giovedì 17 dicembre 2015

Lo splendido soggetto proletario di volontà


La Sostanza del Capitale (9 di 10)

- Il lavoro astratto come metafisica sociale reale ed il limite interno assoluto della valorizzazione -

di Robert Kurz

Seconda parte: il fallimento delle teorie della crisi del marxismo dell'ontologia del lavoro e le barriere ideologiche contro la continuazione dello sviluppo della critica radicale del capitalismo.

Sintesi del testo nell'Editoriale di Exit! n° 2:Nella seconda parte del fondamentale studio iniziato sul n°1 di Exit!, "La Sostanza del Capitale", Robert Kurz si occupa della quantità di lavoro astratto in quanto fondamento della teoria della crisi. All'inizio quest'analisi, continuando lo sviluppo dei vari approcci dispersi all'opera marxiana, avrebbe dovuto sviluppare la sistematizzazione di una teoria positiva della crisi, basata sui concetti di plusvalore assoluto e relativo, composizione organica del capitale e relazione fra tasso di profitto e massa di plusvalore. Tuttavia, si è constatato che gli aspetti storico-teorici e critico-ideologici del problema della quantità e della crisi occupano di per sé uno spazio tale che la stessa presentazione della logica immanente della crisi poteva continuare soltanto sul n°3 di Exit! (la necessaria quarta parte cui questa situazione ha dato origine, affronterà il contesto del sistema creditizio / capitale fittizio / virtualismo postmoderno ecc.). In questo numero vengono minuziosamente trattati i temi del dibattito marxista storico sulla teoria della crisi, principalmente la controversia intorno alle teorie del collasso di Rosa Luxemburg e di Henryk Grossmann. E' dimostrato che il marxismo tradizionale, a causa della sua ontologia del lavoro, non è stato capace nel suo complesso di assorbire elementi decisivi della teoria della crisi di Marx. Così come la definizione trans storica dell'astrazione del lavoro non ha visto la qualità specifica di quest'ultima in quanto sostanza del capitale, doveva necessariamente fallire anche sulla questione centrale della problematica della crisi in quanto "desustanzializzazione", o svalorizzazione del valore. Il risultato è stato - soprattutto da parte del "marxismo occidentale" - una banale soggettivazione delle categorie politico economiche che è durata fino ad oggi. In generale, questo fallimento teorico circa la struttura-soggetto-oggetto della moderna relazione di feticcio costituisce la storia segreta dei dibattiti marxisti sulla crisi e sul collasso, che in tal modo deve svanire nell'illusione di un comando politico da parte delle insuperate categorie del feticismo. Completamente oscurato ed ideologicamente "abbandonato", rimane il problema della quantità di lavoro astratto nelle più recenti teorie, legate a Rubin, nella misura in cui esse vogliono squalificare come "fisiologico-naturalista" lo stesso concetto di sostanza di Marx. La controversia polemica a tal proposito, insieme alle teorie di Moishe Postone e, soprattutto, a quelle di Michael Heinrich, chiudono questa seconda parte dello studio.

* Soggetto ed oggetto nella teoria della crisi. La soluzione apparente del problema per mezzo di mere relazioni di volontà e di forza *

Se dovessimo tornare a rivedere tutto il dibattito storico, sarebbero due realtà a richiamare la nostra attenzione. Da una parte, la fobia rispetto all'idea di limite interno della valorizzazione del valore in realtà non si trova associata a situazioni sociali dell'economia e della politica, di crisi e di prosperità. La cosiddetta teoria del collasso è stata fin dall'inizio uno scandalo ed un estremo imbarazzo, sia durante i tempi indolenti di notabili marxisti dell'impero guglielmino che all'epoca delle catastrofi delle guerre mondiali e della crisi economica mondiale, e lo è stata maggiormente nell'epoca di prosperità del dopoguerra, ed infine lo è anche oggi, di nuovo, nella crisi mondiale della terza rivoluzione industriale. Lo scandalo è rimasto, indipendentemente dalle specifiche esperienze storiche, e così l'idea di un limite assoluto immanente non è mai diventata egemone nel discorso marxista mainstream, nemmeno nel bel mezzo delle maggiori catastrofi della storia mondiale.
Dall'altra parte, però, quel che è palese è la mancanza di profondità nella riflessione teorica intorno a tutto questo dibattito, la rapidità con la quale si passa sopra il concetto di dinamica capitalista e quanto poco si tenga in considerazione tutto l'armamentario concettuale che era già rappresentato da Marx. La critica non viene poi così tanto sviluppata in maniera immanente e fondata sulla cosa in sé - in particolare sulle contraddizioni interne della riproduzione capitalista nell'ambito di un processo storico dinamico - ma pretende piuttosto di passare a lato della cosa, per arrivare il prima possibile ad un'altra cosa del tutto differente. Il grande scandalo non sta nemmeno nell'imminente rottura con l'ontologia del lavoro marxista, che alla fine non avviene da nessuna parte, dal momento che anche le teorie del collasso della Luxemburg e di Grossmann non abbandonano mai questo terreno. In ogni caso, ci deve essere stato un vago presentimento riguardo a tale problema che, a fronte della perdita della sostanza, ha trasformato questo horror vacui del marxismo del lavoro in una motivazione inconfessata.
Però è un'altra cosa quella che diventa da subito pienamente evidente e che occupa un ampio spazio in tutto il dibattito: vale a dire quello che viene sentito come una minaccia ed un affronto, cioè che un collasso oggettivo della valorizzazione dovuto alle sue stesse contraddizioni interne avrebbe potuto, per così dire, rubare il ruolo al proletariato, alla meravigliosa classe operaia, gettandola nella disoccupazione, non solo nel senso della riproduzione immediata, ma anche come soggetto storico. E' questa la causa più profonda della fobia risguardo l'idea di collasso. Qui, essenzialmente, non si tratta più nemmeno di una questione di riflessione critica sull'economia, nel contesto della teoria marxista della crisi, ma piuttosto di una coerenza ideologica di base, che può essere compresa solamente facendo ricorso alla critica ideologica, e non alla teoria della crisi.
Infatti, già Otto Bauer, nel dibattito intorno alla teoria dell'accumulazione della Luxemburg, nominerà il soggetto proletario come una sorta di testimone principale a carico contro la logica del collasso: "Il capitalismo non crollerà a causa dell'impossibilità meccanica di realizzare il plusvalore. Soccomberà di fronte all'indignazione che esso infonde nelle masse popolari. Il capitalismo si sgretolererà, non appena l'ultimo agricoltore o l'ultimo piccolo-borghese in tutto il mondo verranno trasformati in lavoratori salariati e, perciò, non rimarrà più a disposizione del capitalismo alcun mercato da aprire; verrà abbattuto molto prima dalla crescente indignazione della classe operaia che si trova in crescita costante e che è formata, unificata ed organizzata dal meccanismo del processo di produzione capitalista stesso" (Bauer 1913).

L'argomento del soggetto proletario della volontà come deus ex machina deciderà il dibattito sulla teoria della crisi, la quale, acutizzata in teoria del collasso, viene denunciata come "oggettivista e determinista". Ora, il fatto che tale recriminazione sia diretta proprio contro Rosa Luxemburg, la quale nel frattempo era emersa come teorica della spontaneità proletaria, dello sciopero di massa e dell'attivismo rivoluzionario contro la legge dell'inerzia riformista della socialdemocrazia, finisce per costituire una vero e proprio scherzo di cattivo gusto.
Rosa Luxemburg non tarda a rispondere ad Otto Bauer, rinfacciandogli il suo opportunismo al momento della catastrofe della guerra mondiale. Proprio un simile teorico della più infame affermazione del dominio capitalista doveva mobilitare il "soggetto di classe rivoluzionario"! Eppure sta proprio qui il problema da risolvere della relazione-soggetto-oggetto nella società borghese moderna.
Rosa Luxemburg argomenta prima in maniera più difensiva, come quando nella sua Anticritica si riferisce a questo problema: "Lo schema dell'accumulazione di Marx - se compreso correttamente - proprio nella sua irrisolvibilità, è l'esatta prognosi della rovina, economicamente inevitabile, del capitalismo come risultato del processo di espansione imperialista... Diverrà mai realtà questo momento? Ma tutto questo non è solo una finzione teorica, proprio perché l'accumulazione del capitale è un processo non solo economico, ma politico... Qui, come in altri momenti della storia, la teoria svolge il suo servizio completo nel mostrarci la tendenza dello sviluppo, il punto logico finale che indica oggettivamente. Questo non può essere raggiunto come lo è stato in qualche periodo precedente della storia dove lo sviluppo sociale poteva avvenire fino alle ultime conseguenze. Tanto meno c'è la necessità di raggiungerlo, quanto più la coscienza collettiva, questa volta incarnata nel proletariato socialista, interviene come fattore attivo nel gioco cieco delle forze. E la concezione corretta della teoria di Marx offre a questa coscienza, anche in questo caso, le proposte più fertili e l'incentivo più vigoroso" (Rosa Luxemburg, 1914).
Naturalmente il problema non viene risolto da queste osservazioni. La tendenza al collasso non avrebbe potuto anticipare il proletariato e sostituirsi ad esso, prima che questi riuscisse a mettere in pratica il suo "intervento attivo"? Dall'altro lato: il proletariato può intervenire solo perché ha alle spalle questa tendenza oggettiva? Non potrebbe arrivare all'emancipazione sociale in maniera del tutto indipendente da una simile tendenza? La relazione fra soggetto e oggetto rimane da essere chiarita; si rende solo evidente che tale relazione deve esistere e che, proprio nella sua indefinizione, può essere strumentalizzata contro la teoria del collasso. Tutto questo ha anche qualcosa a che vedere con la frequentemente citata debilitazione dell'autocoscienza umana da parte delle grandi teorie scientifiche e sociali della modernità. Se da un lato l'illuminismo incorona il soggetto autonomo come demiurgo di sé stesso, la riflessione critica, dall'altro lato, gli infligge una caduta ancora più dolorosa. Com'è noto, già Copernico aveva bandito l'essere umano dal centro dell'universo; Freud gli ha negato la piena coscienza critica di sé stesso; e in Marx il feticismo del sistema produttore di merci la fa finita anche con la soggettività politico-economica come ultimo fondamento dello sviluppo socio-economico. Queste osservazioni sono diventate da tempo i topos dei discorsi della teoria sociale. Com'è generalmente noto, lo strutturalismo e la teoria dei sistemi hanno proseguito affermativamente su questa strada dove il soggetto è soltanto un'ombra di sé stesso, o è il mero "ambiente" di un contesto sistemico autoreferenziale.
Se scendiamo su questo piano, che non ha ancora avuto l'opportunità di giocare un qualche ruolo nei dibattiti marxisti sulla teoria del collasso, il problema appare improvvisamente diminuire un po', in termini di dimensioni. Data la sua concezione speciale di "azione del soggetto", un collasso, un cataclisma della società, non faceva affatto comodo alla socialdemocrazia. Dal momento che la sua idea era quella che il crescente grado di organizzazione sociale del capitale avrebbe dovuto essere solo trasferito nelle mani dello Stato, e poi da questo nelle mani del proletariato (come avviene, ad esempio, in Hilferding), arrivando così in tutta calma, e per la via dell'azione parlamentare, al socialismo. In tal senso il desiderio riformista si nascondeva dietro l'angolo come padre del pensiero, ad esempio quando Gustav Eckstein, nella sua polemica contro Rosa Luxemburg, constatava quasi con sollievo: "Insieme ai presupposti teorici cadono anche le conseguenze pratiche, innanzitutto la teoria della catastrofe che la compagna Luxemburg aveva edificato sulla sua dottrina della necessità dell'esistenza dei consumatori non capitalisti". Tanto più acuta si rivelò la reazione di Rosa Luxemburg nella sua Anticritica, redatta subito dopo l'irrompere della vera catastrofe della guerra mondiale; ora lei si riferiva alla "catastrofe come forma di esistenza [Daseinsform]" del capitalismo imperialista.
Ma il dibattito non era riassumibile in alcun modo nell'opposizione fra la teoria "riformista" e quella "rivoluzionaria" dell'agire soggettivo. Anche le posizioni comuniste e le altre posizioni rivoluzionarie attivistiche, che in fondo non avevano bisogno di aver così paura di un cataclisma, attaccarono la teoria del collasso con veemenza ancora maggiore, a causa del suo "oggettivismo" e "determinismo". Bucharin, ad esempio, accusava Rosa Luxemburg di "deterministo economico", quando egli stesso sembrava cadervi due pagine dopo, quando finiva per parlare dell'instabilità e di crisi cicliche e della loro "risoluzione condizionata": "La loro ampiezza ed intensità crescente portano inevitabilmente al collasso del dominio capitalista" (corsivo di Bucharin).
L'idea della "inevitabilità" è evidentemente essa stessa determinista, ma paradossalmente lo è in una maniera per cui è affermata in senso puramente soggettivo, quando Bucharin alla fine districa il modo in cui intende l'opposizione al "determinismo economico": "Oggi ci troviamo già nella posizione di non poterci più permettere di valutare il processo del collasso capitalista solo sulla base di costruzioni astratte e di prospettive teoriche. Il collasso del capitalismo è già cominciato. La rivoluzione di Ottobre è l'espressione più viva e convincente di questo. La rivoluzionarizzazione del proletariato ha, senza dubbio, a che vedere con la rovina economica, questa con la guerra, la guerra con la lotta per i mercati come sbocco per il flusso di produzione, mercati di materie prime, sfere di investimento dei capitali, in breve, con la politica imperialista nel suo insieme" (corsivo di Bucharin).
Qui, è evidente che Bucharin mette a testa in giù l'insieme dei problemi. Il limite interno oggettivo della valorizzazione del valore sulla base delle sue proprie contraddizioni si converte in qualcos'altro, puramente soggettivo e politico, nel limite di una mera relazione di volontà. La crisi proviene dalla sfera politica, da dove provengono anche l'emancipazione o la rivoluzione, nel mentre che la cosiddetta economia, che in realtà costituisce la base logica della valorizzazione del valore, che abbraccia tutte le sfere ufficiali, si riduce ad un gradevole rumore di fondo, e tutto sommato abbastanza irrilevante per il corso degli eventi. In questo contesto, il concetto di collasso è una confezione ingannevole. Gli è che un collasso è nella sua essenza qualcosa di oggettivo, che viene sofferto in forma passiva, condizionato da leggi naturali o sistemiche, e non un atto di volontà o una relazione di volontà. Un collasso avviene quando una persona soffre di un grave disturbo circolatorio o di un infarto, quando un ponte si sbriciola per eccesso di peso, quando un motore grippa, una stella si contrae in un buco nero, o una connessione sistemica (ad esempio, un programma di computer) diventa instabile e "crasha", ecc.. Il termine diventa inadeguato quando si tratta di atti di volontà in un conflitto cosciente. Ma cosa ancora più importante è che Bucharin, nel suo travisamento, finisce per compiere una capriola, facendo una rivelazione involontaria. Sebbene soggettivizzi l'oggettività del collasso e la riduca alla politica, allo stesso tempo, ed inversamente, oggettivizza questo stesso soggetto, dichiarandone la sua attuazione "inevitabile" e di conseguenza determinata. Arrivati a questo punto ci troviamo nuovamente davanti la non risolta problematica-soggetto-oggetto della modernità.
E questo problema va ripetendosi e si trascina per tutto il dibattito intorno alla crisi o al collasso. Così, qualche anno più tardi, riappare anche nelle tirate di Eugen Varga contro Grossmann. Anche Varga tira fuori dalla formaldeide il soggetto (soggetto di classe) come deus ex machina. "Egli (Grossmann) separa l'economia dalla lotta di classe; perciò, il suo 'collasso' non è il rovesciamento dell'ordine sociale capitalista, ma è piuttosto una fantasia puramente economica..."(corsivo di Varga). E, come in Bucharin, la "volontà determinata" finisce per condensarsi nel potere sovietico, che rende superflua qualsiasi teoria della crisi nel senso di meccanismi sistemici ciechi. "Chi, nell'anno 1929, ha il coraggio di pubblicare un libro di seicento pagine sul collasso del capitalismo già avvenuto in Russia, per quante citazioni di Marx accumuli, per quanto dotte siano le sue considerazioni sul metodo del marxismo - chi fa tutto questo non ha capito l'ABC del metodo di investigazione marxista!... Il motivo per cui viene taciuta in maniera così ostinata la caduta del capitalismo in Russia è dovuto al fatto che è perfettamente evidente che quelle cause, che secondo Grossmann dovrebbero essere responsabili del rovesciamento del capitalismo, non hanno avuto la minima importanza nel rovesciamento del capitalismo realmente avvenuto in Russia. Infatti sarebbe ridicolo affermare che il capitalismo in Russia - il quale, com'è noto, era un paese assai povero di capitale, che continuava ad importare grandi quantità di capitale straniero - abbia subito un tracollo a causa di un'accumulazione eccessiva di capitale!... Per noi, militanti comunisti, è un grande sollievo sapere che il rovesciamento reale del capitalismo non è vincolato al meccanismo causale proclamato con così tanto clamore dal signor Grossmann...". E così Varga, sollevato, mentre mancano tre anni scarsi alla presa del potere da parte dei nazionalsocialisti, gioisce dinanzi all'aspettativa del "tracollo del capitalismo" su scala planetaria... "molto prima che sia possibile il verificarsi in tutto il mondo di una 'accumulazione eccessiva' di capitale" (ivi).
Dal punto di vista dell'oggi, è più che ovvio il grandioso errore di tutta questa argomentazione: quel che Varga vorrebbe intendere come "tracollo del capitalismo" in Russia, similmente alla maggioranza dei suoi contemporanei, era in realtà una "modernizzazione ritardata", un'implementazione socio-storica in termini capitalistici del sistema del lavoro astratto sotto la direzione del comunismo di Stato in una zona sottosviluppata della periferia del mercato mondiale; ossia, un regime storicamente non simultaneo di accumulazione primitiva entrato esso stesso in collasso settant'anni più tardi, nelle condizioni della terza rivoluzione industriale. Ma l'argomentazione di Varga non solo è assolutamente inconseguente in termini storici ed economico-politici, nel senso del limite della socializzazione capitalista sulla base del lavoro astratto e della rispettiva forma del valore. Allo stesso tempo - così come nel caso di Bucharin - getta involontariamente una luce cruda sulla struttura-soggetto-oggetto della modernità legata al problema della crisi e del collasso, che viene sempre risolta in maniera paradossale nella soggettività del politico - e che, per questo stesso motivo, provoca accessi di rabbia contro il "determinismo politico" delle teorie del collasso.
Non stupisce che, così come sono quasi identiche le argomentazioni del socialdemocratico Otto Bauer e quelle del comunista Nicolai Bucharin contro il "determinismo economico" di Rosa Luxemburg, la stessa cosa si applichi anche alle corrispondenti argomentazioni del comunista Eugen Varga e del socialdemocratico Alfred Braunthal contro Henryk Grossmann, sebbene Braunthal qui tenti di regolare i conti anche con i comunisti: "Tuttavia, i comunisti e i seguaci della teoria del collasso non sono solo alieni o perfino contrari alla realtà, per il fatto che le loro teorie non solo non nascono dalla viva realtà, ma trascurano anche i dati della realtà, nella misura in cui chiudono gli occhi davanti alle forze trasformatrici della società, che oggi operano già di fatto. Se prendiamo in considerazione tali forze e percepiamo l'importanza delle crescenti tendenze organizzative dell'economia, della crescente influenza degli operai e della pressione crescente da questi esercitata nel senso della democratizzazione dell'economia, nel quadro della trasformazione della società da capitalista a socialista, diventa evidente che la classe operaia non deve aspettare con cupa rassegnazione un lontano futuro, nel quale, dopo un orrendo periodo di transizione riempito di penuria e miseria, le tendenze del collasso del capitalismo si impongono in maniera automatica, ma tale conoscenza incita la classe operaia a mobilitare tutte le sue forze per imporre, non il collasso del capitalismo, ma piuttosto la sua trasformazione in un sistema di società socialista" (Braunthal).
Non si può fare a meno di sentire un brivido a fronte di una simile ingenuità, nell'immediata vigilia della crisi economica mondiale, della barbarie nazionalsocialista e della susseguente seconda guerra mondiale. Tuttavia, allo stesso tempo diventa chiaro anche quanto sia piccola la differenza fra la riforma e la rivoluzione nel rifiuto della teoria del collasso per quel che riguarda il problema del soggetto. In fondo tutto si riduce alla non simultaneità storica, alla differenza con cui si risponde alla stessa domanda, una volta nelle condizioni di un capitalismo occidentale già sviluppato, e l'altra in quelle di una società periferica di "modernizzazione ritardata" ancora non sviluppata in termini capitalisti. Se sia la classe operaia (occidentale) a dover esercitare una "pressione crescente nel senso di una democratizzazione dell'economia", oppure se dev'essere la rivoluzione proletaria a produrre il presunto "collasso del capitalismo" sotto forma di una dittatura comunista statale del lavoro astratto: la struttura-soggetto-oggetto, e la sua apparente soluzione nel senso della soggettività politica e contro il "determinismo economico", è la stessa.
Forse, diventa più chiaro che qui si nasconde un problema che rimane da risolvere, e che non ha soluzione nell'ambito della socializzazione del valore, se consideriamo anche la posizione dei comunisti di sinistra o dei consigli, i quali, rispetto ai socialdemocratici ed ai comunisti di partito, si limitavano ad acuire e a radicalizzare questa apparente soluzione nelle relazioni di volontà soggettiva. Nella sua polemica contro Grossmann, Pannekoek si esaspera: "Per lui, il capitalismo è un sistema meccanico, nel quale gli esseri umani intervengono in quanto individui dell'economia, capitalisti, acquirenti, venditori, salariati, ecc., ma che per il resto devono soffrire in maniera passiva quello che il meccanismo impone loro in forza della sua struttura interna... (Il) meccanismo determina le dimensioni economiche, mentre gli esseri umani che agiscono e lottano si trovano fuori da questa connessione".
Ci troviamo di fronte ad un ritornello che dovrebbe esserci familiare; in quanto fino ad oggi è stato regolarmente cantato nei dibattiti della sinistra radicale. Pannekoek astrae completamente dalla forma sociale della coscienza e perfino della volontà. Vuole attribuire alle "persone che lottano ed agiscono", indipendentemente dalla tematizzazione critica di questa forma (la forma del valore) e della sua sostanza (il lavoro), un potenziale trascendente di volontà, ossia, vuole atttribuire, in un accesso di falsa immediatezza, all'esser-così [Sosein] dei soggetti costituiti in maniera capitalista - così come sono e come agiscono - qualcosa che questi possono ottenere solo attraverso la mediazione di una critica radicale di questa forma. Tutto il "lottare ed agire" rimane sotto l'egida di una falsa oggettività, in quanto non passa dalla critica della forma e della sostanza del lavoro astratto. E se questo non avviene, le persone soffriranno proprio a causa del loro "lottare ed agire" esattamente "quello che il meccanismo impone loro in forza della sua struttura interna" - proprio perché non si trovano "fuori da questa connessione".
Questa connessione rimane (non solo) per Pannokoek un'idra-dalle-sette-teste, e così egli le assegna - contrariamente a quello che pretende di pensare, come fa anche Bucharin - l'oggettività del soggetto e la determinazione della propria volontà: "Il collasso del capitalismo, in Marx, dipende di fatto dalla volontà della classe operaia; ma tale volontà non è arbitraria, non è libera, ma è essa stessa totalmente determinata (!) dallo sviluppo economico. Le contraddizioni dell'economia capitalista... determinano la volontà del proletariato sempre di nuovo nel senso della rivoluzione. Il socialismo non arriva perché il capitalismo entra in collasso economico e di conseguenza gli esseri umani, operai ed altri, costretti dalla necessità, creeranno una nuova organizzazione. Al contrario, il capitalismo crolla perché, così come vive e prospera, diventa sempre più insopportabile per gli operai, istigandoli alla lotta, sempre di nuovo, fino a far crescere in loro la volontà e la forza per rovesciare il dominio del capitale ed edificare una nuova organizzazione".
Pannekoek non si accorge nemmeno che è del tutto indifferente se la volontà della classe operaia "totalmente determinata dalla sviluppo economico" porti soggettivamente il capitalismo al "collasso", oppure se il capitalismo crolli per motivi ad esso intrinsechi e quindi "obblighi" la classe operaia in maniera oggettiva a "creare una nuova organizzazione". Senza volere, egli illustra chiaramente l'intercambiabilità di soggetto e dell'oggetto nella struttura feticistica della riproduzione - cosa che finisce perfino per essere innalzata agli onori della metafisica della storia: "Per Marx, ogni necessità sociale si impone per mezzo degli esseri umani (!); ciò significa che il pensare, il volere e l'agire umani, sebbene appaiano discrezionali rispetto alla propria coscienza - sono totalmente (!) determinati dagli effetti dell'ambiente; ed è solo a partire dalla totalità di queste azioni umane, determinate nella loro essenza dalle forze sociali, che si impone una regolarità nello sviluppo sociale... L'accumulazione del capitale, le crisi, la miseria crescente, la rivoluzione proletaria, l'appropriazione del dominio da parte della classe operaia, costituiscono tutte insieme un'unità indissolubile che attua come legge naturale (!), il collasso del capitalismo".
E' veramente grottesco: la determinazione soggettiva si presenta immediatamente come oggettiva, senza che venga riflesso il contesto della mediazione; così, la volontà emancipatoria appare essa stessa come parte integrante proprio della medesima pseudo-"legge naturale", la quale a ben vedere costituisce lo scandalo della falsa oggettivizzazione. Quella che qui si manifesta è una concettualità assai rudimentale della relazione di capitale stessa, che manca dei momenti decisivi della critica della forma del feticcio e della sostanza del lavoro. Trasmette tristezza lo strutturalismo di un Althusser, per cui anche la rivoluzione sarà un "processo senza soggetto" - eppure Pannekoek si situa apparentemente all'altro estremo della scala-soggetto-oggetto del radicalismo marxista di sinistra. Il prezzo perché la classe operaia si mantenga come soggetto storico e non lasci i suoi allori nelle mani del "determinismo economico" del collasso oggettivo, consiste nel fatto che "la classe", essa stessa, possa agire soltanto come esecutrice delle presunte "leggi naturali" della società - il che costituisce un segnale inequivocabile per cui questa costruzione, in realtà, rimane prigioniera del cerchio delle categorie capitalistiche, e che quest'idea di una "rivoluzione proletaria" non è altro che un'ideologia dello sviluppo del lavoro astratto, e rappresenta un prolungamento del sistema di valorizzazione, nel quale il "lavoro senza capitale" possa tornare ad essere una semplice relazione del capitale.
Ovviamente, lo stesso Grossmann non è estraneo alla metacritica ideologica della sua opera, basata sul problema del soggetto, al di là delle definizioni immanenti della teoria della crisi. Quando era in esilio negli Stati Uniti, più di dieci anni dopo che era interrotto il dibattito, aveva tentato indirettamente di difendersi dall'accusa di "determinismo economico", asserendo, similmente a Rosa Luxemburg, che la tendenza oggettiva al collasso non rendeva superfluo in alcun modo l'agire emancipatorio soggettivo. Secondo Grossmann, un "momento della teoria generale di Marx" consisteva essenzialmente "nella dottrina secondo la quale nessun sistema economico, per quanto tormentato sia, entra in collasso di sua propria iniziativa; dev'essere 'rovesciato'. L'analisi teorica delle tendenze oggettive dello sviluppo che portano al collasso del sistema serve a scoprire gli 'anelli deboli', da utilizzare come una sorta di barometro, che indichi quando il sistema diventa maturo per un cambiamento fondamentale. Ed anche che quando un tale punto viene raggiunto, la rivoluzione viene effettuata dall'agire attivo dei fattori soggettivi... E' grazie a tale agire che le tendenze oggettive possono essere realizzate" (Grossmann, 1943).
Quindi, Grossmann arriva ora allo stesso punto cui è arrivato Pannekoek; l'oggettività (negativa, falsa) viene soggettivata, mentre, inversamente, l'agire soggettivo viene oggettivizzato ("realizzazione delle tendenze oggettive"), e lo stesso soggetto è ormai soltanto un "fattore", la confusione è totale. E' ovvio che Grossmann non sia mai stato studiato attentamente a questo meta-livello, dove ora, a posteriori, si apre alla comprensione, dopo che da tempo è diventato chiaro che il suo sforzo di analisi sul piano delle categorie del valore, e della teoria delle crisi ad esse legate, non poteva arrivare da nessuna parte.
Mancava solo da fare un piccolo passo per ridurre questo vero e proprio dilemma alla pura soggettività delle relazioni di volontà e dichiarare le categorie della critica dell'economia politica di Marx completamente irrilevanti nella pratica. La relazione di capitale, come relazione esterna di volontà, allora non è niente di più che "volontà contro volontà" (espressa ancora nuovamente in forma oggettivata come "classe contro classe", visto che, com'è noto, la categoria classe è da parte sua costituita sistemicamente, ed in questo modo fa parte dell'oggettività). Per essere più esatti: l'oggettività incompresa della categoria classe viene ridotta ad una semplice questione di volontà, di modo che l'oggettività del feticcio capitalista si risolve apparentemente in un semplice "rapporto di forza" di determinazioni di volontà in conflitto.
E' stato Karl Korsch che, nella discussione sulla meta-problematica della relazione-soggetto-oggetto nell'ambito del dibattitto sulla crisi e sul collasso, ha contribuito a preparare questa svolta. Per lui, qualsiasi teoria del collasso rappresenta un "deformazione oggettivista": "Una simile teoria non mi sembra appropriata per produrre quella piena serietà dell'agire auto-responsabile della classe operaia che lotta per i suoi propri obiettivi, necessaria tanto alla guerra di classe degli operai quanto a qualsiasi altra guerra comune" (Korsch, citato da Marramao, 1977). Come constata Marramao, Korsch arriva al punto di valutare "la rappresentazione dialettica del Marx maturo come una mera allegoria destinata ad eccitare la volontà di lotta e lo spirito rivoluzionario del proletariato" (ivi).
Giacomo Marramao, che si è occupato del problema nel contesto del marxismo della nuova sinistra degli anni settanta, designa a ragione quest'opinione di Korsch come "riduzione pragmatica del momento dialettico-morfologico della critica dell'economia politica" (ivi). Come conseguenza di quest'ultima opinione, le categorie del lavoro astratto, valore, merce, prezzo, plusvalore, composizione organica, caduta tendenziale del saggio di profitto, ecc., ossia, i punti di riferimento teorici della riproduzione capitalistica così come della sua crisi, devono ridursi a mere "allegorie" delle determinazioni di volontà delle "classi", pensate come soggetti di volontà senza presupposti. Il piano della costituzione del feticcio e del "soggetto automatico" - che in ogni caso non è mai stato compreso - viene ora abolito per sempre, le oggettivazioni reali si convertono in meri rivestimenti delle relazioni di volontà puramente soggettive.
E' vero che Korsch si pronuncia anche contro un mero soggettivismo dell'azione diretta non mediata ecc., ma ciò si riferisce unicamente ai piani della mediazione nell'ambito delle presunte pure relazioni di volontà, e non all'oggettività negativa della relazione di feticcio e della crisi come limite oggettivo: "Questa posizione dichiara che tutta la questione della necessità o dell'evitabilità oggettiva delle crisi capitalista è una questione che non ha senso, in una tale generalità, nell'ambito di una teoria della rivoluzione pratica del proletariato... Innanzitutto essa crede che, attraverso un'investigazione empirica sempre più esatta e dettagliata del presente modo di produzione capitalista e delle sue chiare tendenze di sviluppo futuro, possano anche essere fatti certi pronostici che, seppure molto limitati, arrivano sempre alla necessità dell'azione pratica" (Korsch).
Qui appaiono le conseguenze di questo "riduzionismo pragmatico" delle categorie capitalistiche di forma e sostanza: il movimento storico non si presenta più come movimento di queste stesse categorie, che sarebbe possibile estendere solo sulla base della corrispondente teoria, ma si manifesta solamente nella riduzione a relazioni di volontà, ossia, ridotto al "piano empirico" ed alla sua "investigazione", dal momento che questo empirismo viene concepito in modo immediato come riferito ai rapporti di forza fra determinazioni di volontà antagoniste.
Nasce qui la famigerata analisi di classe: si mette fine a qualsiasi indagine ed a qualsiasi dibattito sul movimento categoriale e sul suo nesso interno, finisce il dibattito sulle teorie della crisi e del collasso, sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, sul problema della realizzazione e così via - vengono tutte retrocesse a "questioni che in questa generalità non hanno senso". Al loro posto rimane soltanto l'analisi empirica nel senso delle strutture di classe e delle loro alterazioni, che in questo modo includono anche le alterazioni nelle relazioni di volontà. Vale a dire, proprio quello che l'operaismo, con i suoi teoremi di ricomposizione della classe operaia, aveva scritto nella sua agenda come programma riduzionista di investigazione permanente.
Com'è ovvio, con questo tipo di espediente non si riesce a sfuggire alla relazione-soggetto-oggetto della costituzione del feticcio moderno. Si estende soltanto il dilemma che era già apparso in Pannekoek e che si radica nella comprensione ridotta del movimento operaio in generale: quanto più è soggettivo, tanto più è oggettivo; quanto più la relazione di feticcio viene concepita come una pura relazione di volontà di soggetti di volontà pensati senza presupposti ("classi"), i cui presupposti reali rimangono nell'ombra, tanto più l'oggettività falsa, negativa, finisce per rientrare per la porta di servizio, ed i teorici dell'immediatezza, che non riflettono più nemmeno sui propri presupposti, si vedono costretti a cosificare completamente la struttura e la coscienza del loro splendido "soggetto proletario di volontà" e ad "investigarlo" come se fosse un oggetto naturale oggettivo, cosa che evidentemente smentisce in maniera imbarazzante la loro enfasi riguardo allo "agire auto-responsabile della classe proletaria in una lotta per i suoi propri obiettivi".
Allo stesso modo in cui la storia segreta del dibattito del marxismo tradizionale sulla crisi e sul collasso ha consistito, al di là del piano ridotto dell'economia politica, nella sgradevole tematizzazione di questa poco chiarita struttura-soggetto-oggetto della socializzazione moderna del valore, così il programma segreto della sua soluzione ha consistito nella riduzione delle categorie oggettivate del capitale a pure relazioni di volontà, che in seguito potevano essere osservate ed indagate sotto aspetti diversi. La storia del dopoguerra della nuova sinistra è stata, tutta quanta, permeata da tale paradigma. Questa soluzione del dibattito sul collasso venne semplicemente adottata, in maniera del tutto irriflessa e senza che fosse soggetta alla minima analisi critica; ed è stato proprio per questo che non solo il concetto di collasso, come parola non grata, si è trasformato in un mero fantasma, ma anche la strada verso un ulteriore sviluppo della critica dell'ontologia del lavoro è rimasta ostruita, ed i concetti abbastanza tematizzati di reificazione e di alienazione non sono andati al di là di una superficiale formulazione socio-filosofica.
Il piano della costituzione sociale, il problema della costituzione del feticcio e del "soggetto automatico", doveva così continuare a non essere elaborato, e perfino espressamente rifiutato. Nonostante le apparenze esteriori, una simile tendenza non è stata contrastata nemmeno dalla corrente del dibattito sullo strutturalismo di Althusser. Althusser ha fatto rimanere il "soggetto proletario" in uno stato perfettamente irriflesso, ma spogliato della sua enfasi e ridotto ad un "esecutore" di processi strutturali. Tuttavia, come si è già detto, anche Pannekoek era arrivato a quel punto, che in fondo è stato anche il presupposto implicito o esplicito di ogni "materialismo storico". Il polo opposto operaista ha solo costituito il rovescio della stessa medaglia. Non è un caso che sia Luis Althusser che Toni Negri abbiano respinto espressamente tanto il concetto di feticcio quanto ogni argomentazione di Marx edificata su tale concetto. In questo modo, unitamente al problema del limite interno oggettivo della valorizzazione, anche la forma sociale del soggetto e la sua sostanza (del lavoro) sono state definitivamente cancellate come possibili oggetti della riflessione e della critica radicale.

- Robert Kurz - pubblicato sulla rivista Exit!, 1/2004 – (9 di 10 – continua…) -

fonte: EXIT!

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