La sostanza del capitale (8 di 10)
- Il lavoro astratto come metafisica reale sociale ed il limite interno assoluto della valorizzazione -
Prima parte: La qualità storico-sociale negativa dell'astrazione "lavoro".
*** L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale *** Il concetto filosofico di sostanza e la metafisica reale capitalista *** Il concetto negativo di sostanza del lavoro astratto nella critica dell'economia politica di Marx *** Il concetto positivo di lavoro astratto nell'ontologia del lavoro marxista *** Per la critica del concetto di lavoro in Moishe Postone *** Il lavoro astratto ed il valore come a priori sociale *** Che cosa è astratto e che cosa è reale nel lavoro astratto *** Il tempo storico concreto del capitalismo ***
*** Il tempo storico concreto del capitalismo ***
La distruzione reale del mondo, da parte del lavoro astratto in quanto processo di produzione, è evidente. Quando il marxismo tradizionale, come ideologia immanente della modernizzazione, pretende di restringere i concetti di lavoro astratto e di astrazione reale alla sfera della circolazione, dimostra non solo la sua contaminazione da parte dell'etica protestante, dal produttivismo capitalista e da una falsa ontologia trans-storica del lavoro, ma anche la sua completa limitazione allo spazio interno al moderno sistema produttore di merci ed al suo spazio-tempo astratto. Ovvio che in tal modo gli sfugga anche il concetto di storicità capitalista. Poiché di fatto il capitalismo è, da un lato, il ritorno del sempre uguale, il tempo astratto senza storia del continuum economico-imprenditoriale svincolato; dall'altro lato, però, è un processo storico concreto cieco, una storia irreversibile della costituzione, dell'imposizione e della crisi, che si manifesta in stadi di sviluppo qualitativamente differenti.
E' a partire da questo che Moishe Postone distingue, conseguentemente, due specie in qualche modo opposte di definizione del tempo nel processo di riproduzione capitalista; il che, secondo Postone, significa "che la dialettica dello sviluppo capitalista è, su un piano logico, una dialettica delle due forme di tempo costituite nella società capitalista e quindi non può essere adeguatamente compresa nel senso di sostituzione di tutte le forme di tempo concreto da parte del tempo astratto" (Postone, cit.). La prima, è la sostituzione del tempo concreto primitivo del giorno per giorno - tempo sempre condizionato, limitato "da qualcosa" o "per qualcosa", in quanto espressione di tempo orientato da compiti - da parte dello spazio-tempo svincolato, astratto, dell'economia imprenditoriale. Ma attraverso questa trasformazione viene simultaneamente creato, su un diverso secondo piano di tempo, un nuovo tipo storico concreto di tempo, una cieca dinamica storica di "sviluppo" e crisi.
Oltre allo spazio-tempo astratto, omogeneo e senza storia, dell'economia imprenditoriale e da questa derivato, il capitalismo in quanto socializzazione del valore stabilisce tuttavia anche un tempo storico concreto del tutto diverso. Postone deduce in termini assolutamente elementari la relazione di queste due forme di tempo delle due dimensioni della merce, come materialità e come oggettività del valore: "L'interazione fra le due dimensioni della forma merce può essere analizzata anche rispetto al tempo, dal punto di vista dell'opposizione fra tempo astratto ed una forma di tempo concreto propria del capitalismo" (Postone, cit.). Si può anche dire perciò: il tempo senza storia, astratto, della socializzazione del valore è la logica temporale del processo di valorizzazione; il tempo storico concreto della socializzazione del valore, al contrario, è la logica temporale della materialità mobilitata da questo processo di valorizzazione, tanto nel senso di materia naturale trasformata, quanto anche nel senso di sviluppo sociale ad esso legato.
Il problema che qui appare, è ancora una volta la "dimensione del valore d'uso" (Postone) del lavoro astratto, ora osservato dal punto di vista della forma del tempo. La determinazione del valore d'uso della merce forza lavoro, in quanto produzione di plusvalore, stabilisce una determinazione sociale del valore d'uso della merce come semplice materializzazione del valore/plusvalore e della sua rispettiva realizzazione, mentre la concretezza materiale - ed insieme ad essa anche la qualità materiale - viene dissociata e rimane secondaria, una semplice appendice (indifferente) della valorizzazione del valore. Tuttavia, il capitalismo non può sbarazzarsi di questa materialità concreta, ed il valore d'uso sociale della produzione di plusvalore e della sua realizzazione, a fronte dei crescenti livelli di produttività forzati dalla concorrenza universale, deve "incarnarsi" sempre più, e sempre sotto nuove forme concrete ed ultra-sviluppate di trasformazione della natura e della socialità.
E' proprio su questa tensione fra indifferenza per i contenuti ed astrazione del "lavoro" e del valore, da un lato, e "sviluppo" dei contenuti materiali promosso dallo stesso processo di valorizzazione, dall'altro, che si fonda la dialettica delle due forme di tempo. Lo spazio-tempo astratto dell'economia imprenditoriale non conosce "sviluppo". Qui, un'ora è sempre un'ora di tempo indipendente, senza contenuto, senza qualità, omogenea. Questo tempo corrisponde alla dimensione del valore della riproduzione, al tempo astratto ed insieme ad esso all'oggettività del valore della materia, pertanto corrisponde al valore d'uso del feticcio sociale della produzione e della realizzazione del plusvalore. Il contenuto materialmente indifferente, trasportato insieme ad esso, però si trasforma, viene sempre nuovamente determinato, ed in realtà non in semplice cambiamento casuale ma, attraverso la crescente scientifizzazione e produttività, in processo storico concreto. In questo riferimento al contenuto, indifferente al fine in sé della valorizzazione del valore, ma che si valorizza nella pratica, un'ora non è sempre la medesima ora, ma viene riempita progressivamente di novità, si trasforma in tempo di qualcosa di differente, in tempo di "sviluppo".
Postone segnala, sul piano logico, l'opposizione e l'intreccio di queste due forme di tempo: "La costante temporale astratta, è allo stesso tempo costante e non costante. Vista come tempo astratto, l'ora di lavoro sociale rimane costante, in quanto misura di ogni valore prodotto. Concretamente espressa, però varia in rapporto alla variazione della produttività. Tuttavia, una volta che l'unità di tempo astratto continua ad essere la misura del valore, essa non si esprime, nella sua nuova determinazione concreta, in unità di tempo in quanto tale... Che il quadro temporale astratto rimanga costante, ma determinato sostanzialmente come nuovo, è un paradosso... Questo paradosso non può essere risolto sulla base del tempo astratto newtoniano. Al contrario, rimanda ad un altro tipo di tempo di livello superiore. Questo movimento risultante dalla nuova determinazione sostanziale del tempo astratto, non può essere espresso in concetti di tempo astratto; reclama un altro quadro di riferimento. Possiamo immaginarlo come una specie di tempo concreto... Così, questo movimento di tempo è una funzione della dimensione del valore d'uso del lavoro, e della sua interazione con la dimensione del valore, e può essere inteso come una sorta di tempo concreto" (Postone, cit.).
La dimensione del valore d'uso significa qui la materialità concreta dissociata, la quale del resto non deve essere "utile" se non in senso enfatico, ma che include, anche e soprattutto, lo sviluppo delle forze produttive in quanto forze distruttive. Da un lato, quindi, siamo davanti ad un "quadro di tempo omogeneo, astratto, che è immutabile e serve da misura del movimento" (Postone, cit.). Dall'altro lato, proprio da questo spazio-tempo dell'economia imprenditoriale viene promosso, sul piano materiale concreto dello sviluppo delle forze produttive/forze distruttive, il tempo storico concreto di un processo sociale di sviluppo dinamico ed irreversibile: "Ciò implica continui cambiamenti nella natura del lavoro, della produzione e della tecnologia, così come l'accumulazione di forme di sapere a tutto questo connessi. Visto in generale, il movimento storico della totalità sociale ha come conseguenza delle trasformazioni massive, continue, del modo di vita sociale della maggioranza della popolazione - modelli sociali di lavoro e di vita, struttura e distribuzione delle classi, natura dello Stato e della politica, forma della famiglia, forma del sistema culturale ed educativo, forme di circolazione e di comunicazione, ecc.. Il tempo storico nel capitalismo può pertanto essere visto come una forma di tempo concreto, il quale è socialmente costituito e dà espressione ad una trasformazione continua della vita sociale in generale, così come delle forme di coscienza, di valore e di necessità, da parte del lavoro e della produzione. Al contrario del "flusso" di tempo astratto, questo movimento non è uniforme, ma varia e può anche accelerare" (Postone, cit.).
Il tempo astratto, omogeneo ed autonomizzato, in quanto misura della combustione - che si pretende infinita - dell'energia umana, corrisponde e confligge con il tempo storico concreto delle sviluppo ciecamente dinamizzato ed ugualmente indipendente, in un'altra maniera però, nel cui decorso non è solo il volto del mondo ad essere trasformato, ma anche le categorie reali della socializzazione del valore mutano qualitativamente la loro forma. E' lo sviluppo, non solo dalla diligenza postale, passando per la ferrovia, fino ad arrivare alla "automobilizzazione" della società, ma anche a partire dalla struttura familiare stabile della produzione, passando per la concentrazione di "eserciti del lavoro", fino ad arrivare all'individualizzazione astratta, simultaneamente con lo sviluppo delle relazioni di dissociazione sessuale a questa collegate; è il processo che va dalla sussunzione formale delle strutture di produzione precedenti alla sussunzione reale del processo di produzione e di vita sotto il capitale, sulla base dei fondamenti propri di questo; la storia della scienza moderna si intreccia con la dinamica capitalista, la relazione fra l'accumulazione imprenditoriale e la crescente necessità di condizioni di inquadramento nell'insieme della società (infrastrutture), ecc..
Osservando le due forme di tempo dal punto di vista della coscienza dei soggetti, degli individui e delle istituzioni, potremmo definire lo spazio-tempo astratto dell'economia imprenditoriale come la forma del tempo soggettivamente stabilita, ed il tempo storico concreto dello sviluppo capitalista come la forma del tempo che si manifesta oggettivamente. In quanto l'azione sociale propria dei soggetti si realizza sempre solo nel quadro del tempo astratto, omogeneo, dell'economia imprenditoriale svincolata, e sotto la pressione dei suoi imperativi (per esempio da parte dello Stato e della politica) o in relazione a questo quadro presupposto di tempo; tale tempo è indipendente, ma fissa il quadro immediato dell'azione dei soggetti. Il tempo storico concreto, al contrario, è la risultante cieca, la dinamica oggettivata di una storia del "soggetto automatico", e solo indirettamente fatta dagli esseri umani, e a maggior ragione senza il loro controllo sociale. E' una relazione paradossale di tempo: il tempo soggettivo, cosciente, è vuoto ed astratto, tempo di combustione dell'energia umana indifferente a qualsiasi contenuto; il tempo storico concreto dello sviluppo reale del contenuto materiale, al contrario, è tempo oggettivo, incosciente, e perciò fatalità storica.
Il tempo astratto, omogeneo ed autonomizzato, in quanto misura della combustione - che si pretende infinita - dell'energia umana, corrisponde e confligge con il tempo storico concreto delle sviluppo ciecamente dinamizzato ed ugualmente indipendente, in un'altra maniera però, nel cui decorso non è solo il volto del mondo ad essere trasformato, ma anche le categorie reali della socializzazione del valore mutano qualitativamente la loro forma. E' lo sviluppo, non solo dalla diligenza postale, passando per la ferrovia, fino ad arrivare alla "automobilizzazione" della società, ma anche a partire dalla struttura familiare stabile della produzione, passando per la concentrazione di "eserciti del lavoro", fino ad arrivare all'individualizzazione astratta, simultaneamente con lo sviluppo delle relazioni di dissociazione sessuale a questa collegate; è il processo che va dalla sussunzione formale delle strutture di produzione precedenti alla sussunzione reale del processo di produzione e di vita sotto il capitale, sulla base dei fondamenti propri di questo; la storia della scienza moderna si intreccia con la dinamica capitalista, la relazione fra l'accumulazione imprenditoriale e la crescente necessità di condizioni di inquadramento nell'insieme della società (infrastrutture), ecc..
Osservando le due forme di tempo dal punto di vista della coscienza dei soggetti, degli individui e delle istituzioni, potremmo definire lo spazio-tempo astratto dell'economia imprenditoriale come la forma del tempo soggettivamente stabilita, ed il tempo storico concreto dello sviluppo capitalista come la forma del tempo che si manifesta oggettivamente. In quanto l'azione sociale propria dei soggetti si realizza sempre solo nel quadro del tempo astratto, omogeneo, dell'economia imprenditoriale svincolata, e sotto la pressione dei suoi imperativi (per esempio da parte dello Stato e della politica) o in relazione a questo quadro presupposto di tempo; tale tempo è indipendente, ma fissa il quadro immediato dell'azione dei soggetti. Il tempo storico concreto, al contrario, è la risultante cieca, la dinamica oggettivata di una storia del "soggetto automatico", e solo indirettamente fatta dagli esseri umani, e a maggior ragione senza il loro controllo sociale. E' una relazione paradossale di tempo: il tempo soggettivo, cosciente, è vuoto ed astratto, tempo di combustione dell'energia umana indifferente a qualsiasi contenuto; il tempo storico concreto dello sviluppo reale del contenuto materiale, al contrario, è tempo oggettivo, incosciente, e perciò fatalità storica.
Da qui, di conseguenza, l'emancipazione sociale può consistere soltanto nel conseguire il controllo sociale sul tempo storico concreto, di modo che lo spazio-tempo svincolato dell'economia imprenditoriale venga coscientemente distrutto, soppresso ed insieme a questo venga superata la logica della valorizzazione del valore. Soltanto l'inclusione della riproduzione nel mondo della vita, la dissoluzione del lavoro astratto, ed insieme ad esso della dissociazione sessuale, può porre fine anche alla dissociazione ed alla sempre maggiore indifferenza per i contenuti materiali del processo di produzione. Sarebbe la fine della separazione fra la vita e la produzione, fra il contenuto e la forma, fra produzione e circolazione, fra economia e politica. Solo in questo modo, quando si conseguirà un'integrazione sociale, in cui per la prima volta nella storia i membri della società organizzeranno coscientemente l'uso delle loro risorse comuni (ad esempio, una organizzazione di consigli pianificata e globale), e così per la prima volta anche il tempo storico concreto; solo così il processo capitalista di distruzione del mondo potrà essere fermato, e lo sviluppo sociale smetterà di essere un processo cieco di fatalità.
Il marxismo tradizionale non è nemmeno in grado di pensarlo, un simile compito, ed ancor meno capace di lottare per realizzarlo. Se, in passato, per i teorici del marxismo del movimento operaio, il tempo storico concreto del capitalismo veniva fuori, sebbene non come concetto, ma almeno indirettamente, nelle discussioni più o meno positiviste sugli "stadi di sviluppo" del capitalismo, oggi quel che rimane dei rappresentanti di questo pensiero ha completamente bandito dalla propria riflessione il problema del tempo storico concreto, e insieme ad esso quello della storicità del capitalismo. Il che vuol dire che la storia interna del capitalismo, la storia del suo sviluppo e della sua crisi, oggi è andata a sbattere contro i suoi propri limiti. Ne consegue anche che non è più possibile stabilire il tempo storico concreto come risultante dallo spazio-tempo astratto dell'economia imprenditoriale, in maniera categorialmente immanente, nel senso di un'interpretazione "critica" della prossima fase di sviluppo. Il tempo storico concreto ora può ancora essere pensato criticamente soltanto nel senso di una critica categoriale dello spazio-tempo svincolato del lavoro astratto.
Quel che è rimasto del marxismo tradizionale, del tutto incapace di fare qualcosa del genere, si è perciò rifugiato, per quanto riguarda il concetto di capitale, nella concezione di un "eterno ritorno dello stesso"; convertendosi in una sorta di "marxismo buddista". Questa caratterizzazione non è affatto polemicamente esagerata. C'è scritto - per citare solo un esempio significativo - in un trattato per il resto particolarmente pretenzioso su quest'assunto, anche se non riesce a nascondere le orecchie d'asino del vecchio pensiero marxista diventato obsoleto: "E' evidente... come sia difficile trovare qualcosa di sostanzialmente nuovo, di originale, nella realtà capitalista, che lo stesso Marx non abbia già da molto tempo anticipato... Questo non vuole essere un omaggio a Marx: si tratta né più né meno della constatazione per cui... essenzialmente il capitale rappresenta l'eterno ritorno dello stesso" (Initiative Sozialistisches Forum, Der Theoretiker ist der Wert, Friburgo 2000, pág. 79). Esplicitamente o implicitamente, si può constatare questo rifiuto del pensiero di uno sviluppo storico nella relazione di valore, quasi senza eccezione, fra i naufraghi sopravvissuti di un'epoca giunta al termini della critica categoriale immanente del capitalismo.
In altre parole: questo pensiero ora si limita interamente al quadro temporale del tempo continuo astratto ed omogeneo dell'economia imprenditoriale. In questo quadro temporale si verificano diversi eventi, ma non c'è né sviluppo né storia. Gli corrisponde la riduzione strutturale del concetto di capitale sul piano del capitale isolato e la sua pretesa eterna capacità di riproduzione. La dimensione sociale totale della socializzazione del valore scompare dal campo visivo, insieme al tempo storico concreto. Così si fonde il marxismo tradizionale arrivato al suo stadio finale con la prospettiva economica e storica borghese (fine della storia, punto di vista "micro-economico"). Se non si può più pensare nessun nuovo stadio di sviluppo del capitalismo "di sinistra", visto che non ce n'è nessuno, si smette di pensare del tutto il tempo storico concreto. Così, il marxismo tradizionale dimostra solo la sua immanenza categoriale nella socializzazione del valore, che esso si sforza di descrivere come ontologizzazione del lavoro astratto. Per cui va inevitabilmente a sbattere contro un limite storico, insieme con il suo oggetto.
Questo rimanda al problema della crisi categoriale. Il tempo storico concreto del capitalismo - così come esso viene rilasciato sul piano sociale materiale concreto, come processo cieco, per effetto dello spazio-tempo astratto dell'economia imprenditoriale - costituisce di fatto una storia non solo dello sviluppo, ma anche della crisi. L'irreversibilità di questo processo sfocia in uno "stadio di sviluppo" che tale non è più, ma in cui si manifesta un limite storico assoluto. Critica categoriale e crisi categoriale si condizionano reciprocamente. Perché si possa fondare questo nesso sul piano del tempo storico concreto, è necessaria un'analisi del lavoro astratto dal punto di vista delle sue relazioni quantitative. La storica desustanzializzazione del valore, o la svalorizzazione del valore, si presenta come problema quantitativo del lavoro astratto, il che costituisce il nucleo della teoria della crisi di Marx. Questa relazione quantitativa del lavoro astratto, nel senso di un limite interno di spazio-tempo economico-imprenditoriale svincolato, verrà discussa nella seconda parte del presente studio.
- Robert Kurz - pubblicato sulla rivista Exit!, 1/2004 – (8 di 10 – continua…) -Quel che è rimasto del marxismo tradizionale, del tutto incapace di fare qualcosa del genere, si è perciò rifugiato, per quanto riguarda il concetto di capitale, nella concezione di un "eterno ritorno dello stesso"; convertendosi in una sorta di "marxismo buddista". Questa caratterizzazione non è affatto polemicamente esagerata. C'è scritto - per citare solo un esempio significativo - in un trattato per il resto particolarmente pretenzioso su quest'assunto, anche se non riesce a nascondere le orecchie d'asino del vecchio pensiero marxista diventato obsoleto: "E' evidente... come sia difficile trovare qualcosa di sostanzialmente nuovo, di originale, nella realtà capitalista, che lo stesso Marx non abbia già da molto tempo anticipato... Questo non vuole essere un omaggio a Marx: si tratta né più né meno della constatazione per cui... essenzialmente il capitale rappresenta l'eterno ritorno dello stesso" (Initiative Sozialistisches Forum, Der Theoretiker ist der Wert, Friburgo 2000, pág. 79). Esplicitamente o implicitamente, si può constatare questo rifiuto del pensiero di uno sviluppo storico nella relazione di valore, quasi senza eccezione, fra i naufraghi sopravvissuti di un'epoca giunta al termini della critica categoriale immanente del capitalismo.
In altre parole: questo pensiero ora si limita interamente al quadro temporale del tempo continuo astratto ed omogeneo dell'economia imprenditoriale. In questo quadro temporale si verificano diversi eventi, ma non c'è né sviluppo né storia. Gli corrisponde la riduzione strutturale del concetto di capitale sul piano del capitale isolato e la sua pretesa eterna capacità di riproduzione. La dimensione sociale totale della socializzazione del valore scompare dal campo visivo, insieme al tempo storico concreto. Così si fonde il marxismo tradizionale arrivato al suo stadio finale con la prospettiva economica e storica borghese (fine della storia, punto di vista "micro-economico"). Se non si può più pensare nessun nuovo stadio di sviluppo del capitalismo "di sinistra", visto che non ce n'è nessuno, si smette di pensare del tutto il tempo storico concreto. Così, il marxismo tradizionale dimostra solo la sua immanenza categoriale nella socializzazione del valore, che esso si sforza di descrivere come ontologizzazione del lavoro astratto. Per cui va inevitabilmente a sbattere contro un limite storico, insieme con il suo oggetto.
Questo rimanda al problema della crisi categoriale. Il tempo storico concreto del capitalismo - così come esso viene rilasciato sul piano sociale materiale concreto, come processo cieco, per effetto dello spazio-tempo astratto dell'economia imprenditoriale - costituisce di fatto una storia non solo dello sviluppo, ma anche della crisi. L'irreversibilità di questo processo sfocia in uno "stadio di sviluppo" che tale non è più, ma in cui si manifesta un limite storico assoluto. Critica categoriale e crisi categoriale si condizionano reciprocamente. Perché si possa fondare questo nesso sul piano del tempo storico concreto, è necessaria un'analisi del lavoro astratto dal punto di vista delle sue relazioni quantitative. La storica desustanzializzazione del valore, o la svalorizzazione del valore, si presenta come problema quantitativo del lavoro astratto, il che costituisce il nucleo della teoria della crisi di Marx. Questa relazione quantitativa del lavoro astratto, nel senso di un limite interno di spazio-tempo economico-imprenditoriale svincolato, verrà discussa nella seconda parte del presente studio.
fonte: EXIT!
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