La sostanza del capitale (1 di 10)
- Il lavoro astratto come metafisica reale sociale ed il limite interno assoluto della valorizzazione -
di Robert Kurz
Prima parte: La qualità storico-sociale negativa dell'astrazione "lavoro".
*** L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale *** Il concetto filosofico di sostanza e la metafisica reale capitalista *** Il concetto negativo di sostanza del lavoro astratto nella critica dell'economia politica di Marx *** Il concetto positivo di lavoro astratto nell'ontologia del lavoro marxista *** Per la critica del concetto di lavoro in Moishe Postone *** Il lavoro astratto ed il valore come a priori sociale *** Che cosa è astratto e che cosa è reale nel lavoro astratto *** Il tempo storico concreto del capitalismo ***
*** L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale ***
A ben vedere, quasi sempre si può constatare che esistono delle corrispondenze e delle correlazioni fra mutazioni storiche del tutto diverse, in aree del sapere o sfere della vita apparentemente separate fra di loro. Nel sistema produttore di merci della modernità, già nella sua costituzione primitiva, aree come la filosofia, la medicina, l'economia, le scienze naturali, la politica, il linguaggio, ecc., sebbene non si siano sviluppate secondo lo stesso ritmo, si sono pur sviluppate secondo una direzione comune, riferendosi sempre, oggettivamente, le une alle altre. Il motivo di questa concordanza o correlazione, a volte sorprendente, dev'essere evidentemente cercato nello sviluppo della relativa formazione sociale, la quale costituisce il legame comune intrinseco ai vari domini esistenziali, aree di conoscenze e competenze. Con ciò, tuttavia, si dice che non si può avere un sapere assoluto nel modus esistenziale della temporalità: tutto il sapere, anche quello che sembra puramente oggettivo, "rigido", atemporale, è storico e socialmente condizionato, ed è anche in un certo qual modo (non a caso) relativo.
Apparentemente, questa consapevolezza della relatività costituisce un progresso del sapere avvenuto nel XIX e nel XX secolo, che proviene dalla storiografia (a partire dallo storicismo) e passa dall'economia politica (dottrina del valore soggettiva o relativista), dalle scienze naturali (fisica quantistica), dalla linguistica (Saussure) e dalla filosofia (il "pensiero post-metafisico", la "svolta linguistica"), e sfocia nel generalizzato anti-essenzialismo, e relativismo, postmoderno.
Ma tutto questo non è solo apparenza. Proprio perché il sapere e la conoscenza sono sempre determinati da un contesto storico-sociale, condizionati come sono dalle forme sociali feticistiche che implicano dominio e relazioni di coazione (di altri contesti, a tutt'oggi, non siamo a conoscenza), si svolgono anche sempre sotto l'egida del pensiero apologetico. Laddove il sapere è di per sé sapere del dominio, le cose non possono avvenire diversamente. Nel sistema produttore di merci della modernità, questa apologetica assume la forma dell'ideologia. Perciò, non basta semplicemente affrontare il sapere e la conoscenza solo nella loro relatività (come fa in gran parte il pensiero postmoderno); innanzitutto, e per di più, tale condizionamento dev'essere sottoposto ad un'analisi critica dell'ideologia, analisi che deve essere posta in relazione col rispettivo processo storico-sociale reale. In ogni caso, è quello che si rende necessario quando la riflessione pretende di inserirsi nel contesto di una necessità emancipatrice e critica del dominio.
Ma, se si prende in considerazione questo piano di riflessione critica sull'ideologia, la conoscenza della relatività dev'essere esaminata nel suo potenziale ideologico ed apologetico. Il pensiero postmoderno cerca di mettersi fuori dalla portata di un tale punto di vista, insinuando, nei confronti della critica dell'ideologia in sé, il sospetto di "metafisica" e di "essenzialismo". Si assume che il punto di vista, o il calibro, della critica dell'ideologia sia sempre assoluto, totalitario, ontologico o metafisico. Così l'osservazione si volge in una direzione metafisica essa stessa, dal momento che paradossalmente è la relatività, né più né meno, ad essere elevata allo statuto di Assoluto. Quello che in tal modo viene estromesso, una volta che il piano di riferimento della relatività non viene chiarito, è il concetto di critica in senso stretto.
Nella realtà, però, la suddetta relatività può essere riferita soltanto al fatto che il sapere e la conoscenza sono legati ad un determinato luogo storico, non solo nel senso di una relatività immediata, ma nel senso di una formazione sociale globale e determinata; e lo sono, o affermativamente, in maniera positiva (positivista), oppure criticamente, in maniera negativa. La critica, pertanto viene assunta negativamente rispetto al suo luogo storico, poiché fa della formazione sociale che appartiene a tale luogo, e della corrispondente relazione di dominio, l'oggetto della sua negazione (cosa che del resto rimanda alla possibilità della trascendenza, in quanto movimento al di fuori dell'immanenza). Il che significa, tuttavia, che la critica può essere solo una critica determinata, ossia, una critica riferita a tale luogo storico, concepito come formazione sociale storica, che in tale dimensione contiene un momento di negazione assoluta, anche se solo relativamente a questo campo specifico: segnatamente, la sua radicalità si volge contro la costituzione della forma sociale dominante, senza che per questo smetta di essere relativa in riferimento ad un contesto più vasto, dal momento che è in grado di riflettere un tale contesto.
La negazione dev'essere assoluta relativamente al suo contenuto, il quale non è altro che la forma sociale essa stessa negativa e che pertanto dev'essere negata: la forma della riproduzione e del soggetto, forma distruttiva e feticista della quale non può restare niente se non l'esperienza traumatica ad essa associata che rimane impressa nella memoria dell'umanità. Rispetto a questa forma di feticcio oggetto di critica, la negazione dev'essere assoluta, in quanto in caso contrario non sarebbe negazione.
Il problema del pensiero postmoderno, e delle correnti di pensiero che risalgono al XIX secolo, a partire dalle quali esso stesso si compone e si costruisce, consiste proprio nel fatto che non è stato sviluppato un qualsivoglia criterio per distinguere i piani di riferimento della relatività nell'ambito della storia dell'umanità, così come della storia delle "culture" o delle formazioni sociali, da un lato e, dall'altro lato, come determinazione o situazione assoluta in uno spazio storico delimitato, esso stesso negativo, di una determinata formazione. In altre parole: non è stata stabilita una differenza essenziale tra costituzioni storicamente diverse della forma sociale, ed in tal modo non viene neanche costituita una qualsivoglia concezione specifica del moderno sistema produttore di merci e delle categorie della sua forma base. In questo senso stretto, le teorie postmoderne, così come quelle dei predecessori, in fondo non riflettono con precisione il proprio condizionamento storico-sociale, né la corrispondente relatività. Il lavoro (astratto), il valore, la merce, il denaro, il mercato, la concorrenza, lo Stato, la nazione, la politica, ecc. possono passare benissimo per "costrutti culturali", così come tutte le altre manifestazioni sociali "qualsiasi", ma non per questo si rivelano meno ontologici di quanto lo siano nell'ideologia borghese volgare, così come essa è stata ereditata anche dal marxismo del movimento operaio.
Quindi, il relativismo, irriflesso a riguardo, relativizza anche la differenza tra la relatività di un determinato luogo storico, da un lato, e la determinazione - ovvero l'Assoluto - all'interno di tale luogo, dall'altro lato; non si interessa alla differenza tra lo spazio storico totale dell'umanità - nel quale le varie costituzioni storico-sociali, e le rispettive forme di sapere e di conoscenza, si posizionano reciprocamente in maniera relativa - e lo spazio interno di una determinata formazione, in cui predomina un Assoluto interno, o quanto meno domina una pretesa reale che a questo corrisponde, vale a dire la rispettiva forma feticistica, la quale dev'essere spezzata.
Quest'imprecisione ha delle conseguenze per il concetto di critica, il quale in tal modo diventa esso stesso impreciso ed indeterminato. Le categorie di base della costituzione sociale spariscono dietro il movimento interno di questa. La critica viene fenomenologicamente ridotta, e si riferisce soltanto ad una determinata azione od omissione in seno alle categorie rese grigie. E' vero che queste categorie, nel pensiero postmoderno, nella maggior parte dei casi non vengono immediatamente affermate come positive; ma ciò si deve solo al fatto che non arrivano neppure ad essere elevate ad oggetti della riflessione. Laddove tutto viene trattato indistintamente come se fosse un "costrutto", smettono di esserci gradi di rigidità e dimensioni con profondità diverse; viene livellata la differenza fra spiegazioni apparenti di natura ideologica e l'apparenza reale della forma del feticcio. Rimane l'essenza o la sostanzialità categoriale della formazione storica della società su cui riflettere, quindi anche da criticare.
Avviene così un'inversione paradossale del rapporto fra il processo sociale reale e l'ideologia; per meglio dire, tale rapporto, in una certa misura, viene puramente e semplicemente nascosto, ed è proprio a partire da questo che il relativismo converte sé stesso in un'ideologia miserabile. La sostanza reale negativa della relazione di feticcio viene sottratta alla critica radicale, nella misura in cui la "sostanzialità" si presenta da principio come proveniente soltanto da una pretesa totalitaria del pensiero, o dell'immaginazione. In questo modo, la questione si trova ad essere con i piedi per aria: la critica radicale viene accusata di quello che dovrebbe essere imputato alla relazione sociale reale. Al posto della relazione reale soggiacente, è la critica dell'ideologia ad apparire come "totalitaria".
E' questo, quindi, il modo in cui la conoscenza della relatività si converte in ideologia apologetica. Per quanto riguarda il moderno sistema produttore di merci, il suo concetto di capitale si dissolve così in un sistema di "rapporti di forza" relazionali; in tal misura, nonostante tutta la critica postmoderna del soggetto, viene riprodotto il regresso all'illusione borghese della volontà, per quanto ridotta a mutazioni interne dei "costrutti" sociali rappresentati tutti sullo stesso piano. Questa relazionalità di già ideologica viene in seguito "eso-differenziata" e declinata nelle diverse aree di riproduzione e di vita. In questo modo, la critica continua nella particolarità dei fenomeni (dai rapporti di potere nella professione medica alla deportazione nei servizi per gli stranieri, dai "costrutti" del razzismo alla retorica politica dei vincoli oggettivi), senza però mai riuscire a pronunciarsi sul tutto della connessione della forma sociale, dal momento che questa non dispone di un qualsiasi concetto sostanziale.
Questa dissoluzione della "essenza" storico-sociale nella razionalità fenomenologica dei rapporti di potere e della loro rispettiva costruzione, o decostruzione, copre così, che piaccia o meno, la sostanzialità negativa non più denominabile delle categorie reali capitaliste. Gli è che questo può manifestarsi socialmente in un movimento emancipatore di trasformazione soltanto se la reale pretesa di validità assoluta della forma feticista dominante viene rotta proprio nel suo contenuto sostanziale. Per esempio, le diverse aree di esistenza e di attività hanno ciascuna la propria logica, la propria pretesa, il proprio senso, ecc., che non può essere compreso dalla pretesa validità assoluta di un unico principio totalitario; solo arrivando a costituire un tutto nella relatività del rispettivo contesto relazionale, tutto questo non viene ridotto ad una forma unica ed alla sostanza, ugualmente unica, della stessa forma - è questa la conoscenza che bisogna cominciare ad affermare, contro il violento sostanzialismo reale del moderno sistema produttore di merci in generale.
E' per tutto questo che non è nemmeno possibile arrivare ad una critica radicale senza il concetto di una sostanzialità negativa della relazione di valore o del capitale. D'altro canto, la pretesa dell'Assoluto di questa sostanzialità negativa entra anche in conflitto con la stessa costituzione fisica del mondo, manifestandosi sotto forma di un processo distruttivo annichilitore della vita; soprattutto, però, questa pretesa entra ugualmente in conflitto con la contraddittorietà interna della sostanzialità capitalista in quanto tale, e così si manifesta sotto forma di processo di crisi endemico di questa formazione storico-sociale. E' per questo motivo che senza il concetto di sostanzialità negativa non è possibile neanche sviluppare un'adeguata teoria della crisi. Il nascondere o l'ignorare la reale sostanzialità sociale negativa equivale, in gran parte, a nascondere o all'ignorare la crisi, nel suo contenuto significativo del limite interno assoluto del moderno sistema produttore di merci.
Il carattere ideologico ed apologetico di un pensiero relativista che non affronta questa problematica, consiste essenzialmente nel suo presumere l'esistenza della relatività e in una "apertura" in termini storico-sociali dove in realtà si pontifica un Assoluto ed una coesione sistemica dissimulati, postulando quindi un'emancipazione (sempre intesa solo parzialmente) totalmente indipendente da una critica della sostanza reale negativa e delle categorie della sua forma; per esempio, attraverso l'intermediazione del concetto ormai solo risibile di "democratizzazione". La sostanzialità negativa della relazione di capitale diventa grigia, viene nascosta, diventa invisibile e viene dissolta in una pseudo-relatività ideologica. E' proprio per questo che la riduzione e l'accorciamento fenomenologico della critica corrisponde ad un'uguale riduzione ed accorciamento della teoria della crisi. Questo relativismo ideologico, invece di essere emancipatorio non è altro che un camuffamento addizionale della soggettività borghese di tutte le classi, le quali non vogliono ammettere la loro obsolescenza storica.
Non è un caso che il marxismo tradizionale condivida ampiamente con il relativismo postmoderno, il rifiuto della teoria radicale della crisi. Gli è che, come è stato dimostrato da Moishe Postone, un certo modo di riduzione e di accorciamento ideologico e relativista è inerente anche alla teoria del marxismo del movimento operaio in tutte le sue varianti. Quello che nelle teorie postmoderne è un programma esplicito, nel marxismo si manifesta come una riduzione implicita; non c'è modo di distinguere fra un concetto globale storico che è assente nella logica della formazione della relazione del valore e del capitale, e gli stadi di aggregazione e sviluppo corrispondenti alla sua storia interna, cosicché il livello di astrazione dei concetti essenziali (che soltanto sul piano meta-storico sono relativi ai concetti essenziali delle altre formazioni) viene fondamentalmente perso: "Si è resa storicamente manifesta la totale insufficienza delle teorie del capitalismo moderno che confondono una configurazione storica specifica del capitalismo (il libero mercato o lo Stato disciplinare burocratico) con l'essenza della formazione sociale... Tutte queste critiche sono... incomplete. Come vediamo ora, il capitalismo non rientra in nessuna di queste configurazioni... Un'adeguata teoria critica del nostro tempo dev'essere fondata su una concezione non reificata delle relazioni che costituiscono l'essenza del capitalismo e su una concezione delle differenze tra tale essenza e le varie configurazioni storiche successive del capitalismo" (Moishe Postone, "Tempo, lavoro e dominio sociale"). In questa misura, il concetto di sostanzialità del capitale - assente nella logica della formazione - rappresenta il piano decisivo, cui né le teorie del marxismo tradizionale, né le teorie postmoderne possono accedere a causa del loro rispettivo relativismo falso e ideologico.
- Robert Kurz - pubblicato sulla rivista Exit!, 1/2004 – (1 di 10, continua …)
fonte: EXIT!
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