mercoledì 8 ottobre 2014

La natura e le leggi

natura leggi

Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz

SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della prassi ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica *

7. "Modernizzazione ritardata" e postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi.

La penetrazione concettuale, necessariamente impegnativa, della problematica contenuta nella Tesi su Feuerbach, e fino ad oggi ancora irrisolta, potrebbe anche diventare più chiara se assumiamo come sfondo storico quella visione rispetto alla quale si sviluppò un'interpretazione ridotta nel marxismo tradizionale e nella sinistra. Sotto tale prospettiva, mi rivolgo ora al tema summenzionato dell'esigenza di azione sotto il profilo dell'involucro della forma del moderno patriarcato produttore di merci. Procedendo da una retrospettiva critica a partire dall'osservazione della nuova qualità della crisi odierna, l'orizzonte di azione della sinistra e dei movimenti sociali del passato, si presenta come problema di "modernizzazione ritardata".
Con questo termine della teoria critica della scissione-valore si pretende riferirsi all'insieme di tutte le varianti del marxismo e del movimento operaio tradizionale nella storia della modernizzazione capitalistica, come forza ed elemento propulsore di questa. A questo riguardo, è caratteristico del profilo dell'esigenza, il postulato di una "Inseparabile unità" fra teoria e prassi, tratto direttamente dalla Tesi su Feuerbach. Si pretende qui di rifiutare la separazione strutturale fra riflessione teorica - in quanto "interpretare" meramente contemplativo "da parte dei filosofi" – ed agire pratico interventista. La teoria dev'essere a priori "connessa" e "integrata" nella prassi storica - ad essa già presupposta - della lotta di classe, e solo a partire da questa potrà ricevere legittimazione.
Per chiarire la problematica di tale postulato, bisogna brevemente ricapitolare il concetto critico di "modernizzazione ritardata". Come già osservato, non si trattava di rompere, né di sostituire, la moderna costituzione feticista; piuttosto, lo sforza emancipatore venne ridotto ad una "lotta per il riconoscimento" all'interno delle categorie della forma del moderno patriarcato produttore di merci, inclusa la relazione di scissione sessuale. Fu esattamente questo a costituire la prassi storica della "lotta di classe". Da un lato, si trattava dell'imposizione dei diritti borghesi e delle gratificazioni per i lavoratori salariati in qualità di soggetti della merce, del denaro e della cittadinanza statale (diritto di sciopero, diritto di voto, libertà di riunione, miglioramento delle condizioni salariali e lavorative, misure di ammortizzazione nel quadro dello stato sociale, ecc.) nei paesi occidentali già industrializzati. Dall'altro lato, le rivoluzioni e i movimenti nazionali di liberazione della "modernizzazione ritardata" nei paesi della parte orientale e meridionale del pianeta, avevano come obiettivo, sulla base di una terminologia marxista, la "lotta per il riconoscimento" come soggetti nazionali del mercato mondiale, indipendenti e portatori di uguali diritti. Pertanto, erano essenzialmente "rivoluzioni borghesi in ritardo" (il "carattere borghese" qui non è inteso in un senso sociologicamente ridotto, ma come moderna costituzione feticista della scissione-valore). E' da molto tempo che questa connessione è stata tematizzata nella teoria della scissione-valore, e si deve continuare a svilupparla. Ma non è questo il luogo per farlo; qui si tratta di evidenziare la rilevanza dello sforzo emancipatore volto ad una "lotta per il riconoscimento" all'interno della moderna relazione feticista, ai fini della comprensione della teoria e della prassi.
Nella misura in cui l'intenzione della "modernizzazione ritardata" del movimento operaio occidentale, della "lotta di classe" e delle rivoluzioni periferiche, può essere decifrata come trattamento della contraddizione, nel senso precedentemente descritto, essa si allinea all'interpretazione reale dello stesso capitalismo; non, però, come trattamento della contraddizione "quotidiana", consueta ed istituzionalizzata, nel senso delle relazioni feticiste capitalistiche già interamente sviluppate, ma invece come trattamento della contraddizione di un certo rapporto nella storia mondiale, e come interpretazione reale nel contesto del processo non ancora finito della costituzione della modernità. Per questo motivo, anche qui non si poteva parlare di una semplice "pseudo-attività" in senso adorniano; al contrario, si trattava della "trasformazione del mondo", sostenuta per tutta un'epoca e rivolta alla soggettività borghese e alle masse, quindi all'interno dello stesso processo capitalista sovrastante la trasformazione del mondo. Era la contraddizione tra l'industrializzazione capitalista, da una parte, e le forme di diritto dello Stato non ancora adeguate a tale "trasformazione del mondo" nella produzione materiale, dall'altra; tra lo sviluppo del mercato mondiale, da un lato, e la mancanza di formazioni politiche nelle nazioni che si trovavano alla periferia (in funzione della loro partecipazione al mercato mondiale), dall'altro lato. Come ultimo punto, fece valere il paradosso per cui l'ideologia della "lotta di classe" si trasformò nel miglior mezzo di trasporto verso l'attuazione di una relazione sociale che solo allora si venne a creare, in generale, la precondizione di sé stessa, ossia, la generalizzazione del "lavoro astratto". Le conseguenze sono ben note: la "classe operaia" come agente della "modernizzazione ritardata", si confrontava con la propria istituzionalizzazione e si vedeva costretta, per così dire, a imbalsamare la lotta di classe sotto la forma statalizzata (come è stato ben visibile nelle contraddizioni e nei movimenti sociali del "socialismo reale).
Una volta che, su questo piano, erano diventate l'ago della bilancia degli sforzi di emancipazione per un trattamento della contraddizione immanente nella storia mondiale, teoria e prassi dovevano sorgere come "interpretazione altra" delle categorie capitalistiche. Così, la critica del capitalismo diventava critica immanente affermativa, come parte integrante dello stesso processo di imposizione del capitalismo; l'idea di "socialismo" veniva misurata su questo; e proprio per questo la critica del feticismo di Marx venne ridotta o fu del tutto dimenticata. Quello che rimaneva era, come abbiamo visto, essenzialmente la corrente della "teoria della modernizzazione" delle argomentazioni marxiane, mentre venivano eliminati i momenti opposti della critica categoriale o della "critica di second'ordine", come è stato spiegato dettagliatamente nell'elaborazione teorica della critica della scissione-valore. D'altra parte, nel campo della "prassi teorica" questo provocava una ricaduta nella dicotomia dell'interpretazione borghese, della teoria della struttura e della teoria dell'azione. Per questo motivo, l'oggettivazione della teoria della struttura guadagnava forzatamente un peso maggiore, perché in realtà di trattava della conseguente imposizione "differentemente interpretata" della "seconda natura" moderna e della sua ferrea oggettività. Il marxismo della modernizzazione confondeva sistematicamente, a partire dalla sua intenzione implicita (che gli sembrava essere l'unica critica immaginabile del capitalismo), l'interpretazione reale delle categorie capitalistiche, nel loro processo di sviluppo nella storia mondiale, con il superamento del carattere interpretativo della teoria in generale, in cui la teoria marxista veniva, nella realtà, degradata a fornitrice di interpretazioni per la "modernizzazione ritardata".
Il marxismo del movimento operaio ed il marxismo dell'Est e del Sud del capitalismo di Stato della "modernizzazione ritardata", in questa costellazione storica, si riferivano con veemenza alle "leggi sociali e storiche", così come si supponeva fossero state scoperte da Marx; il momento critico oscillante in questo processo, nello stesso Marx, ossia, l'approccio verso una critica radicale di una socialità che si muove sotto forma di legge pseudo-naturale, veniva cancellato nel contesto della funzionalizzazione della teoria della modernizzazione, e reso irriconoscibile a beneficio di un positivismo delle categorie oggettivate. Nell'ambito dell'attività scientifica "del socialismo reale", che era solo (come tutto il resto) uno stereotipo strutturale delle rispettive istituzioni borghesi cui veniva premesso l'aggettivo "socialista", questa comprensione positivista venne recepita da generazioni di "scienziati socialisti" nelle formule sinceramente rituali che parlavano di "leggi oggettive" dell'economia e della storia. Così diceva un popolare manuale sovietico sulle Leggi oggettive e sulla gestione scientifica della società: "Le leggi dello sviluppo sociale vennero scoperte e formulate per la prima colta nella storia del pensiero umano nei classici del marxismo-leninismo... In quanto leggi naturali (!), queste leggi esprimono determinati contesti e relazioni" (Jermolajew 1973, p. 30).
Non è migliore l'argomentazione sul tema formulata dal scienziato superstar della Repubblica Democratica Tedesca, Jürgen Kuczynski. Nel suo trattato sulle "leggi sociali", loda i fondatori dell'economia politica borghese proprio per il fatto di aver riconosciuto le "leggi naturali" della riproduzione (economica), incluso tutto il successivo sviluppo capitalista: "La legge economica è così perspicace, chiara ed inflessibile nei suoi effetti, come una legge di natura. Poiché, se qualcuno le si oppone, essa distrugge l'avversario - in una maniera o nell'altra... E' come una legge naturale che si impone in tutte le circostanze - anche se non è chiaramente riconoscibile" (Kuczynski 1972, p. 10). Tale intenzionalità umana in rapporto alle relazioni stesse viene ad emergere così come una mera "esecuzione" delle oggettivazioni; un tale pensiero comprende la "partecipazione delle persone, in un certo qual modo, come un fattore oggettivo (!) - ed anche come fattore soggettivo che fomenta o impedisce coscientemente l'imposizione delle leggi".  L'intenzionalità si riduce, perciò, ad una semplice funzione dei principi presupposti che funziona, più o meno, in accordo con il grado di comprensione della "legalità". Si dissolve, espressamente, in gran misura la differenza fra natura e società: "Distinguiamo fra legge di natura e legge di società - senza avere il diritto, però, di esagerare questa differenza".
Con questo ragionamento, Kuczynski può invocare Engels il quale, nel suo saggio "Ludwig von Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca", postulava un'analogia con la natura: "Gli scontri tra le
innumerevoli volontà e attività singole creano sul terreno storico una situazione che è assolutamente analoga a quella che regna nella natura incosciente...Ma laddove alla superficie regna il caso, ivi il caso stesso è retto sempre da intime leggi nascoste, e l'unica cosa che ci interessa (!) è di scoprire queste leggi.
" (Engels, 1886). Almeno il Marx del capitolo del feticcio aveva intravvisto che, al contrario, quello che ci interessa è rompere, in entrambi i casi, queste leggi e, conseguentemente, la "legalità" oggettivata della società, poiché la "scoperta" di esse dovrebbe coincidere con la critica di un tale stato di cose, caratterizzato dal fatto che le persone non "governano" la loro propria connessione sociale (non è a caso che Marx faccia menzione di questo in analogia con la metafora dell'architetto). Qui Engels è realmente "marxista" in quel senso per cui Marx non voleva esserlo, almeno quell' "altro" Marx della critica del feticismo che supera la teoria della modernizzazione.
Nonostante ciò, è sorprendente, in un certo qual modo, che Engels giustifichi qui il suo "strutturalismo" ontologizzante (il chiaro obiettivo della formulazione, è che dovrebbe essere "sempre" così) in modo estremamente intenzionale e basandolo sulla teoria dell'azione. In primo luogo, egli non si riferisce in alcun modo alle "leggi naturali" a priori della società , ma al fatto che le "leggi occulte" sorgerebbero solo a partire dai "conflitti" della "azione coagulata". Tale risultanza deve, però, portare ad uno "stato incosciente analogo alla natura". E già qui svanisce l'opposizione immanente tra il modo di procedere della teoria della struttura e la teoria dell'azione, così come ripeterà in ogni elaborazione teorica posteriore con varianti sempre nuove, anche se il problema verrà sviluppato dopo con maggior chiarezza rispetto alla formulazione "ingenua" di Engels, senza che, tuttavia, possa essere risolto. Engels qui mostra solo di pensare, senza rotture, secondo la forma moderna della teoria.
E, pur avendo base realmente nella teoria dell'azione, il risultato può essere incorporato candidamente (e non solo in Kuczynski) nella determinazione, per mezzo della teoria della struttura, di una comprensione quasi scientifico-naturale - per non parlare delle mere "istituzionalizzazioni" della "azione coagulata" - delle "leggi" stesse, le quali devono solo essere "scoperte" e poi "applicate". E' quello che avviene anche nello scritto di Engels, "L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza", dove si dice a proposito del futuro socialismo: "Le leggi della loro attività sociale che sino allora stavano di fronte a loro come leggi di natura estranee e che li dominavano, vengono ora applicate dagli uomini con piena cognizione di causa e quindi dominate" (Engels, 1880). Qui, pertanto, non viene annunciato il superamento della "seconda natura", ma "l'utilizzo delle sue leggi", non si annuncia la critica dell'oggettivazione, ma la sua "dominazione" per mezzo della "conoscenza" positiva "della materia". Trascorsi quasi vent'anni dalla prima pubblicazione del Capitale di Marx, Engels continua, ovviamente senza essere toccato dalla comprensione della costituzione feticistica della storia, ad ontologizzare allegramente, senza una meta, non per determinare lo "scontro" delle "azioni individuali" intenzionali ed il risultato oggettivato di questo come modo di vita specificamente capitalista-moderno, ma dichiarando, al contrario, tale risultato oggettivato essere una "legge naturale" universalmente valida, anche per tutto il futuro.
Per cui non si deve solo alla costituzione "del socialismo reale" nelle categorie feticiste moderne non-superate, ma lo si deve anche allo stesso marxismo del movimento operaio nell'orizzonte della modernizzazione del XIX secolo, il fatto che Kuczynski in parte ontologizzi, in parte storicizzi, la "legalità sociale", senza essere in grado di criticarla in quanto tale: "Le leggi della società in parte hanno effetto eterno (!), sono comuni a tutte le società, ed in parte hanno effetto per un breve spazio di tempo, determinato in generale dalla durata di una specifica formazione sociale". Quello che dovrebbe essere "eterno", ovviamente è soprattutto la categoria della sostanza capitalistica, il "lavoro", la cui astrazione nominale, come principio trans-storico, si è aggrappato all'ontologia marxista del lavoro, estinguendo in tal modo la teoria critica radicale del concetto marxiano di "lavoro astratto". Se il "lavoro" ontologizzato nel marxismo del movimento operaio del XIX secolo era ancora pensato nella prospettiva di un superamento meramente astratto e positivista della forma valore (proprio in Engels, per esempio nell'Anti-Duhring), nelle relazioni di riproduzione "del socialismo reale" anche la forma feticista del valore appare, conseguentemente, come principio ontologico. L'intenzionalità della pianificazione, che si intendeva suppostamente come oltre il capitalismo, venne ridotta alla moderazione e al "comando" della burocrazia statale o allo "utilizzo cosciente" delle categorie feticistiche non superate; un contesto che, logicamente, ancora una volta venne interpretato come "legge" di una sorta di "socialismo delle api".
Partendo da questo contesto, diventa chiaro perché e come le rispettive interpretazioni della Tesi su Feuerbach possano condurre al postulato di una "unità" a priori "fra teoria e prassi" nel marxismo del movimento operaio. Era inevitabile, poiché, nel contesto della "modernizzazione ritardata", come trattamento della contraddizione nella storia mondiale, l'unità paradossale capitalista fra "prassi teorica" e "prassi pratica", in quanto identità negativa della forma di azione e della forma di pensiero, doveva essere riprodotta nella continuità della "scienza borghese", proprio nella sua separazione. E' parte costituente dell'essenza di tutta la "scientificità" moderna, il fatto che essa dia alla natura trasformata in oggetto, la forma di "legge", trasponendola alla propria socialità reale oggettivata. Il "socialismo scientifico" ha soppiantato il pensiero utopico solo nel senso di una "critica affermativa" della teoria della modernizzazione. Dove torna ad essere oggetto di un pensiero da essa costituito, la socialità feticisticamente oggettivata si riproduce nella "prassi teorica".
Il postulato dell'unità a priori fra teoria e prassi non poteva perciò essere altro che vincolato dalla teoria (marxista) alle categorie ed ai criteri della matrice ontologica, alle presunte "leggi naturali" della socialità ontologica e storica, che si muovono per  statuto trans-storico o, in ogni caso, non sono criticabili per un tempo inimmaginabile. Ma, se la critica categoriale cessa di esistere, cessa di esistere anche la tensione fra teoria critica e "controprassi" immanente nella risoluzione delle contraddizioni capitalistiche, giacché il medesimo a priori è determinante per entrambe le parti. Così, il postulato di "unità inseparabile" fra teoria e prassi riflette solo l'enfasi speciale che - secondo le intenzioni della "modernità ritardata" e della "lotta per il riconoscimento", nel "secondo round" della costituzione capitalista - serviva per dare esecuzione cosciente alle "leggi". Ciò rende chiaro che il postulato si muove proprio all'inverso della Tesi su Feuerbach, nella misura in cui questa va intesa nel senso di una critica categoriale.
Nello sviluppo storico del movimento operaio e della "modernizzazione ritardata", questo legame e questa "prigione" della teoria nell'identità oggettivante della forma di azione e della forma di pensiero sono apparse nella celebre figura del "primato della politica". L'elaborazione teorica era subordinata alle "esigenze politiche" del trattamento pratico della contraddizione, così come risultavano dai processi di giuridicizzazione, formazione dello Stato e della nazione. La "lotta per il riconoscimento", come soggetto del diritto e dello Stato, e per l'auto-affermazione nelle forme del "lavoro astratto", della merce, del denaro e della scissione, diventavano politicismo in relazione allo Stato, sotto la cui forma era sorta la "formazione di Stato" della classe operaia, della liberazione nazionale, ecc.. Le supposte "leggi proprie" del socialismo, così inteso nella realtà, dovevano consistere in nient'altro che nella "pianificazione" e nel "controllo" delle proprie categorie di base.
Con ciò, la "questione del potere" veniva ad essere messa al centro, e veniva intesa come canalizzazione politica degli sforzi di emancipazione per raggiungere i "bottoni del comando" del potere statale. Le differenze fra democraticismo sociale occidentale e leninismo orientale si svolgevano all'interno di questo paradigma; e, se il fuoco dell'interesse era rivolto verso la critica storica, tali differenze potevano essere in gran parte ignorate. In entrambi i casi, la "forma politica" borghese, in quanto forma di trattamento della contraddizione, diventava istanza centrale della "trasformazione del mondo", per sottomettere le categorie ontologizzate del moderno patriarcato produttore di merci "interpretato differentemente" ai fini di una regolamentazione politico-statale suppostamente amichevole con le persone, senza che venissero soppiantate le categorie in quanto tali. Come modalità di  tale istanza politica interposta, figurava il partito politico (partito operaio, partito del lavoro, ecc.).
La "prigione" della teoria critica nella riproduzione teorica interpretativa delle relazioni feticistiche, era data perciò dalla sua inclusione nella forma della politica, ed il postulato della "unità inseparabile" a priori fra "teoria e prassi", proveniva dalla sottomissione esterna, istituzionalizzata, della "prassi teorica" alla "prassi politica" del partito, come era sottolineato dal famigerato slogan "il partito ha sempre ragione". L'elaborazione teorica perdeva il carattere critico ed il proprio valore; la "prassi teorica", così come la "controprassi", veniva ridotta ad una "militanza partitica", ad una "faziosità" in senso grossolanamente politicista nel contesto del trattamento della contraddizione immanente. Veniva trasformata, abbandonava l'elaborazione teorica critica nei confronti della totalità della socializzazione capitalista negativa, per fare il suo ingresso nella semplice teoria della legittimazione di un'azione "politica" esterna, prestabilita; e, di conseguenza, per entrare nella giustificazione teorica delle rispettive "linee di partito", in funzione della ragione del partito.
In quanto teoria di legittimazione della "modernità ritardata", la "prassi teorica" del marxismo ha dovuto coagularsi in una forma storicamente specifica di "prassi ideologica". Tutto il pensiero immanente teorico, continuando fino ai limiti della forma della teoria interpretativa, tornava sempre ad essere ostacolato amministrativamente, e per ironia proprio nel nome della Tesi su Feuerbach, come risulta chiaro, per esempio, dalla capitolazione di Georg Lukács davanti alle richieste del partito. Il marxismo della "modernizzazione ritardata", che si limitava alla corrente della teoria della modernizzazione dell'argomentazione marxiana, era un "marxismo di partito" per il quale la via della critica categoriale rimaneva sbarrata.
La fine di questa costellazione era pre-programmata come collasso della legittimazione ideologica, non appena l'intero sistema globale del moderno patriarcato produttore di merci doveva cominciare a sbattere contro il suo limite interno assoluto nel corso della terza rivoluzione industriale.

7 – segue -

- Robert Kurz -

fonte: EXIT!

Nessun commento: