticismo" ostile ad una sovranazionalità europea, quanto della diffidenza, perfino odio, nei confronti degli ebrei, descritti come una razza apolide e per qualche ragione, incapace di integrarsi a qualsiasi popolo. Sarebbe certamente esagerato assimilare gli "euroscettici" ai fascisti. Ma l'antisemitismo, per esempio, è senz'alcun dubbio una minaccia latente nella nostra società, e comprendere le ragioni del suo riapparire, in dei contesti a volte inaspettati, è uno degli oggetti del testo che segue.

L'ascesa ed il declino degli Stati-nazione

Gli Stati-nazione sono contemporanei delle società moderne. Per rimanere in Francia, non c'era alcun sentimento nazionale prima della Rivoluzione francese: fino alla fine del XVIII secolo o giù di lì, esisteva effettivamente solo la Francia, cioè a dire, nei fatti, il dominio dove il re è il re - e sicuramente non esisteva il francese. La necessità in cui si è venuto a trovare lo Stato rivoluzionario, quello dell'Anno II, di costituire un'identità nazionale, una patria da opporre alle altre patrie, si è materializzata come necessità di imporre una lingua comune, e di combattere ciò che costituiva prima la sola identità: quella dei particolarismi provinciali. La ben nota formula secondo la quale gli "ussari neri" (gli insegnanti laici) inviati in Bretagna, affiggevano un cartello nelle scuole: "E' vietato sputare e parlare bretone", riassume in maniera aneddotica quella che è stata una necessità per lo Stato giacobino: costituire un'identità nazionale.
Non è di poco conto notare come questa costituzione sia stata legata alla mobilitazione patriottica contro il nemico - quello che viene cantato nella Marsigliese ne è il simbolo che conferma questa volontà per cui non ci sono più né Bretoni né Alsaziani, né alcun altro "provinciale": ci sono solo francesi. E ciò che quella canzone è stata - e che è ancora - rappresenta il simbolo di un'adesione ad un'identità nazionale francese. Non bisogna dimenticare che prima di una tale adesione, non c'erano altro che dei villaggi e delle province, e la rivolta degli Chouans può essere citata a titolo di esempio. Ma non va dimenticato nemmeno che gli aristocratici non avevano alcun sentimento nazionale, e che la storia è ricca di alleanze dell'aristocrazie con altre aristocrazie "straniere", a dispetto di una patria rappresentata dai confini nazionali: l'identità sociale era assai più forte dell'identità nazionale.
Naturalmente, la costituzione delle nazioni, degli Stati-nazione, avveniva nella logica del movimento per quello che si può chiamare il principio mercantile andava ad imporre il suo dominio sulla società. I mercanti, era questa frangia del Terzo stato che, grazie alla Rivoluzione, era stata in grado di costituirsi in classe ed affermare che ciò che era al cuore della società, era sviluppare la loro ricchezza - ricchezza monetaria e capitalizzabile, s'intende. La società si trovava fino ad allora divisa in tre ordini la cui suddivisione era pretesamente sigillata dalla volontà divina e dall'autorità regale. Essa si trasformava per diventare una società dove la ricchezza capitalizzabile ormai divideva gli uomini fra quelli che avevano tutto (o almeno, avevano tutto per creare ricchezza), e quelli che non avevano niente (ma che avevano almeno il potere di lavorare, questa merce preziosa fra le altre merci). Quindi ora, due classi dividevano in maniera polare una società rivolta verso il lavoro e la produzione di ricchezza,  ed il cui celebre motto venne formulato così da Jacques Guizot: "Arricchitevi!". Per dirla crudemente: era arrivata la società borghese.
Costituzione di un'identità nazionale, di un capitale nazionale, di una nazione: questi elementi rispondono alla medesima logica. Sarebbe fuorviante, però, presentare tale dinamica nazionale (nazionalista?) come l'unico movimento che ha forgiato l'epoca moderna. La figura di Anacharsis Cloots, rivoluzionario e giacobino, troppo radicale per Robespierre, e che verrà ghigliottinato nel 1794, è il simbolo di una visione non nazionale della repubblica, che lo stesso Cloots designerà come universale. E seppure marginale, la visione non nazionale e tendenzialmente anti-borghese persisterà nella repubblica, sotto forma di quella bohème che rifiuterà, nel XIX secolo, di giocare il gioco del lavoro e che metterà insieme, in un'alleanza che a prima vista potrebbe sorprendere, vecchi aristocratici, artisti e criminali.
Lo Stato-nazionale ha rappresentato il quadro necessario per quella che può essere designata come l'accumulazione primitiva del capitale. Ma lo sviluppo della stessa legge del capitale, e la globalizzazione che un tale sviluppo esigeva, ha dimostrato, nel giro di qualche decennio, con lo sviluppo imperialista del sistema di produzioni di merci, che non era più sostenibile economicamente. Uno sviluppo imperialista che è il segreto dell'espansionismo nato nel XX secolo, e che perciò non è una manifestazione di potenza, ma una manifestazione di debolezza: l'espansione o la morte, è questa la legge del sistema di produzione di merci.
E' su un tale sfonfo che va valutato il "sovranismo" di oggigiorno. Quello che sta alla base, è la sottovalutazione dell'esigenza di sviluppo del capitale, e la visione naif di un capitalismo che si costruirebbe su una base nazionale ed avrebbe come obiettivo la soddisfazione dei bisogni nazionali. Certamente, un tale capitalismo ha avuto luogo; ma non è più all'ordine del giorno, e l'internazionalismo del capitale (il denaro non ha patria) sta lì a provarlo. Non si tratta più di scegliere fra Stato-nazione e Stato sovranazionale, perché questa scelta non esiste più: lo Stato-nazione non può più essere altro che un discorso rassicurante destinato a dare un po' di fiato ad un capitalismo che è internazionale, non per vizio ma per necessità.
Il discorso "sovranista" fa propaganda anche all'idea naif ver cui gli Stati sarebbero suscettibili di dettare la loro legge al capitale; dimenticando che gli Stati possono imporre la loro politica solo se questa politica è vantaggiosa ai fini dell'accumulazione di capitale. E quello che ci viene oggi imposto come "necessità economiche" non è altro che la necessità (ben reale) per il capitale di tentare di valorizzarsi, al prezzo eventuale di una politica ingannevole, le cui repsonsabilità non la fanno da padrone. E' chiaro che ci troviamo in un periodo di crisi il cui esito è senza dubbio fatale per il sistema tutt'intero, e dove le politiche non possono fare altro, in un'epoca dove nessuna promessa è più credibile, che fare discorsi ingannevoli - qualunque che sia il loro contenuto, ivi compresi i discorsi "sovranisti".

La rinascita dell'antisemitismo

Se la feticizzazione post mortem dello Stato-nazione è alla base di quello che viene chiamato il "sovranismo", essa è anche, sebbene in maniera meno evidente, alla base dell'attuale recrudescenza di antisemitismo.
L'antisemitismo che oggi rinasce in Francia, che si rivesta dei deliri di un Alain Soral o delle provocazioni di una Le Pen o di un Dieudonné - vestito perfino con i colori della "lotta anti-sistema" o di un "antisionismo" che nasconde a malapena la sua verità antisemita, è nei fatti la combinazione di due "antisemitismi" molto diversi nella loro storia.
Il primo antisemitismo, quello che può essere definito un antisemitismo storico, è il più evidente. Si nutre di deliri anti-ebraici a proposito di sacrifici di bambini nel giorno del sabato, di infiltrazioni da parte dei "giudei" negli ingranaggi della Francia, ecc.. E' chiaro purtroppo che questo antisemitismo non è morto, e che ci sono abbastanza imbecilli e provocatori in grado di riattivarlo, più di un secolo dopo Dreyfus.
Il secondo antisemitismo - si dovrebbe dire la seconda fonte di antisemitismo? - è più sottile, se così si può dire. Ha questa caratteristica essenziale, che non trae origine da un sentimento anti-ebraico, ma da un sentimento di ostilità nei confronti del sistema moderno del capitalismo. In altre parole, non si tratta di un caso particolare di razzismo, di un sentimento "trans-storico" le cui fonti sarebbero le stesse da duemila anni - anche se, insisto su questo punto, un tale sentimento anti-ebraico viene usato come coadiuvante. Nella sua opera sul nazismo, nel 1936, Daniel Guérin aveva sollevato la questione: "Tutta l'arte del nazionalsocialismo consiste nel trasmutare l'anti-capitalismo in antisemitismo". In questo senso, la derisoria "quenelle", che viene presentata come un "saluto tedesco", in cui si arresta il movimento prima di terminarlo, denuncia la verità: Dieudonné è un nazista che ferma il suo nazismo prima di esplicitarlo (altri lo esplicitano per lui). Il suo antisemitismo, che sfrutta i peggiori fantasmi anti-ebraici, si addobba di un "antisionismo" e di una critica del "sistema" in cui cadono coloro che non chiedono altro che di cadervi.
Si deve a Moishe Postone, professore di storia a Chicago, aver chiarito in un articolo fondamentale, più volte pubblicato, "Antisemitismo e nazionalsocialismo", il processo di questa trasmutazione del sentimento ostile al sistema capitalista.
Postone vede nell'antisemitismo moderno lo scostamento (abilmente sfruttato dai nazisti) si un sentimento ostile a ciò che fonda la società moderna, capitalista: la forma valore. Scrive: "La differenza qualitativa viene espressa dall'antisemitismo moderno in termini di misteriosa presenza inafferrabile, astratta ed universale." Questa misteriosa presenza inafferrabile, astratta ed universale, è la presenza della forma valore così come essa viene evidenziata, ad esempio, da Anselm Jappe.
In che cosa la società moderna viene modellata dal principio mercantile, questa forma valore, e attraveso quali conseguenza si manifesta tale modellamento?
Sarebbe fuorviante identificare questa "misteriosa presenza" con il potere del denaro. Una tale interpretazione, che potrebbe basarsi sull'analisi di Max Horkheimer, avrebbe il suo punto debole nell'identicare "gli ebrei" con il denaro che, nella società moderna, circola in maniera incontrollabile. Il fascismo ostile al denaro? Il fascismo ostile agli ebrei che incarnerebbero il potere del denaro? Questo contraddice la realtà storica che ci ricorda che il fascismo ha tratto beneficio dal potere del denaro - e non è sempre stato antisemita. In realtà, il denaro e la sua circolazione, così come il potere e le sue reti, non sono, nella società moderna, altro che manifestazioni apparenti, la forma visibile, fenomenica, di qualcosa di meno visibile. In breve, si tratta, per capire la modernità, di distinguere fra le forme visibili, fenomeniche, e l'essenza dei rapporti sociali nel capitalismo. E questo ci porta al concetto di feticcio.
Il mondo delle merci, è "il mondo incantato e capovolto, il mondo a rovescio" la cui apparenza non riflette la sua verità. E' illusorio vederlo come un mondo governato dalla "potenza del denaro"; non è più corrispondente alla verità vederlo come un teatro d'ombre che viene manipolato da un complotto onnipotente. La teoria del feticismo presenta i fenomeni visibili come dei fenomeni reali, non illusori (non si tratta di sbarazzarsi di illusioni fuorvianti - come suggerirebbe una lettura superficiale di Marx), ma la cui spiegazione esige che si penetri la forma fenomenica per accedere alla loro essenza. Il mondo dove operiamo è un mondo incantato, dove gli elementi che appaiono concreti non sono che delle astrazioni reali; per riprendere un concetto elaborato da Alfred Sohn-Rethel.
Se il mondo delle merci non è quel che appare, ciò è perché è dominato da delle astrazioni - delle astrazioni ai nostri occhi. Le merci hanno più realtà nell'equivalente-denaro che esse rappresentano, piuttosto che nell'interesse pratico che esse hanno. Il lavoro ha più realtà nel denaro col quale ha rapporto, piuttosto che nell'interesse pratico che rappresenta, ecc..
Sicuramente, questo è qualcosa che la maggior parte di noi sente in modo oscuro. Noi sentiamo che le merci non hanno altro interesse, nella realtà, che far circolare il denaro (l'utilità delle merci a volte è difficile da identificare!), così come sentiamo che il lavoro non ha altro interesse, nella realtà, che quello di produrre delle merci (la cui utilità a volte è difficile da identificare!) e permetterci di "guadagnarci da vivere", nell'indifferenza, assai spesso, al contenuto del lavoro, ecc..
In breve, c'è un "deus ex machina" che sovradetermina gli agenti identificati nella loro funzione di padroni, operai, banchieri, ecc. - lo si può chiamare il principio borghese; è il valore. Il valore: questo "soggetto automatico" che non ha altro "fine" che l'accumulazione senza fine di una ricchezza staccata da qualsiasi utilità pratica, e che modella tutte le attività sociali a questo scopo. Questa modellazione di tutte le attività sociali, questa sintesi sociale come scrive Alfred Sohn-Rethel, determina ogni attività sociale come un'astrazione per cui l'interesse pratico non viene tenuto in contro, né il lavoro cui le persone sono sottomesse, se non per le loro possibilità di consumare. Dal momento che il valore viene accumulato, il mettere fuori dal circuito migliaia di disoccupati non ha meno, né più interesse che la tesaurizzazione indecente della ricchezza da parte di una minoranza di privilegiati. Viene presa in considerazione solo la ricchezza astratta, capitalizzabile - quella che permette di dire che la società moderna non sta morendo di troppa povertà, ma di troppa ricchezza - salvo che questa ricchezza astratta viene accumulata a spese di una ricchezza pratica, della quale alla "legge del valore" non importa niente.
E' facile capire come la sensazione che questa ricchezza astratta non costituisca la ricchezza delle persone sia pericolosa. Pericolosa per un sistema che non esiste altro che per l'accumulazione di questa ricchezza astratta, e in particolare per gli agenti di funzione che, da questo sistema, traggono un certo vantaggio.
Il segreto dell'antisemitismo moderno, il segreto dell'antisemitismo nazista, consiste nell'andare a bloccare la coscienza sociale e storica di quella che è la società moderna nella sua specificità, biologizzando ne "gli ebrei" questa "misteriosa presenza" del valore, cioè a dire designando un astratto fenomenico che pretende "superare l'ordine sociale esistente a partire da un punto di vista che, in realtà, gli rimane immanente". Orientando il sentimento "anti-capitalista" su "gli ebrei", i nazisti identificano un nemico in maniera ingannevole, feticizzando il sentimento "anti-capitalista", e dandosi così un'immagine "anti-sistema" a buon mercato, quando non sono altro che dei servitori di questo sistema. E' questo che spiega perché i nazisti vogliono innanzitutto privare gli ebrei del loro carattere di essere umani, e perché intraprendano la loro eliminazione in maniera industriale, pressoché deprivata di emozione: "è Auschwitz - e non la presa del potere nel 1933 - che è stata la vera 'rivoluzione tedesca'".
Ed è anche questo che spiega il modo di fare di Dieudonné e Soral, che pretendono di designare - o in ogni caso suggerire - dove si trovano i "padroni del gioco", quando la loro pseudo-critica non critica niente ma sdogana l'antisemitismo classico per mezzo di quello che è di fatto un incitamento all'odio che finisce sotto i colpi della legge. Che sia con il pretesto dell'arte o con il pretesto del saggio, le provocazioni di Dieudonné e di Soral non sono altro che la versione più spettacolare di un'apparente opposizione ad un "sistema", ma che soprattutto non permette di comprenderlo.

L'identità nazionale come feticcio

Ciò che hanno in comune i "sovranisti" e gli antisemiti, è l'obbligatorietà della nazione. Cerchiamo di esser chiari: quest'obbligo è il risultato di un processo storico che ha portato la modernità capitalista-di mercato alla globalizzazione. Al giorno d'oggi, lo Stato-nazione non è più praticabile; è stato la leva per l'instaurazione di un capitalismo senza freni, ma sarebbe un ostacolo al dominio oramai mondiale del valore, ed al suo movimento, letteralmente inumano, di accumulazione della ricchezza astratta.
Mentre i "sovranisti", nostalgici di una base nazionale dell'accumulazione della ricchezza astratta, e che, nella sfida faccia a faccia della globalizzazione, sognano il ritorno ad una fase più umana della modernità capitalistica, gli antisemiti, sfidando anch'essi questa globalizzazione laddove vedono giustamente la fine di un'epoca, focalizzano su "gli ebrei" la legittima inquietudine rispetto a questo dominio incontrastato del valore.
Non sorprende come nelle presenti circostanze, la fine degli Stati-nazione abbia come conseguenza un rimpianto nostalgico per un'epoca in cui la loro esistenza era ancora possibile. E non sorprende nemmeno constatare la recrudescenza di un antisemitismo che sovrappone i fantasmi più banali dell'odio anti-ebraico ai suoi elementi pù moderni, che il nazismo ha avuto il dubbio privilegio di sperimentare. A tale riguardo, si possono designare come degni eredi dei nazisti coloro che vedono ne "gli ebrei" i manipolatori inafferrabili di un sistema dove il potere ed i candidati al potere non sono altro che delle marionette mosse da una congiura di cui non si fa che sussurrarne il nome. E' legittimo assumere i propagatori di questi deliri per quello che sono veramente: dei nazisti.
Il tema abbondantemente diffuso dalla propaganda nazionalsocialista, secondo il quale le forze che si vogliono a sinistra e le forze che si riconoscono nella destra non sono altro che giocattoli dello "ebraismo internazionale" non è affatto morto. La pubblicità di cui ha beneficiato un certo ex-futuro candidato "di sinistra" alla presidenza francese, che incarnava il triplo abominio di essere ricco, sesso-dipendente, ed ebreo, lo illustra a sufficienza.
Contro il mito che vuole scoprire, "dietro" i fatti, quali sono i veri autori, non fa che ripetere che in realtà, questo sistema è manipolato solo da un principio, certamente inumano, ma impersonale, anche se i suoi agenti di funzione non ne beneficiano tutti alla stessa maniera. Questo principio inumano, il valore, stabilisce i limiti degli Stati-nazione nella pattumiera della storia. Le due conseguenze, contraddittorie, sono, da una parte la volontà di ritrovare l'identità nazionale perduta, e dall'altra l'identificazione di questo movimento "contro-nazionale" attraverso la calunnia e l'infamia. I movimenti della destra, ed in particolare dell'estrema destra, cristallizzano queste due conseguenze. Raziocinare a proposito di "grande capitale" e di "bestia immonda" non costituisce affatto una risposta. Per combattere queste manifestazioni, bisogna cominciare a comprendere l'origine della loro rinascita.

- Gérard Briche - Articolo apparso sul n°45 della rivista « Lignes », nel 2014.

fonte: Critique Radicale de la Valeur

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