domenica 27 dicembre 2015

EXIT! 2016

exit

La necessità di un intervento
- Lettera aperta alle persone interessate ad "Exit" nel passaggio dal 2015 al 2016 -
di Herbert Böttcher, per la Redazione e la Direzione

Crisi dei rifugiati - è questa l'espressione, usata nei dibattiti politici e mediatici a partire dalla seconda metà di quest'anno, per riferirsi a tutti i drammi che stanno dietro le persone che cercano rifugio in Europa. Il fatto che non vi sia alcuna crisi dei rifugiati, ma semmai una crisi del capitalismo che si esprime nelle persono costrette a fuggire, viene ignorato deliberatamente, o per meglio dire, compulsivamente. E' l'impressione immediata suscitata dalle immagini - falsa immediatezza - a determinare la percezione.
Le immagini delle condizioni caotiche, alle frontiere esterne dell'Europa e nei paesi di primo contatto, hanno toccato i cuori ed hanno suscitato simpatia. Il culmine è stato raggiunto con la foto in cui si vede un agente di polizia che solleva dal mare il corpo senza vita di un bambino di tre anni, Aylan Kurdi. Il quotidiano Bild (il 3 settembre 2015) ha pubblicato quella fotografia, listandola di nero, a tutta pagina, e con il testo: "Immagini come questa sono diventate vergognosamente quotidiane. Sono insopportabili, ma vogliamo e dobbiamo mostrarle perché documentano il fallimento storico della nostra civiltà nella questione dei rifugiati." Il problema non sono i rifugiati, ma il fatto che "noi" non sopportiamo le immagini, né il "fallimento storico della nostra cività" che esse documentano. Da qui nasce la necessità di un intervento.
In Germania qualcosa è stato fatto: cultura di accoglienza è stata la parola magica. Nelle stazioni ferroviarie e nelle feste di accoglienza, questa nuova cultura del benvenuto è stata inscenata a mo' di evento festivo. Ne sono nate immagini contro la vergogna e contro il fallimento, contro-immagini contro le immagini che "noi" non possiamo più "sopportare". E' stata inscenata una Germania cosmopolita che si dà da fare e soccorre. La "rivolta delle persone decenti" [*A] potrebbe diventare il "partito delle persone decenti", gli "interventi umanitari" militari potrebbero essere legioni di aiutanti professionali e volontari. Quelli che devono farlo sono essenzialmente persone che devono essere in grado di svolgere il loro lavoro quotidiano, spesso oltre i limiti della capacità di resistenza fisica e psichica, in istituzioni sociali con posti di lavoro mal pagati. Essi costituiscono lo sfondo di una Germania aperta ed umanitaria, che ora si contrappone all'orribile Germania dei predicatori di stupido odio islamofobico e a quelle cosiddette classi medie che danno loro ascolto.
Nell'euforia dello stato d'animo festivo della nuova "Germania dell'accoglienza", si è finito per dimenticare temporaneamente qualcosa. Ci si è dimenticato delle accuse, delle diffamazioni di stampo razzista, degli allarmismi e degli attacchi nel cui quadro, all'inizio del decennio 1990, venne imposto il cosiddetto compromesso di asilo [*B]. I rifugiati erano tutto tranne che benvenuti, al contrario venivano sospettati di ogni reato che fosse adatto a riempire di paura e terrore le classi medie decenti: dall'oziosità parassita, passando per l'abuso sociale, fino alla criminalità [*1]. Il quotidiano Bild - a quei tempi senza un cuore che batteva per i rifugiati - parlava della Germania come di un "paese-contenitore" ed alimentava i timori: "Quasi un nuovo richiedente asilo al minuto. L'alluvione sta salendo - quando affonderàò la barca?" [*2]
Ci si è dimenticato anche della chiusura sistematica delle frontiere dell'Unione Europea - attuata, fra l'altro, con l'infame filo spinato della Nato, in cui i rifugiati finiscono impigliati e spariscono nel sangue - così come delle guerre e dei processi di distruzione che privano sistematicamente le persone dei mezzi di sussistenza. Già Nietzsche, innalzato a profeta della postmodernità - aveva elogiato l'oblio come condizione per la felicità, associandolo al godimento del momento. [*3]

La felicità del clima di festa, tuttavia, ha vita breve. Anche nel bel mezzo della frenesia del benvenuto, la crisi del capitalismo torna ad annunciarsi con i suoi aspetti orribili: proprio nel fine settimana del 13 settembre, in cui le squadre di calcio del campionato tedesco - con l'eccezione di qualche oppositore - sono scese in campo con sulla maglia un logotipo di benvenuto, su iniziativa del quotidiano Bild, il governo federale ha chiuso la frontiere con l'Austria. I politici richiedono sanzioni contro i paesi riluttanti che si rifiutano di ricevere i rifugiati deportati dalla Germania. Nei giorni susseguenti è stata di nuovo scoperta l'incontrollabilità dell'euforia del benvenuto insieme alle minacce, a tale euforia associate, per la stabilità interna e per l'Occidente suppostamente cristiano. Propaganda del razzismo e attacchi razzisti continuano, o addirittura aumentano.

"I cittadini sono preoccupati, i problemi non possono essere risolti con la discussione", ha detto un membro del CDU eletto nel parlamento della Sassonia (vedi Junge Welt del 21 settembre 2015). Tali preoccupazioni dei cittadini richiedono - come ai tempi del cambiamento del diritto fondamentale di asilo - una risposta che dia loro ragione - in senso letterale. Tornano ad emergere nuovamente i ben noti strumenti di repressione, con i quali i rifugiati devono esserre tenuti lontani dalle frontiere, deportati o selezionati in maniera più veloce, per mezzo del controllo dell'immigrazione illegale, in quanto utili o superflui: controlli alle frontiere, che vengono ripristinati tenendo conto delle minacce all'ordine pubblico ed alla sicurezza interna e di una maggior rapidità nel procedimento di asilo e di deportazione, anche senza fissare un termine, dei tagli alle prestazioni sociali, ricorrendo per i richiedenti asilo a prestazioni in natura anziché in denaro, al fine di ridurre gli incentivi all'immigrazione e ricorrendo, contro la minaccia dei pericoli provenienti dall'Est, all'allargamento del numero dei paesi di origine sicuri che, oltre Serbia, Macedonia e Bosnia Erzegovina, ora includono anche Albania, Kosovo e Montenegro. Inoltre devono esserre stanziati più milioni di euro per proteggere in maniera più efficiente le frontiere esterne dell'Unione Europea contro l'assalto dei rifugiati.

Indipendentemente dalle intenzioni, soprattuttto di quelle dei volontari, di dare il benvenuto ai rifugiati, nel contesto politico-economico i benvenuti vengono ridotti a quei rifugiati per mezzo dei quali possono essere colmate le lacune del mercato del lavoro, tenendo presente principalmente la mancanza di lavoratori qualificati. Essi sono talmente benvenuti che sono esposti ad una nuova persecuzione da parte dei cacciatori di talenti, che vanno nei centri di accoglienza in cerca di operai qualificati. Gli ostacoli burocratici alla loro integrazione sul mercato vanno eliminati.

Né lo sguardo calcolatore di cui ci possiamo servire, né l'insistenza materna della Merkel su quel che rimane del diritto di asilo, né l'impegno umanitario di coloro che tentano di rendere più facile la vita ai rifugiati possono nascondere il fatto per cui la crisi del capitalismo, che si esprime nei drammi dei rifugiati, non ha alcuna soluzione né umanitaria né politica. Il grandioso "Nós podemos" va a sbattere contro gli ostacoli oggettivi che neppure con la miglior buona volontà possono essere superati. Prima di qualsiasi ricerca di vie d'uscita e di prospettive, serve la comprensione, lo sforzo teorico. Ci sarebbe bisogno di capire anche i limiti contro i quali fallisce qualsiasi volontà. Le fotografie sono un altro ostacolo. Fingono un'immediatezza che nella realtà non esiste. A tal proposito, Adorno consiglia, contro l'idealismo, di proibire le immagini: "L'oggetto della teoria non è niente di immediato, il cui modello possa essere portato a casa; la conoscenza non possiede un album dei suoi oggetti, come la polizia di Stato" (Adorno, Dialettica negativa). Solo cercando di comprendere ciò che è empiricamente visibile nel contesto del quadro categoriale in cui esso appare, si riesce a comprendere. Davanti alla cosiddetta crisi dei rifugiati, bisognerebbe ricordare il quadro categoriale nel quale Robert Kurz ha analizzato i fenomeni di disintegrazione degli Stati, la fine della sovranità e le nuove guerre a tutto questo correlate (Vedi: Robert Kurz: La guerra di ordinamento mondiale. La fine della sovranità e le trasformazioni dell'imperialismo nell'era della globalizzazione).

Di fatto, oggi è molto naturale parlare di "Stati disintegrati", anche da parte del mainstream politico. Gli interventi militari accelerano il collasso, soprattutto quando, come in Siria, gli attori statali regionali e globali si mescolano, nella carneficina, con i prodotti del collasso. Mentre nei circoli borghesi e di sinistra, gli interventi militari vengono spesso dichiarati direttamente responsabili dei processi di dissoluzione e si invoca anche immediatamente la pace, i processi di crisi in corso rimangono oggettivamente fuori dalla coscienza. Si continua a non capire che tali processi sono il risultato del "patriarcato produttore di merci" (Roswitha Scholz) ormai al collasso, il quale inoltre adesso raggiunge storicamente i limiti della sua capacità di riproduzione, conseguentemente alla perdita non più compensabile del lavoro che crea il plusvalore. In questa situazione crollano anche gli Stati, dipendenti come sono dal processo di creazione di valore che è arrivato alla fine delle sue possibilità. I paesi della periferia sono le prime vittime del sistema capitalista mondiale al collasso. Essi si sgretolano, ma non spariscono semplicementre dalla scena.

Le distruzioni ricadono sulle persone che non riescono più a riprodurre la loro vita sotto la forma della produzione di merci e dello Stato. Negli spazi vuoti aumentano le economie di saccheggio e le sottoculture terroristiche. I conflitti armati in cui i prodotti del decadimento si attaccano l'uno con l'altro - signori della guerra che voglioni garantirsi il dominio sui resti ancora utilizzabili delle vecchie strutture, gang di terroristi ed intervento militare - in questo contesto non possono essere considertati come isolati. Perciò non è possibile girare l'interruttore - con un po' più di buona volontà - sulla pace. Così, nel quadro del sistema mondiale in erosione, continuerà ad avvenire che perfino quel che rimane dei primitivi mezzi di sostentamento verrà distrutto. Le conseguenze sono ovvie e diventano continuamente sempre più visibili anche in Europa: "Chi ha ancora l'energia per farlo e non diventa attivo nell'economia di saccheggio può andare, da solo o con la famiglia, negli acclamati paesi e nelle regioni dell'economia del mercato globale" (Robert Kurz). Ciò spesso è possibile soltanto ricorrendo ai cosiddetti gruppi di passatori delle frontiere. Questi, a loro volta, sono prodotti dalla decomposizione del sistema mondiale e sono allo stesso tempo oggetto dei suoi interventi militari. Come per gli interventi nelle regioni al collasso, anche qui l'obiettivo è quello di guadagnare sovranità sulla propria decadenza.

Quando gli Stati si disintegrano, perdono il monopolio del potere, ed insieme ad esso perdono il dominio sul territorio e, in questo modo, la sovranità. Si disfano perché si disfa la loro base - il contesto formale del lavoro astratto, il valore (plusvalore) e la dissociazione. Il collasso della sovranità dello Stato è accompagnato dalla "fine della forma giuridica moderna", la quale è anch'essa legata "al sistema feticista del lavoro astratto e della valorizzazione del valore" (Kurz). La violazione del diritto internazionale si è già vista nel contesto di guerra contro i resti della Jugoslavia e nei successivi interventi, col risultato che potentati di crisi, terroristi e criminali della guerra statale si sono trovati su un piano di uguaglianza. Nella situazione attuale di crisi, l'attacco all'ospedale a Kunbduz dovrebbe evidenziarsi come violazione del diritto internazionale. L'ospedale si trovava già da tempo nel mirino dei servizi segreti e delle forze di sicurezza. Aveva il coraggio di agire umanitariamente e di non fare distinzioni nel curare i feriti fra i combattenti talebani, i soldati ed i civili.

Non è un caso che la discussione intorno alla crisi dei rifugiati dia l'impressione che si tratti della risposta ad uno stato di emergenza. Anche prima che la crisi dei rifugiati diventasse mediaticamente visibile in Germania, c'erano già nell'agenda democratica le frontiere in quanto linea della morte, la caccia all'uomo nei confronti dei rifugiati, l'internameno in campi di concentramento secondo l'etnia, la deportazione verso paesi che praticano la tortura. Si trattava di escludere, anche politicamente e legalmente, gli esclusi dal processo di valorizzazione e, allo stesso tempo, mantenerli sotto controllo, per garantire la capacità funzionale del sistema in crisi. Per questo, le masse di persone non valorizzabili nelle regioni al collasso devono essere mantenute sotto controllo mentre i non valorizzabili nei centri devono essere più o meno calmati ed allo stesso tempo amministrati repressivamente. Corrispondentemente, le norme legali vengono adattate oppure ignorate.

Con i rifugiati ed i migranti diventa chiaro quanto la democrazia e lo stato di diritto siano legati al processo di valorizzazione. Su di essi "viene eseguito in maniera del tutto aperta ciò che costituisce la logica più intima del capitalismo in generale: ossia, la tendenza a ridurre l'essere umano alla sua 'utilità economica', come unità di dispendio di forza lavoro e di 'servizio'. Quel che non è ancora possibile portare alle ultime conseguenze per i cittadini del proprio Stato, ossia, 'riconoscere' come essere umano soltanto l'uomo macchina produttiva di utilizzo redditizio, ma non i bambini, gli anziani ed i malati attualmente inutili o tutti quelli che sono in qualche modo non produttivi, cosa che viene alla luce del giorno con tutta la sua brutalità nel trattamento dei migranti: devono essere giovani ed in salute, preferibilmente senza figli, senza padre, senza madre, senza legami né compromessi se non quello di essere 'utili' al processo di valorizzazione locale. Ed ancora più benvenuto, naturalmente, è 'l'investitore'..." (Kurz).

Il normale stato di diritto si applica agli (ancora) valorizzabili. Per i rimanenti, ci sono le misure coercitive e di emergenza - non solo contro i superflui della periferia, ma anche contro quelli del centro. Robert Kurz ha chiaramente mostrato come lo stato di normalità trovi il proprio fondamento nello "stato di eccezione"; dal momento che, come si lasciò scappare Carl Schmitt: "Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione" (Schmitt Carl, "Teologia Política. Quattro capitoli sulla dottrina della Sovranità", Berlin 1996). Il diritto non si basa sulla verità, ma su una decisione di volontà del sovrano e quindi, in ultima analisi, sulla violenza. Si fonda sull'eccezione e può diventare eccezione in qualsiasi momento. Nei processi di de-giuridicizzazione esterna ed interna cominciano a "mescolarsi lo stato di eccezione democratica e lo stato di normalità democratica" (Kurz, 2003). La differenza relativa allo stato di eccezione utilizzato dai nazisti consiste nel fatto che esso non venne proclamato e che la COstituzione non venne formalmente revocata. Sotto il segno della disintegrazione della sovranità dello Stato, si mescola il momento dittatoriale "non solo come procedimento democratico, ma anche come anomia post-politica e post-sovrana" (Kurz, ivi).

La relazione fra stato di eccezione e stato di normalità si rivela nel fatto per cui lo statuto giuridico degli individui dipende dalla possibilità e dalla capacità di sottomettersi alla relazione di produzione e di riproduzione capitalista. Nel corso della crisi queste capacità raggiungono i propri limiti, di modo che le persone ricadono fuori dallo stato di normalità mentre, allo stesso tempo, i sovrani statali raggiungono i limiti delle loro capacità di gestire lo stato di eccezione per mezzo della repressione. Emergono qui, "forme di transizione della repressione sociale" che portano sull'orlo della disperazione: "I 'superflui' devono... senza alcuna possibilità di riproduzione della loro vita, essere mandati via lontano verso il niente, come accade nella maggior parte della periferia... o, dove la sovranità resta ancora fortemente stabilita, come nei centri occidentali... devono essere rinchiusi a tempo indeterminato nelle prigioni, centri di detenzione e strutture simili a campi di concentramento - come avviene con gli 'illegali' e con i 'rifugiati'" (Kurz, ivi).

Mentre la crisi dei rifugiati, anche, e non da ultimo, grazie al potere delle immagini, viene messa in primo piano, molte altre situazioni di crisi possono essere dimenticate, come per qui paesi in crisi nell'Unione Europea, l'Ucraina, la crisi monetaria - attualmente visibile nella caduta dei tassi di cambio nei paesi emergenti eletti a locomotive dell'economia mondiale e nei grandi deficit delle partite correnti associate alla crisi valutaria - la riduzione senza prospettive dei tassi d'interesse e l'esitazione della Federal Reserve degli Stati Uniti per quanto riguarda il loro aumento, la crescita dei movimenti nazionalisti e di estrema destra, con i quali si cominciano a perdere le nazioni, grandi città invase dai senzatetto e municipi sovraindebitati, e molte altre situazioni. In ogni controversia fra gli Stati europei a proposito della gestione della crisi dei rifugiati sono altresì evidenti delle crepe che non possono più essere stuccate per mezzo delle dure critiche alla mancanza di una cultura del benvenuto e alle espressioni di xenofobia, e neppure dalle esortazioni amichevoli alla solidarietà europea.

La crisi segue il suo corso nel quadro definito dal contesto formale capitalista, alle spalle degli attori che in essa intervengono - indipendentemente dal fatto di essere percepita o meno. Si mostra in fenomeni contraddittori e dev'essere elaborata dagli individui infeticciati nella forma del soggetto. Forme immediate di elaborazione appaiono agli estremi, tanto di una cultura del benvenuto che è associata al chiudere gli occhi, quanto nel panico della rabbia e del vuoto impotente di quanti esprimono il loro odio in vari modi.

La costituzione specifica del soggetto che deve elaborare la crisi incompresa è stata  al centro del seminario di EXIT! di quest'anno, a partire da una prospettiva psicoanalitica. Sono state dibattute le correlazioni fra il carattere sociale narcisista postmoderno, senza alcuna relazione con l'oggetto, e la negazione e la repressione della crisi.

Anche il fatto per cui la crisi appare ovvia, con i rifugiati nei centri isolati, non scatena alcuna riflessione teorica. Le avversioni postmoderne alla certezza sostanziale e storica continuano a rivelarsi imperturbabili e resistenti alla perplessità. Nell'era postmoderna, insieme alla negazione della crisi, è emerso un carattere narcisista. Non da ultimo, tale carattere sociale narcisista, che si esprime per mezzo dell'ossessione per il riconoscimento, nella negazione dell'ogggettività e nell'impotenza, diventa una barriera alla ricezione della teoria radicale della crisi. Anche la psicanalisi, in quanto oggetto di elaborazione teorica della critica della dissociazione-valore, può, con la sua riflessione sulle implicazioni psico-dinamiche del carattere sociale narcisista, chiarire le barriere e le resistenze che si oppongono alla teoria radicale della crisi nella sinistra, nei movimenti sociali e nella maggioranza degli individui. L'inclusione del piano psicoanalitico è un passo essenziale verso lo sviluppo della teoria della dissociazione-valore - tenendo soprattutto conto del fatto che la crisi continua ad acutizzarsi drammaticamente e che dev'essere elaborata dagli individui.

Manca di delucidazione anche un fenomeno, di cui si era già riferito nel 1977 in una breve recensione de "Il collasso della modernizzazione" di Robert Kurz: "L'infausta previsione di Kurz paralizza ovviamente la forza di argomentazione razionale" (Kern, Bruno, Literaturbericht Ökonomie). Il rifiuto di un dibattito in termini di contenuto con la teoria radicale della crisi, nella sua resistenza alla perplessità, non si è lasciato turbare nemmeno dagli sviluppi di una crisi che chiaramente si aggrava. Le previsioni più nere spariscono con l'aiuto di promettenti eventi postmoderni. Il capitalismo appare come astorico ed eterno, come un costante ritorno dello stesso, di crisi e di ripresa, dopo una fase di pulizia creativa. Questo si realizza in maniera imperturbabile anche se, ovviamente, non c'è all'orizzonte alcuna nuova creazione di valore e, dal 2007, si è esaurito anche il mezzo con cui si cercava di conseguirla, il sempre uguale aumento della massa monetaria, arrivando sempre alla stessa conclusione: c'è bisogno di ancora più denaro per poter compensare la mancanza di creazione di nuovo valore. Nella logica astorica del sempre uguale, non può essere pensata la fine dello sviluppo - ed ancor meno una fine negativa.

Chi si rifugia in un'azione che nega l'oggettività delle relazioni - così come nell'impotenza - anziché nella riflessione teorica, non sfuggirà alla negazione della percezione, né all'azione ad essa associata a partire dalla falsa immediatezza. Ciò vale sia per gli euforici del benvenuto che per cittadini pieni di furia e di odio. Chi, a fronte dell'aggravamento della crisi, si rivolge all'attivismo ha già perso la connessione riflessiva con la realtà continuamente invocata. Ci può essere solo - e anche così, solo temporaneamente - la gestione della crisi. Questa alterna all'aiuto a breve termine (il benvenuto per alcuni, soprattutto gli utili) l'intensificazione della repressione - laddove esistono ancora le basi per questa - ed la diffusione dei processi di barbarizzazione. Possono anche realizzarsi degli scenari dove la rabbia e l'odio vengono scaricati.

EXIT! rappresenta lo sforzo per comprendere la crisi per mezzo della riflessione. La critica categoriale della relazione di dissociazione-valore si lega all'analisi dei processi e degli sviluppi storici, così come all'elaborazione della crisi da parte degli individui. Comprendere cosa avviene strutturalmente nel globo e che cosa avviene con le persone è, ai fini dell'elaborazione della crisi, altrettanto essenziale della questione di soppiantare la socializzazione capitalista, che è realistica solo se si lega strettamente alla negazione delle sue categorie.

Le sfide sono grandi e le nostre risorse per affrontarle sono estremamente limitate. Questo vale, non da ultimo, anche per le risorse finanziarie. QUeste vanno ottenute in una società che è oggetto della critica radicale. Nell'indeterminazione dello spirito postmoderno e del suo rifiuto della riflessione, il "mercato" - nonostante ogni "mancanza di trasparenza" e nostante la crescente pressione del problema - non muore proprio dalla voglia di orientarsi verso la "offerta" della critica radicale. Tuttavia, dal momento che quest'ultima è utile e necessaria, anche la critica della dissociazione-valore relazionata con il progetto EXIT! conta sull'appoggio di associati e donatori. E' tale appoggio che vogliamo chiedere espressamente ai nostri lettori e lettrici.

- Herbert Böttcher - per la Redazione e la Direzione - Dicembre 2015 -

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NOTE:

[*A] - Aufstand der Anständigen (Rivolta delle persone decenti) si riferisce all'appello fatto dall'allora cancelliere Schröder il 4 ottobre del 2010, durante la visita ad una sinagoga di Düsseldorf che era stata fatta oggetto di un attentato incendiario.

[*B] -  Asylkompromiss è stato un patto celebrato fra CDU/CSU e SPD per attuare una revisione costituzionale, che si concretizzò nel maggio del 1993, e che restrinse drasticamente il diritto di asilo fino ad allora garantito dalla costituzione della Repubblica Federale Tedesca.

[*1] - Una dichiarazione di Klaus Landowsky, allora presidente del gruppo parlamentare della CDU alla Camera dei Deputati di Berlino, riassume bene l'atmosfera: " Non può essere che parte degli stranieri vadano per le strade elemosinando, truffando e persino accoltellando, vengano arrestati e solo perché gridano 'asilo' vivano alle spalle del contribuente." ( in: Appel, Roland / Roth, Claudia: Die Asyl-Lüge. Ein Handbuch gegen Fremdenfeindlichkeit und Rassismus,  Colónia 1992.

[*2] Ivi

[*3] - "Come minimo, tuttavia, e nella più grande felicità, c'è sempre qualcosa per cui la felicità diventa felicità: poter dimenticare... Chi è incapace di sedersi alla soglia del momento, dimenticando ogni passato, chi non riesce di per sé a stare in piedi in un punto, come una dea della vittoria, senza vertigini né paura, questo non potrà mai sapere che cos'è la felicità..." (Nietzsche)

fonte: EXIT!

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